La Cassazione con l’ordinanza n. 2604, depositata in data 29 gennaio 2024, ha ribadito un principio nient’affatto nuovo, ma sempre attuale (sussistendo allo stato due orientamenti contrapposti in seno alla Corte) secondo cui il giudice tributario può disapplicare ex officio le sanzioni irrogate al contribuente in presenza dell’obiettiva incertezza sulla portata e l’ambito applicativo delle normativa tributaria di riferimento, trattandosi dell’unico soggetto che può ritenersi collegato a siffatta situazione giuridica di oggettiva incertezza. IL CASO La Società contribuente sottoscriveva un contratto con altra società per la fornitura di prestazioni di servizi relative allo smaltimento di combustibile derivato dai rifiuti (noto con l’acronimo “CDR” o, con quello inglese di “RDF”, Refuse Derived Fuel), ovvero un combustibile ottenuto dal trattamento chimico-fisico dei rifiuti solidi urbani che consente di produrre energia. L’Agenzia delle entrate notificava tre atti di accertamento relativi agli anni 2005, 2006 e 2007, con i quali contestava l’omessa regolarizzazione delle relative fatture di acquisto, in quanto emesse con applicazione dell’IVA agevolata al 10%, in luogo di quella ordinaria al 20%. Le ragioni del contribuente trovavano accoglimento in secondo grado perché la condizione per la fruizione dell’aliquota ridotta sull’attività di gestione dei rifiuti era che questi potessero essere qualificati come rifiuti urbani e tali erano i “CDR”. Inoltre, i giudici – seppure in assenza di una specifica domanda di parte – si pronunciavano anche sull’applicazione delle sanzioni da parte dell’Ufficio, ritenendole non corrette attesa l’incertezza interpretativa della normativa di riferimento, ai sensi dell’articolo 8 del d.lgs. n. 546/92, a causa della stratificazione nel tempo “di norme correttive e sostitutive, pseudo esplicative, decreti, risoluzioni” che, lungi dal portare chiarezza, “avevano provocato ancora più confusione nella fattispecie di fatto identificata dai codici CER (catalogo Europeo dei Rifiuti)”. Avverso tale sentenza l’Agenzia delle entrate proponeva ricorso per cassazione denunciando, per quanto qui di rilievo, anche il vizio di extrapetizione in cui era incorso il giudice di merito per aver statuito sull’applicazione dell’esimente dell’obiettiva condizione di incertezza normativa in assenza di una specifica domanda formulata dalla contribuente nel ricorso introduttivo del giudizio. LA PRONUNCIA La Corte di cassazione, con la sentenza in commento, ha rigettato il ricorso proposto dall’Amministrazione finanziaria, richiamando le diverse norme che disciplinano nell’ordinamento tributario l’esimente in parola: Secondo la Cassazione l’art. 6 del d.lgs. n. 472/97 enuncia un principio di portata generale concernente la non applicabilità delle sanzioni nelle ipotesi di oggettiva incertezza normativa che, secondo il costante orientamento di legittimità (Cass. n. 18031/2013), sussiste quando “la disciplina normativa da applicare si articoli in una pluralità di prescrizioni, con un coordinamento concettualmente difficoltoso per equivocità di contenuto, derivante da elementi positivi di confusione, il cui onere di allegazione grava sul contribuente”. Sul contribuente grava, spiega la Corte, solo l’onere di “allegazione” dello stato di obiettiva incertezza sulla portata e l’ambito applicativo delle normativa tributaria di riferimento, mentre rientra tra i compiti esercitabili d’ufficio dal giudice tributario, talché non è richiesta una specifica istanza di parte, l’applicazione di tale esimente. Ciò in quanto l’art. 8 del d.lgs. n. 546/92 individua proprio nell’organo giudicante il soggetto deputato a dichiarare non applicabili le sanzioni non penali laddove sia verificato tale stato di incertezza normativa. Inoltre, tale potere non conosce delimitazioni riferibili al grado e allo stato del processo e, dunque, è esercitabile anche nel giudizio di rinvio, salvo che sussistano preclusioni. La Cassazione ha rimarcato che, dal lato soggettivo, la situazione di giuridica incertezza alla quale l’ordinamento ricollega il potere di disapplicazione delle sanzioni non penali si riferisce esclusivamente ai “Giudici”, rimanendo del tutto indifferente la situazione di incertezza normativa nella quale versino altri soggetti, quali ad esempio il “generico contribuente” ma anche il contribuente che, per la sua “perizia professionale”, sia capace di un’interpretazione qualificata della normativa. Lo stato di incertezza normativa, inoltre, non potrà mai riferirsi all’Ufficio tributario – il quale, di conseguenza, non potrà mai disapplicare, di sua iniziativa, le sanzioni amministrative tributarie – “perché il titolare del potere d’imposizione tributaria deve svolgere continuamente un’attività d’interpretazione normativa, del cui risultato si deve dichiarare certo a prescindere dalle difficoltà incontrate”. In tale contesto, l’eventuale domanda del contribuente di disapplicazione delle sanzioni formulata in secondo grado, anche su rinvio, non rappresenta una “domanda nuova”, ma tuttalpiù una mera “sollecitazione” rivolta al giudice affinché eserciti un potere allo stesso spettante d’ufficio. Come osservato nella stessa ordinanza in commento, ad oggi l’orientamento della Corte di cassazione non è unitario, esistendo diverse e recenti pronunce (tra cui, Cass. n. 17195/2019 e Cass. n. 15406/2021) secondo cui il potere del giudice di procedere alla declaratoria di non applicabilità delle sanzioni sarebbe subordinato ad una apposita domanda del contribuente da formulare, a pena di decadenza, nel ricorso introduttivo, sicché sarebbe da escludersi la sua proponibilità con i motivi di appello. L’esistenza del cennato contrasto giurisprudenziale rende sicuramente prudenziale per il ricorrente l’inserimento dell’eccezione di disapplicazione delle sanzioni nel ricorso introduttivo. Ciò, in attesa che si consolidi – auspicabilmente – l’orientamento più garantista per il contribuente cui ha aderito l’ordinanza in commento. S.L.