Il presente contributo è stato redatto in collaborazione con l’Osservatorio Compliance 231 nell’ambito della rubrica mensile “Focus Penale Tributario”. *** Lo scorso 29 giugno è entrato in vigore il D. Lgs. n. 87/2024 che, in attuazione della delega per la riforma fiscale (articolo 20, Legge n. 111/2023), ha ampiamente revisionato il D.lgs. 74/2000. Sul versante penale, tra le novità di maggior pregio si colloca l’estensione del perimetro di applicazione dell’istituto di cui all’art. 13 D.lgs. n. 74/2000, che disciplina le ipotesi di non punibilità in conseguenza del pagamento del debito tributario relativamente alle fattispecie delittuose in materia di versamenti di cui agli artt. 10-bis e 10-ter. Nell’ottica di efficientare il raccordo tra processo penale e procedimento tributario, la disposizione in commento si arricchisce delle previsioni contenute nei nuovi commi 3-bis e 3 -ter, mutando altresì la propria rubrica, sostituita dalla seguente: “Cause di non punibilità. Pagamento del debito tributario”. 1) La crisi non transitoria di liquidità dell’autore del reato Il nuovo comma 3-bis sancisce la non punibilità dei reati di omesso versamento di ritenute e IVA se il fatto dipende da cause non imputabili all’autore purché sopraggiunte, rispettivamente, all’effettuazione delle ritenute (nel caso dell’art. 10-bis) ovvero all’incasso dell’imposta sul valore aggiunto (nel caso dell’art. 10-ter). Stante il tenore letterale della norma, il legislatore delegato parrebbe aver subordinato la non punibilità al verificarsi di una duplice condizione, rimettendo al giudice penale il compito di accertare nel caso concreto: i) la presenza di una crisi non transitoria di liquidità dell’autore dovuta ad una delle seguenti cause: ii) la non esperibilità di azioni idonee al superamento della crisi. Per comprendere l’ambito di operatività della nuova causa di non punibilità si rende necessario fare riferimento al concetto di forza maggiore, in presenza della quale l’omesso versamento del tributo può considerarsi giustificato. Del resto, la giurisprudenza si è espressa di frequente in relazione alla crisi di liquidità non transitoria quale causa di forza maggiore idonea a scriminare la condotta illecita posta in essere dal soggetto agente. In particolare, con una recente sentenza[1], la Cassazione Penale ha affermato che “In tema di reato di omesso versamento dell'IVA, l'inadempimento della obbligazione tributaria può essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all'imprenditore che non abbia potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che sfuggono al suo dominio finalistico”. Dunque, la crisi di liquidità è idonea ad escludere la colpevolezza (intesa come centro di imputazione soggettiva) solo nel caso in cui la situazione di crisi non sia imputabile all’autore del reato, e laddove sia dimostrata l’effettiva adozione di tutte le iniziative volte alla corresponsione dell’imposta. In tale ottica, i giudici di legittimità, in un’altra analoga vicenda, hanno concluso affermando che “non assume alcun rilievo la mancata riscossione di crediti, posto che si tratta di evento che rientra nel normale rischio di impresa, sempre che tali insoluti siano contenuti entro una percentuale da ritenersi fisiologica”[2]. Ma vi è di più. Ad opinione degli ermellini è onere dell’imputato provare la “non addebitabilità della crisi economica che ha investito l’impresa e della impossibilità di fronteggiare la crisi di liquidità che ne sia seguita tramite il ricorso a misure idonee da valutarsi in concreto”[3]. Per sfuggire alle sanzioni penali, il contribuente deve perciò provare l’impossibilità a reperire le risorse economiche e finanziarie necessarie ad adempiere al debito, “pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di un'improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volontà e ad egli non imputabili”[4]. Risulta dunque apprezzabile il tentativo del legislatore della Riforma di imporre ai giudici penali la valutazione delle situazioni straordinarie di crisi non cagionate dal contribuente. Tuttavia, sono evidenti le difficoltà che i giudici potranno riscontrare nell’applicazione della nuova causa di non punibilità prevista dal comma 3 bis dell’art. 13 D.lgs. 74/00, ad esempio nelle ipotesi in cui la difesa dell’imputato tenterà di far valere la sussistenza di una situazione di crisi di liquidità dovuta a cause di forza maggiore e, ancora di più, nella valutazione della sussistenza del presupposto relativo alla corretta adozione di tutte le possibili azioni volte a recuperare la liquidità necessaria ad assolvere il debito tributario. 1.1. La recentissima sentenza della Corte di Cassazione Di recentissima pubblicazione è la sentenza n. 30532 del 24 luglio 2024, la quale, recependo il nuovo dettato normativo introdotto dalla Riforma Fiscale, ha annullato la sentenza di condanna nei confronti del rappresentante legale di una S.r.l. colpita dalla crisi dell’Ilva. Il legale rappresentante della S.r.l. era stato condannato dal Tribunale di Taranto (sentenza poi confermata dalla Corte d’Appello di Lecce) per il reato di omesso versamento dell’IVA di cui all’art. 10-ter D. Lgs. 74/2000. Il difensore dell’imputato ha dunque presentato ricorso in cassazione, evidenziando che i giudici di merito avevano “ignorato le cause, indipendenti dalla volontà del ricorrente, che avevano determinato l’inadempimento dell’obbligazione tributaria”. La difesa del ricorrente ha infatti evidenziato che: La S.r.l. svolgeva esclusivamente attività di gestione dello stabilimento siderurgico dell’Ilva, agendo come monomandatario della stessa; In aggiunta il difensore del prevenuto ha evidenziato, mediante produzione documentale, che il legale rappresentante aveva provveduto ad attivare azioni legali volte al recupero dei crediti, le quali tuttavia erano risultate infruttuose a causa del fallimento Ilva. Ebbene, i giudici di legittimità hanno ritenuto meritevoli di accoglimento le argomentazioni del ricorrente, affermando che i giudici di merito non hanno correttamente valutato la situazione di crisi della S.r.l., determinata dalle vicende giudiziarie che avevano coinvolto l’unico committente della Società. In particolare, la Corte ha richiamato l’intervento legislativo apportato dalla Riforma Fiscale con l’introduzione del comma 3-bis all’art. 13 il quale introduce formalmente la nuova causa di non punibilità laddove il fatto dipenda “da cause non imputabili all’autor, sopravvenute, rispettivamente, all’effettuazione delle ritenute o all’incasso dell’imposta sul valore aggiunto”, affermando che le sentenze di merito non hanno valutato la concreta impossibilità della S.r.l. di far fronte ai versamenti IVA dovuti. 2) La particolare tenuità del fatto: l’art. 13 co. 3-ter D.Lgs. 74/2000 Con il nuovo comma 3 ter, invece, il legislatore delegato è intervenuto sugli indici di valutazione di un istituto già noto al settore penal-tributario, vale a dire la particolare tenuità del fatto prevista dall’art. 131-bis c.p, che ha più volte suscitato querelles interpretative. Già le Sezioni Unite n. 13681 del 2016 avevano ritenuto l'istituto di cui all'art. 131-bis compatibile con le soglie di punibilità, ponendo l'accento sulla necessità di una valutazione in concreto da parte del giudice, fondata sui criteri delle modalità della condotta, dell'esiguità del danno o del pericolo e che tenga conto anche del grado della colpevolezza: una valutazione estranea a logiche meramente astratte, che valorizzi, invece, tutte le peculiarità del caso concreto Su tale scia i giudici di legittimità hanno infatti sancito il principio di diritto secondo il quale la fattispecie dovrà essere considerata come dotata di un’offensività minima quando “il fatto abbia riguardato un ammontare vicinissimo alla soglia di punibilità, secondo un apprezzamento fattuale che è devoluto al giudice di merito”[5]. Ebbene, la Riforma Fiscale ha individuato gli indici che il giudice penale deve valutare al fine di determinare l’applicabilità della non punibilità per particolare tenuità del fatto, ovvero: i) l'entità dello scostamento dell'imposta evasa rispetto al valore soglia stabilito ai fini della punibilità; ii) l'avvenuto adempimento integrale dell'obbligo di pagamento secondo il piano di rateizzazione concordato con l'amministrazione finanziaria, salvi i casi disciplinati dal comma 1 del medesimo articolo; iii) l'entità del debito tributario residuo, quando sia in corso un piano di rateizzazione volto all’estinzione del debito tributario; iv) la situazione di crisi ai sensi dell'articolo 2, comma 1, lettera a), del codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, ovvero “lo stato del debitore che rende probabile l'insolvenza e che si manifesta con l'inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte alle obbligazioni nei successivi dodici mesi”. Risulta chiaro che il legislatore ha inteso valorizzare, conformemente a quanto introdotto dalla Riforma Cartabia in sede penale, non solo lo stato di crisi in cui versa il contribuente, ma soprattutto le condotte successive al reato in ottica riparatoria del danno realizzato. Sembrerebbe, dunque, che la Riforma Fiscale abbia introdotto una nuova ed universale causa di non punibilità per i reati tributari che rispettino i requisiti di operatività posti dall’art. 131-bis c.p., laddove il contribuente abbia provveduto ad estinguere il debito tributario mediante integrale adempimento dell’obbligo di pagamento oggetto di un piano di rateazione. È obbligatoria, tuttavia, una precisazione. L’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità dell’offesa rimane soggetta alla valutazione discrezionale del giudice penale, il quale dovrà valutare caso per caso la tenuità o meno dell’offesa al bene giuridico tutelato. [1] Cass. Pen., Sez. III, n. 15942 del 14 febbraio 2024. [2] In tal senso anche Corte d’Appello di Ancona, n. 353 del 15 aprile 2021. [3] Cass. Pen., Sez. III, n. 30042 del 16 marzo 2021. [4] Cass. Pen., Sez. III, n. 45427 del 18 ottobre 2022. [5] Cass. Pen., Sez. III, n. 39835 del 21 ottobre 2022.