Il presente contributo è stato redatto in collaborazione con l’Osservatorio Compliance 231 nell’ambito della rubrica mensile “Focus Penale Tributario”. *** Con la recente sentenza n. 42819 del 22 novembre scorso, la cassazione è tornata a pronunciarsi sul tema degli elementi oggettivi e soggettivi che caratterizzano la fattispecie di cui all’art. 8 D.lgs. 74/2000, stabilendo che per la configurazione del reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti non è necessario l’utilizzo delle stesse da parte del destinatario e che il fine di perseguire un interesse personale non esclude il dolo specifico di evasione. La Suprema Corte è tornata sul tema, sempre attuale, delle frodi IVA perpetrate a mezzo fatture per operazioni inesistenti, stabilendo in maniera particolarmente chiara alcuni principi fondamentali. Con la pronuncia n. 42819 del 22 novembre scorso, infatti, i Giudici di legittimità hanno affrontato due distinte problematiche, vale a dire (i) se il reato ex art. 8 D.Lgs. n. 74/2000 presupponga, oltre all’emissione di fatture per operazioni inesistenti, anche l’utilizzo delle stesse da parte del destinatario e (ii) se il fine di evasione, configurante il dolo specifico in ordine al delitto in questione, si realizzi laddove chi emette le fatture persegua un interesse proprio, diverso da quello di far evadere il fisco a terzi, ma pur essendo consapevole del fatto che il destinatario ha intenzione di utilizzarle al fine di evadere le imposte. Al fine di meglio contestualizzare i fatti di causa e le soluzioni addotte a tali questioni, si evidenzia che la sentenza ha ad oggetto la configurabilità, relativamente a svariate annualità, dei reati di cui agli artt. 8 e 10 D.Lgs. n. 74/2000 in capo ai legali rappresentanti di una società a responsabilità limitata. Gli imputati, infatti, erano stati accusati di aver emesso una serie di fatture per operazioni inesistenti nei confronti di diverse società e di aver occultato o distrutto alcune scritture contabili. Ai fini del presente contributo rilevano le sole questioni afferenti all’emissione di fatture per operazioni inesistenti. La Corte ha parzialmente riformato la statuizione di primo grado, rideterminando le pene irrogate nei confronti di alcuni degli imputati. Questi ultimi, pertanto, proponevano ricorso per cassazione affidato a una pluralità di motivi. In particolare, taluni ricorrenti contestavano la sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto ex art. 8 D.Lgs. n. 74/2000, adducendo che il fine ultimo dell’emissione delle fatture false consisteva nel reperimento di liquidità necessaria per retribuire “in nero” di lavoratori. Si tratterebbe, pertanto, di una finalità differente da quella di “consentire a terzi l'evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto” espressamente contemplata dalla norma. In tal senso, ritiene il Collegio che ai fini della configurabilità del delitto ex art. 8 non è necessario, sotto il profilo soggettivo, che il fine di favorire l’evasione fiscale di terzi attraverso l’utilizzo delle fatture emesse sia esclusivo, ben potendo essere integrato anche laddove la condotta illecita sia perseguita per conseguire un concorrente profitto personale. Il dolo specifico di evasione (o di consentire l’evasione fiscale di terzi) non si identifica con l’interesse o movente quale causa diretta all’origine della commissione del reato, bensì è riferito allo scopo della condotta. Ne consegue che “il fine di perseguire un risultato, sotto il profilo psicologico, può essere integrato anche dalla consapevolezza, da parte del soggetto agente, della obiettiva direzione e dalla concreta idoneità della sua condotta a realizzare detto risultato come conseguenza certa o comunque altamente probabile della stessa, e dalla volontà, ciononostante, di porre in essere tale condotta. Invero, come ripetutamente sottolineato anche dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite in materia di delitto tentato, nel caso in cui il soggetto agente consideri l’evento potenzialmente derivante dalla sua condotta come certo o altamente probabile, egli lo accetta, e, quindi, lo vuole, indipendentemente dalla sua mancata verificazione”. È pertanto affermativa la risposta data alla questione se possa ritenersi sussistente il fine di evasione nel caso in cui il soggetto emittente le fatture persegua un proprio e diverso interesse, tuttavia rilasciando le stesse nella consapevolezza che il destinatario programma concretamente di utilizzarle per conseguire un’indebita evasione delle imposte dirette o dell’IVA. Viene pertanto stabilito il principio di diritto per cui “la consapevolezza, nel soggetto emittente fatture per operazioni inesistenti, dell’alta probabilità dell’uso delle stesse da parte di coloro che le ricevono al fine di evadere le imposte, implica, nel medesimo, la consapevolezza e volontà di realizzare di una condotta finalizzata a consentire a questi l’evasione. Invero, chi forma una fattura relativa ad operazioni inesistenti e poi la consegna ad altro soggetto, prevedendone come certo o altamente probabile il successivo utilizzo da parte del medesimo a fine di risparmio delle imposte, “vuole” mettere a disposizione del destinatario un “mezzo” fisiologicamente funzionale ad “abbatterne” il carico fiscale, nella consapevolezza della concreta prospettiva di tale futuro utilizzo, e, quindi, “vuole” emettere il documento mendace (anche) al fine di “permettere” a terzi l’evasione”. Quanto all’altra questione affrontata dal Collegio afferente all’elemento oggettivo del reato (ovvero se il delitto di emissione di fatture per operazioni inesistenti presupponga anche l’utilizzo delle stesse da parte del destinatario) la risposta non può che essere di segno opposto alla precedente. Ciò in quanto costituisce orientamento costante quello per cui l’evasione d’imposta non rappresenta elemento costitutivo del reato in parola, bensì caratterizza il dolo specifico normativamente richiesto ai fini della punibilità dell’agente. È infatti necessario che l’emittente si proponga il fine di consentire a terzi, mediante l’emissione delle fatture per operazioni inesistenti, l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ma non è altresì richiesto che il terzo realizzi effettivamente l’intento illecito.