Perdita su crediti: necessari elementi certi e precisi per deducibilità

22 Maggio 2024

La Suprema Corte, con la recente sentenza n. 8714 depositata il 3 aprile 2024, ha ribadito il principio secondo cui, ai sensi dell'art. 101, c. 5 TUIR, applicabile ratione temporis, la cessione pro soluto di un credito ritenuto inesigibile produce una perdita deducibile dal reddito imponibile soltanto ove il contribuente alleghi e documenti elementi certi e precisi, che non si esauriscono nella pattuizione di un corrispettivo inferiore al valore nominale del credito ceduto e nella perdita emergente dalla cessione in sè considerata, ma comprendano anche gli elementi che hanno indotto all'operazione e al conseguente recupero solo parziale del valore nominale.

Il caso

La società EST Srl ha rilevato al 31 dicembre 2008 una minusvalenza deducibile del valore di Euro 12.878.830 a seguito di una cessione pro soluto di crediti, vantati nei confronti di altre società, in favore della società BVI Srl.

Tale operazione è stata oggetto di controllo da parte dell’Agenzia delle Entrate che, all’esito della relativa attività, ha concluso come tale minusvalenza non possa ritenersi deducibile ai sensi dell’art. 101, comma 1 del TUIR. Invero, a parere dei verificatori, l’operazione rientrerebbe nella fattispecie elusiva di cui all’art. 37-bis del DPR n. 600/1973 e, in quanto non opponibile all’Amministrazione finanziaria, sarebbe riqualificabile nella previsione dell’art. 101, comma 5 del TUIR.

L’operazione, secondo l’AdE, integrava una perdita su crediti priva dei requisiti della certezza e previsione, necessari ai fini della deducibilità della stessa posta con la conseguenza che tale perdita era stata indebitamente tramutata dalla contribuente in una minusvalenza da cessione, che non sarebbe deducibile nella specie.

A sostegno del carattere elusivo dell’operazione, l’Ufficio ha rilevato la tempistica di rilevamento, corrispondente alla fine dell’anno di imposta, e l’interrelazione tra i vari soggetti coinvolti, che configurava sostanzialmente un gruppo economico tra le varie società.

La società contribuente ha impugnato l’avviso di accertamento con ricorso innanzi alla competente Commissione Tributaria Provinciale di Roma, sostenendo – tra l’altro – la violazione e falsa applicazione dell’art. 101 del TUIR. Il Giudice di prime cure ha accolto il ricorso con una sentenza che è stata completamente riformata in sede di gravame.

La società ha proposto ricorso per cassazione affidato a plurimi motivi, tra cui – per quanto rileva ai fini del presente commento – la violazione di legge della sentenza impugnata dovendo rientrare la fattispecie in esame nella previsione di cui all’art. 101, comma 1 del TUIR. Di conseguenza, non sussiste la necessità di provare la sussistenza dei presupposti di certezza e precisione, richiesti piuttosto nei casi di svalutazione del credito.

La decisione

La Suprema Corte con la sentenza in commento ha accolto in parte il ricorso, relativamente al motivo che riguarda le sanzioni – da rideterminarsi con riferimento alla nuova disciplina di cui al D. Lgs. n. 158/2015 (ius superveniens) – rigettandolo e/o dichiarandolo inammissibile per il resto. Ha perciò cassato la sentenza con rinvio ad altra sezione ella CGT di II grado del Lazio, cui ha demandato di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

La Cassazione ha offerto una puntuale rassegna del panorama giurisprudenziale, rilevando che in diversi precedenti – suddivisi in due opposti orientamenti – la cessione pro soluto di crediti ritenuti inesigibili non comporta di per sé la deducibilità delle relative perdite ai fini del reddito, allorché non siano presenti dati di riferimento precisi o procedure concorsuali in atto, verificandosi solo in quest’ultimo caso un’automatica deducibilità delle perdite[1].

Di conseguenza, le perdite su crediti possono ritenersi deducibili dal reddito imponibile soltanto se risultino da elementi certi e precisi, essendo a carico del contribuente l’onere di allegare e documentare gli elementi che hanno dato luogo alla perdita[2]. In particolare, la mera allegazione di una cessione pro soluto non esonera il contribuente dal documentare, mediante elementi certi e precisi, il prezzo stimato.

Più recentemente la stessa Corte ha rimarcato come gli elementi certi e precisi non possono tautologicamente esaurirsi nella pattuizione di un corrispettivo inferiore al valore nominale del credito ceduto, ma devono riguardare le ragioni che hanno consigliato l’operazione ed il conseguente recupero solo parziale, dovendosi escludere l’esistenza di qualsiasi automatismo di deducibilità delle perdite[3].

Deve perciò dimostrarsi che la cessione corrisponda ad una effettiva riduzione di valore reale del credito stesso, che non può essere giustificata se non con una riduzione della garanzia patrimoniale offerta dalla società debitrice in misura tale da rendere impossibile la realizzazione completa del credito in questione[4].

Occorre in ogni caso valutare l’inerenza della componente negativa ai sensi dell’art. 109 del TUIR, dovendosi dimostrare le ragioni di convenienza economica che hanno determinato l’accettazione di un corrispettivo molto inferiore al valore nominale dei crediti ceduti[5].

La Corte ha concluso pronunciando il seguente principio di diritto: ai sensi dell’art. 101, comma 5 TUIR, applicabile ratione temporis, la cessione pro soluto di un credito ritenuto inesigibile produce una perdita deducibile dal reddito imponibile soltanto ove il contribuente alleghi e documenti elementi certi e precisi, che non si esauriscono nella pattuizione di un corrispettivo inferiore al valore nominale del credito ceduto e nella perdita emergente dalla cessione in sé considerata, ma comprendano anche gli elementi che hanno indotto all’operazione ed al conseguente recupero solo parziale del valore nominale.

F.D.D.


[1] Cass. n. 14568/2001.

[2] Cass. n. 5357/2006 e Cass. n. 5183/2020.

[3] Cass. n. 16823/2014.

[4] Cass. n. 20450/2011.

[5] Cass. n. 5787/2021.

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