La Suprema Corte con l’ordinanza n. 23341 depositata il 29 agosto 2024 ha stabilito che il fenomeno successorio sui generis regolato nell’art. 2495 c.c. presenta una contiguità solo di tipo linguistico e non sostanziale rispetto alla disciplina delle successioni regolate dal secondo libro del codice civile. Con la conseguenza che non può trovare applicazione l’art. 8 del d.lgs. 472/1997, non essendoci alcun margine per qualificare l’estinzione della società e la morte della persona fisica come “casi simili”. Il caso I soci di una cessata società di capitali, operante nel settore immobiliare, hanno proposto ricorso avverso un accertamento emesso nei loro confronti avente ad oggetto IRES, IVA e IRAP in conseguenza del controllo delle compravendite eseguite dalla società prima della cancellazione. La CTP adita ha accolto il ricorso con sentenza che è stata riformata in sede di gravame. La CTR, in particolare, ha ritenuto legittimi gli accertamenti ad eccezione della parte relativa alle sanzioni, difettando il requisito della colpevolezza e considerando che le sanzioni violassero l’art. 7 d.l. n. 269/2003. La CTR ha ritenuto infondate le altre doglianze di merito, con particolare riferimento alla corretta ricostruzione presuntiva dei maggiori redditi, oggetto di una completa indagine sull’attività svolta, sulla situazione finanziaria, sulle attività bancarie, sui mutui accesi e sulla localizzazione degli immobili oggetto di compravendita, risultando perciò integrati i requisiti previsti dall’art. 39 del d.p.r. n. 600/1973. Ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate, ricorso incentrato su un solo motivo. In particolare, l’Amministrazione finanziaria ha censurato la sentenza per violazione di legge, con particolare riferimento alla violazione dell’art. 2495 c.c. e degli artt. 5 e 6 del d.lgs. 472/1997 oltre che dell’art. 7 del d.l. n. 269/2003. Ad avviso della ricorrente, l’art. 2495 c.c. integra un fenomeno successorio che funziona soltanto in parte in modo analogo alla successione a causa di morte. In particolare, i soci al momento dell’estinzione della società succedono nei debiti della società che sono tenuti a soddisfare nei limiti di quanto ricevuto a seguito della liquidazione. Di conseguenza, entro tale limite sono tenuti a rispondere anche del debito della società estinta a titolo di sanzioni pecuniarie. Non sarebbe rilevante nella specie neanche l’art. 7 del d.l. n. 269/2003 che si riferisce ad una responsabilità di tipo solidale. I controricorrenti hanno proposto ricorso incidentale con cui hanno contestato per violazione di legge la legittimità dell’accertamento. La decisione La Cassazione con la decisione in commento ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate mentre ha respinto il ricorso incidentale dei contribuenti, disponendo il rinvio del procedimento alla CGT competente in diversa composizione. Secondo la Corte, in base all’art. 2495 c.c. “dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti del liquidatore, se il mancato pagamento è dipeso da colpa i questi”. Inoltre, come da consolidata giurisprudenza “il debito del quale, in situazioni di tal genere, possono essere chiamati a rispondere i soci della società cancellata dal registro non si configura come un debito nuovo, quasi traesse origine dalla liquidazione sociale, ma si identifica con il medesimo debito che faceva capo alla società, conservando intatta la propria causa e la propria originaria natura giuridica”[1]. Di conseguenza, l’estinzione della società conseguente alla cancellazione determina un fenomeno di tipo successorio che si caratterizza per il trasferimento ai soci del medesimo debito che faceva capo alla società e, dall’altro lato, per la limitazione della responsabilità del socio a quanto ricevuto in sede di liquidazione. Tuttavia, spiega la Cassazione, il fenomeno successorio sui generis regolato nell’art. 2495 c.c. presenta una contiguità solo di tipo linguistico e non sostanziale rispetto alla disciplina delle successioni regolate dal secondo libro del codice civile. Con la conseguenza che non può trovare applicazione l’art. 8 del d.lgs. 472/1997, non essendoci alcun margine per qualificare l’estinzione della società e la morte della persona fisica come “casi simili”. Quanto all’art.7 del d.l. 269/2003 questo è un correttivo al principio personalistico che caratterizza l’impianto sanzionatorio in ambito tributario, determinando una scissione tra chi commette l’illecito e chi se ne avvantaggia, ma è una norma incompatibile con la disciplina della responsabilità per debiti della società estinta. [1] Cass. n. 6070/2013.