Con l’ordinanza n. 10788, depositata in data 22 aprile 2024, la Cassazione ha affermato che è consentito all’Agenzia delle entrate produrre nel giudizio di appello il processo verbale di constatazione, prodromico all’emissione dell’avviso di accertamento, non prodotto in primo grado. Tale pronuncia, inoltre, si colloca nel solco di quell’orientamento di legittimità che riconosce al giudice il potere di acquisizione d’ufficio del processo verbale di constatazione richiamato nell’atto impugnato ma non depositato in giudizio da nessuna delle parti (pubblica e privata). IL CASO Il giudice di merito, sia in primo che in secondo grado, annullava l’accertamento dell’Ufficio in ragione della mancata produzione in giudizio del processo verbale di constatazione, dal quale aveva originato l’accertamento, ritenendo la conoscenza dello stesso “componente essenziale sul piano motivazionale”, ed argomentando che proprio a causa di tale omissione l’Agenzia non aveva fornito “la prova dei fatti costitutivi”. L’Ufficio impugnava la sentenza di secondo grado con ricorso per cassazione dolendosi della contraddittorietà della sentenza gravata per aver confuso il piano motivazionale dell’accertamento con quello strettamente probatorio, che non era in alcun modo stato inficiato dalla mancata produzione del PVC – poi avvenuta unitamente al ricorso in appello – atteso che nell’atto impositivo erano stati completamente trasfusi i fatti costitutivi della pretesa tributaria come risultanti dal menzionato processo verbale. Il caso vagliato dalla Suprema Corte attiene, in breve, all’ipotesi invero frequentissima in cui la motivazione dell’atto impugnato è stata redatta dall’Amministrazione finanziaria con la tecnica compilativa della motivazione “per relationem”, ossia richiamando i concreti elementi emersi nel corso dell’indagine fiscale che giustificano la ripresa erariale, senza allegare il PVC all’atto impositivo. LA PRONUNCIA Nel responso, favorevole all’Agenzia delle entrate, la Cassazione ha sottolineato che la premessa della CTR è senz’altro corretta nel punto in cui afferma che la mancata produzione del PVC rileva sotto il duplice profilo motivazionale e istruttorio. Sotto il primo profilo, infatti, il PVC – anche qualora sia richiamato “per relationem” – pone una questione di completezza motivazionale dell’accertamento, con conseguente pienezza del contraddittorio in merito alle ragioni della pretesa fiscale. Viene, peraltro, escluso che al mancato deposito del PVC possa applicarsi la più grave sanzione processuale dell’inammissibilità del ricorso, non essendo ciò previsto dall’art. 22, c. 1, del d.lgs. n. 546/1992, e ribadita la possibilità di produrre tale atto amministrativo anche in un momento successivo, ai sensi del c. 4 della medesima disposizione. La Suprema Corte richiama poi un proprio precedente (Cass. n. 12383/2021), con il quale sono stati distinti, in modo quasi didascalico, tre possibili scenari processuali che possono verificarsi con riguardo alla produzione o meno del PVC in giudizio. La prima e la seconda ipotesi concernono il caso in cui il PVC non sia stato allegato, ma in parte trascritto oppure meramente richiamato nel provvedimento impositivo: in questi casi il giudice di merito dovrà verificare se tali circostanze integrano indizi che non consentono di condurre ad una decisione ragionata, imponendo di conseguenza il potere – che va congruamente motivato – di integrazione probatoria previsto dall’art. 7, c. 1, del d.lgs. n. 546/1992, a tenore del quale “Le corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado, ai fini istruttori e nei limiti dei fatti dedotti dalle parti, esercitano tutte le facoltà di accesso, di richiesta di dati, di informazioni e chiarimenti conferite agli uffici tributari ed all' ente locale da ciascuna legge d'imposta”. Infine, la terza ipotesi si ha nell’eventualità in cui il PVC sia stato debitamente allegato al provvedimento impositivo, ma non prodotto in giudizio: in questo caso, secondo la Corte il giudice “potrà disporre l’acquisizione (...) senza che ciò implichi esercizio dei poteri di integrazione probatoria di cui al citato art. 7, comma 1, trattandosi di attività preordinata alla completezza di un atto (quello impositivo) già agli atti processuali nonché funzionale all’integrazione del contraddittorio su esso e compatibile con la natura di impugnazione merito propria del processo tributario”. È evidente che, nel richiamare tale precedente, la pronuncia in commento condivida quella tesi secondo cui – dopo l’abrogazione del comma 3 dell’art. 7 del d.lgs. n. 546/1992 che consentiva al giudice di “ordinare alle parti il deposito di documenti ritenuti necessari per la decisione della controversia” – sarebbe comunque consentita l’acquisizione d’ufficio del PVC in singole fattispecie concrete, perché nel processo tributario il comma 1 dell’art. 7 cit. “attribuisce alle Commissioni tributarie, nei limiti dei fatti dedotti dalle parti, un potere di «soccorso istruttorio» che, motivatamente, può essere esercitato, non per supplire a carenze delle parti nell’assolvimento del rispettivo onere probatorio, ma solo in funzione integrativa degli elementi di giudizio già in atti o acquisiti in quanto non sufficienti per pronunziare una sentenza ragionevolmente motivata” (Cass. n. 12383 cit.). Quanto al profilo istruttorio, viene ribadito che la tecnica di redigere la motivazione “per relationem” non può incidere sull’onere della prova (Cass. n. 21509/2010). Alla stregua dei principi richiamati la CTR avrebbe errato nel ritenere non motivato l’avviso facente richiamo al PVC, di cui “riproduceva i tratti essenziali”, così come nel ritenere, sul piano strettamente istruttorio, che l’Agenzia non avesse fornito la prova dei fatti costitutivi, avendo invece “prodotto il PVC in uno all’atto di appello”. Conclude, quindi, la Suprema Corte che l’Amministrazione finanziaria ha assolto all’onere probatorio sulla stessa incombente, ben potendo il PVC essere prodotto anche solo in appello ai sensi dell’art. 58 del d.lgs. n. 546/1992 “ratione temporis vigente”, entro il termine perentorio dei venti giorni liberi prima dell’udienza di trattazione previsto dall’art. 32, c. 1, e con l’osservanza delle formalità di cui all’art. 24, c. 1, del medesimo decreto. Il deposito del PVC in appello deve ritenersi precluso – salvo che tale produzione sia ritenuta dal giudice di merito “indispensabile” – per i giudizi instaurati in secondo grado a decorrere dal 4 gennaio 2024, alla luce del novellato art. 58 del d.lgs. n. 546/1992 che prevede, ora, il generale divieto di produrre nuovi documenti per la prima volta in appello. S.L.