Con la recente sentenza n. 17289/2024, la Suprema Corte torna ad occuparsi di un caso di esterovestizione ai fini dell’imposta di registro. A tal proposito, ha ribadito il principio secondo cui – ai fini dell’imposta di registro e ai fini delle imposte dirette – la nozione di “sede dell’amministrazione”, contrapposta alla “sede legale”, coincide con quella di sede effettiva (di matrice civilistica), intesa come luogo di concreto svolgimento delle attività amministrative e di direzione dell’ente e dove si convocano le assemblee, e cioè il luogo deputato, o stabilmente utilizzato, per l’accentramento – nei rapporti interni e con i terzi – degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e dell’impulso dell’attività dell’ente. Il caso Nei confronti della società di diritto estero X Sarl è stato emesso un avviso di liquidazione ai fini dell’imposta di registro con il quale l’Ufficio, in relazione ad un atto di conferimento di immobili aventi sede in Italia e di titoli del valore complessivo di Euro 1.540.000, ha recuperato l’imposta di registro proporzionale ai sensi dell’art. 4 della Tariffa, Parte Prima, allegata al D.P.R. 131/1986. L’avviso di liquidazione è stato impugnato dalla società contribuente e il relativo giudizio si è concluso con una sentenza, confermata in grado di appello, con cui il Giudice di merito ha ritenuto la società esterovestita, dovendosi ritenere che la direzione effettiva della società fosse in Italia in quanto ivi erano localizzati i beni immobili gestiti dalla stessa. Inoltre, sempre in Italia si producevano i relativi canoni di locazione. La CTR ha precisato che la nozione di sede legale o amministrativa indicata nell’art. 4 della Nota IV della Tariffa Parte Prima DPR n. 131/1986 dev’essere intesa nel senso di direzione effettiva della società e che non fosse nella specie dimostrata dalla società, concludendo per la qualifica di società esterovestita creata fittiziamente ad hoc con il precipuo scopo di beneficiare di una tassazione più favorevole e realizzare interessi economici sottostanti alla conferente, non svolgendo alcuna attività nel luogo di costituzione. La società ha proposto ricorso per cassazione affidato a plurimi motivi. Con il primo motivo, per quanto rileva ai fini del presente commento, ha sostenuto la violazione dell’art. 2, par. 1 della Direttiva comunitaria 69/335/CEE del 17 luglio 1969 e dell’art. 5 della Direttiva comunitaria 288/7/CEE del 12 febbraio 2008, dell’art. 4, Nota IV Tariffa Prima Parte allegata al DPR n.131/1986 per aver ritenuto il Giudice regionale che la sede della direzione effettiva della società sarebbe quella del luogo in cui sono localizzati i beni gestiti e non anche il luogo in cui vengono assunte le decisioni sociali, come chiarito dalla giurisprudenza unionale. L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso. La decisione La Corte di cassazione con la sentenza in commento ha accolto il ricorso, con rinvio ad altra sezione della Corte di Giustizia Tributaria della Lombardia. La motivazione resa dalla Suprema Corte parte dal nucleo concettuale della decisione di secondo grado, secondo cui la sede di direzione effettiva dell’attività svolta sarebbe coincidente con il luogo in cui sono localizzati i beni gestiti. Il tema centrale della controversia ruota attorno al concetto di esterovestizione, intesa quale fittizia localizzazione della residenza fiscale di una società all’estero. Secondo l’ormai consolidato orientamento della Cassazione, la nozione di “sede dell’amministrazione”, contrapposta alla “sede legale”, coincide con quella di sede effettiva (di matrice civilistica), intesa come luogo di concreto svolgimento delle attività amministrative e di direzione dell’ente e dove si convocano le assemblee, e cioè il luogo deputato, o stabilmente utilizzato, per l’accentramento – nei rapporti interni e con i terzi – degli organi e degli uffici societari in vista del compimento degli affari e dell’impulso dell’attività dell’ente[1]. A tal proposito, viene richiamata la sentenza della Corte di Giustizia UE del 28 giugno 2007, secondo cui la sede dell’attività economia “indica il luogo in cui vengono adottate le decisioni essenziali concernenti la direzione generale della società e in cui sono svolte le funzioni di amministrazione centrale di quest’ultima, e che la determinazione del luogo della sede dell’attività economica di una società implica la presa in considerazione di un complesso di fattori, al primo posto dei quali figurano la sede statutaria, il luogo dell’amministrazione centrale, il luogo di riunione dei dirigenti societari e quello, abitualmente identico, in cui si adotta la politica generale di tale società”, aggiungendo che “Possono essere presi in considerazione anche altri elementi, quali il domicilio dei principali dirigenti, il luogo di riunione delle assemblee generali, di tenuta dei documenti amministrativi e contabili e di svolgimento della maggior parte delle attività finanziarie, in particolare bancarie”[2]. Il motivo è stato accolto posto che la CTR non si sarebbe uniformata a tali principi, avendo valorizzato unicamente la localizzazione territoriale dei beni, finendo così per sminuire la rilevanza dell’attività direttiva e gestoria svolta nello Stato estero. F.D.D. [1] Di recente, Cass. n. 1554/2023. [2] Cass. n. 15424/2021.