"Focus penale tributario" - Società cartiere: gli indici di operatività che escludono la frode

27 Giugno 2024

Il presente contributo è stato redatto in collaborazione con l’Osservatorio Compliance 231 nell’ambito della rubrica mensile “Focus Penale Tributario”.

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Con la sentenza n. 16442 del 19 aprile 2024 la Corte di cassazione ha fornito interessanti indicazioni in merito agli indici che consentono di escludere la qualifica di cartiera in capo a una società coinvolta in un processo per frode.

Ritenendo non provata la contestazione in merito all’asserita natura di società cartiera di una s.r.l. di cui l’imputato era legale rappresentante e, conseguentemente, non provata l’inesistenza delle prestazioni oggetto delle fatture contestate, i giudici di legittimità hanno annullato la condanna emessa in primo grado e confermata in appello per i reati di cui agli articoli 2 e 8 del D.lgs. 74/2000.

Secondo la Corte, la natura di cartiera sarebbe stata attribuita dai giudici di merito alla società legalmente rappresentata dall’imputato in assenza di una concreta ed esaustiva ricognizione degli indici sintomatici dell’inesistenza e non effettività dell’attività imprenditoriale. La sentenza impugnata, infatti, non avrebbe chiarito sufficientemente le ragioni della presunta non operatività della società, richiamando invece elementi ritenuti non dirimenti.

Aderendo alle osservazioni formulate dalla difesa dell’imputato, la Cassazione ha valorizzato alcuni indicatori dell’effettiva operatività della società, in particolare:

  • l’effettiva esistenza di un progetto imprenditoriale di espansione commerciale;
  • la titolarità di autorizzazioni ambientali per l’esercizio dell’attività di recupero e trattamento dei rifiuti plastici;
  • le modalità di assunzione e di trasferimento del personale che, sconfessando la tesi accusatoria accolta dai giudici di merito relativamente al carattere fittizio delle assunzioni e alla destinazione della forza lavoro verso altra società, rappresentavano l’esito di reali trattative, che avevano visto la partecipazione anche delle rappresentanze sindacali;
  • le modalità operative attraverso le quali la società realizzava il suo fatturato, conseguendo ingenti ricavi;
  • l’irrilevanza dell’asserito aggiramento del meccanismo del reverse charge rispetto alla prova della non operatività della società e del preteso vantaggio fiscale dell’operazione illecita.

A fronte di tali riscontri, pertanto, la Corte ha ritenuto di escludere la natura cartiera della società rappresentata dall’imputato altresì evidenziando, sia pure in maniera cursoria, come non appaiano sufficientemente chiare le motivazioni a supporto dell’asserito carattere fraudolento delle operazioni oggetto di imputazione.

Le conclusioni della Suprema Corte appaiono di peculiare interesse, ove solo si consideri che in un ambito particolarmente complesso come quello delle frodi fiscali (peraltro connotato, nell’ambito proprio al giudizio tributario, dal massiccio e spesso problematico ricorso allo strumento delle presunzioni), i profili probatori tendono ad assumere contorni frastagliati, con la conseguenza che alla giurisprudenza è di fatto riconosciuto un ampio margine di elaborazione degli indici di fittizietà dell’impresa.

Nel caso in esame si tratta di indici afferenti specificamente alla natura di cartiera di una società. Le cartiere, come è noto (e in estrema sintesi), si connotano da una parte per l’apparente regolarità contabile, dall’altra per la scarsità di beni strumentali e, talora, per l’assenza di utenze e una vita piuttosto breve, oltreché per la sistematica omissione nel versamento delle imposte. Tendono ad assumere “forma giuridica di società a responsabilità limitata e gli amministratori sono di frequente delle “teste di legno”” (Cass. n. 28979/2016; id. n. 5434/2017, n. 6262/2019, n. 36247/2019 e n. 38599/2019).

Di solito, tali soggetti si collocano tra il primo fornitore e gli operatori terminali della catena di scambi[1]. La cartiera acquista il bene per poi rivenderlo con applicazione dell’IVA con aliquota ordinaria; a questo punto, generalmente non versa l’imposta esposta in fattura né dà seguito agli adempimenti dichiarativi, dando origine alla prima vera condotta fraudolenta e agevolando la percezione di indebiti vantaggi economici e fiscali da parte degli altri soggetti coinvolti nel meccanismo decettivo.

In tale contesto occorre evidenziare che, a latere le elaborazioni giurisprudenziali, l’Unità di Informazione Finanziaria per l’Italia (Quaderni dell’Antiriclaggio, n. 15 – dicembre 2020, “Un indicatore sintetico per individuare le società cosiddette cartiere”) ha enucleato alcuni indici di natura cartiera degli operatori commerciali. Si tratta, per l’UIF, di “società con una dotazione patrimoniale minima, prive di finanziamenti bancari che spesso entrano in liquidazione dopo pochi anni di vita e che effettuano frequenti variazioni della sede sociale e risultano gestite da soggetti molto anziani o giovanissimi che, nella maggior parte dei casi, non hanno una storia imprenditoriale alle spalle o risultano nullatenenti o sono stati oggetto di precedenti fallimenti, pignoramenti, protesti, ecc. Spesso la compagine sociale e/o gestoria di una cartiera varia frequentemente e a volte si accompagna con modifiche dell’oggetto sociale molto spesso ampio ed eterogeneo. Questa fluidità è ricercata per sottrarre la cartiera da accertamenti fiscali e per consentirle di accendere nuovi conti eludendo, temporaneamente, il vaglio dell’intermediario bancario”.

Di là dal tema-cardine degli indici della natura di cartiera, la pronuncia in commento è meritevole di attenzione anche per il richiamo fatto dalla Corte alla sentenza emessa dal giudice di appello nell’ambito del giudizio tributario laddove, sulla base dei medesimi elementi che hanno condotto alla condanna nei primi due gradi del giudizio penale, Corte di giustizia tributaria di II grado ha invece annullato le pretese erariali, riconoscendo le ragioni della contribuente. Il giudice tributario, infatti, ha riconosciuto l’operatività e la valida costituzione della società, nonché accertato le finalità coerenti con l’ambito industriale di riferimento e i concreti risultati nell’ambito del processo di riorganizzazione del gruppo di appartenenza.

In questo quadro, la risoluzione anticipata del contratto di locazione del ramo d’azienda, che per i giudici penali ha costituito una delle principali evidenze a riprova della natura cartiera della società, viene invece considerata dalla Corte tributaria elemento neutro.

Il passaggio della sentenza della Corte di cassazione appena richiamato appare interessante per comprendere come – seppur non vincolante nel giudizio penale – la decisione assunta nel parallelo giudizio tributario sulla base dei medesimi elementi probatori possa comunque indirizzare le valutazioni del giudice penale che, di conseguenza, evita il verificarsi di giudicati tra loro nettamente contrastanti.

Con l’entrata in vigore della riforma fiscale in materia di sanzioni, l’obiettivo di rendere i sistemi tributario e penale maggiormente coerenti viene oggi concretamente perseguito attraverso l’inserimento del comma 1 bis all’interno dell’art. 20 del D.lgs. 74/2000, che – come detto nel precedente articolo[2] – consente l’acquisizione nel processo penale, ai fini della prova dei fatti, delle sentenze definitive rese nel giudizio tributario e degli atti di definitivo accertamento in sede amministrativa, anche a seguito di adesione, aventi ad oggetto violazioni derivanti dai medesimi fatti per cui è stata esercitata l’azione penale.


[1] In via generale, il meccanismo alla base di una frode imperniata su operazioni inesistenti (specie se caratterizzate da inesistenza oggettiva) è relativamente lineare, ferma restando la possibilità di elaborare strutture particolarmente articolate in conformità allo schema della c.d. frode carosello, dando origine a una concatenazione di operazioni connotate dall’assenza di effettivi scambi di merci. In conformità a tale schema si “allunga” la filiera delle cessioni fittizie mediante l’interposizione di soggetti-filtro (c.d. buffers) il cui unico fine risiede nel fornire alla catena un’apparenza di liceità fiscale, rendendo impossibile o particolarmente difficoltosa l’attività di verifica, altresì attraverso la predisposizione di un quadro contabile coerente. Il beneficio conseguito dal cessionario a seguito dell’omesso versamento d’imposta da parte del cedente (generalmente la cartiera, o missing trader) consiste nella detrazione indebita di IVA sul fondamento di crediti d’imposta fittizi e nell’eventuale registrazione di costi non reali.

[2] Focus Penale Tributario del 30 aprile 2024 “ Il doppio binario penal-tributario e l’adeguamento al principio del ne bis in idem: le novità previste dalla riforma fiscale”, in Osservatorio Compliance 231, https://www.osservatorio-231.it/2024/04/30/il-doppio-binario-penal-tributario-e-ladeguamento-al-principio-del-ne-bis-in-idem-le-novita-previste-dalla-riforma-fiscale/

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