Il presente contributo è stato redatto in collaborazione con l’Osservatorio 231 nell’ambito della rubrica mensile “Focus Penale Tributario” * * * La revisione del sistema sanzionatorio penal-tributario alla luce della legge delega Gli interventi che negli ultimi decenni hanno inciso sulla fisionomia del sistema penal-tributario si sono contraddistinti oltreché per una logica frammentaria – non inquadrata cioè in un complessivo quadro volto a ridisegnare l’impianto sanzionatorio – per un progressivo inasprimento della risposta sanzionatoria e per un irrigidimento nei rapporti tra i due ambiti processuali, perdendo di vista coerenza ed equità del sistema. Una diversa prospettiva anima, oggi, la legge delega per la riforma fiscale (L. 111/2023) che, nel dichiarato (quanto auspicato) intento di rendere maggiormente proporzionale l’attuale assetto in accoglimento dei reiterati moniti della Corte Europea, ha demandato al Governo una vasta e profonda opera di revisione. La delega in parola è contenuta all’articolo 20 della citata legge, che assurge a fulcro della riforma delineando i criteri direttivi per la messa in atto di una profonda revisione del sistema sanzionatorio tributario, amministrativo e penale. L’art. 20, infatti, ne prevede la razionalizzazione anche attraverso una maggiore integrazione tra le varie sanzioni, ai fini del completo adeguamento al principio del ne bis in idem codificato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che ricorre allorquando i fatti contestati siano giuridicamente identici nei propri elementi strutturali, ossia condotta, evento, nesso causale, circostanze di tempo e di luogo. ll viceministro Maurizio Leo, del resto, aveva chiarito che in sede di riforma del sistema sanzionatorio “verranno adeguate le norme relative alla non punibilità agli indirizzi emersi dalla giurisprudenza, aiutando chi non può pagare per cause di forza maggiore, chi decide comunque di mettersi in regola, anche attraverso la rateizzazione, pagando l'intera imposta, le sanzioni (ridotte) e gli interessi" (F. Machina Grifeo, Cdm, primo via libera alla riscrittura delle sanzioni tributarie, Il Sole 24 Ore, 21 febbraio 2024). In tale direzione il Consiglio dei Ministri ha approntato lo schema del nono decreto attuativo della legge delega, concernente importanti novità volte alla revisione dei decreti del 1997 disciplinanti le sanzioni amministrative, nonché del D. Lgs. 74/2000 in materia di reati tributari. Stando alla bozza circolata, molteplici sono i settori di intervento destinati a dare nuovo volto all’attuale impianto sanzionatorio. Quanto agli aspetti comuni, come anticipato, si registra, tra i principali obiettivi dell’esecutivo, il completo adeguamento al principio del ne bis in idem, che la legge delega mira a realizzare attraverso una maggior integrazione fra le diverse fattispecie sanzionatorie. In un’ottica di necessario coordinamento tra i binari dei rispettivi processi assume, inoltre, notevole impatto applicativo il nuovo articolo 21-bis D. Lgs. 74/2000, che riconosce, in ogni stato e grado del processo tributario, efficacia di giudicato alla sentenza irrevocabile di assoluzione “pronunciata in seguito a dibattimento nei confronti del medesimo soggetto e sugli stessi fatti materiali oggetto di valutazione nel processo tributario”. Centrale in una prospettiva premiale e di particolare interesse ai fini del presente contributo è, poi, il particolare rilievo attribuito agli adempimenti collaborativi del contribuente. La valorizzazione degli accordi con il Fisco e del pagamento puntuale delle rate è difatti una scelta che ricorre in numerose disposizioni della bozza di decreto, non solo in chiave di non punibilità[1], ma persino di non applicabilità della misura cautelare del sequestro. È quanto emerge dal novellato art. 12-bis D. Lgs. 74/2000, che conferisce particolare rilevanza alla rateizzazione del debito tributario non solo per la parte già corrisposta (come accadeva finora, sulla scorta dell’elaborazione giurisprudenziale), ma anche per quella da versare in futuro. È infatti previsto che il sequestro dei beni finalizzato alla confisca non possa essere disposto ove il debito tributario sia in corso di estinzione mediante rateizzazione (anche a seguito di procedure conciliative o di accertamento con adesione), in assenza di un concreto pericolo di dispersione della garanzia patrimoniale. La nuova formulazione dell’art. 12-bis offre, pertanto, l’occasione per ripercorrere l’intricato tema del sequestro finalizzato alla confisca nell’ambito dei reati tributari. La confisca nei reati tributari La misura ablatoria della confisca derivante dalla condanna per reati tributari è stata introdotta in prima battuta dalla Legge Finanziaria 2008, mediante il rinvio all’art. 322-ter c.p. che disciplina la confisca del prezzo o del profitto collegato ai reati commessi dai Pubblici Ufficiali contro la Pubblica Amministrazione. Il D. Lgs. 158 del 24 settembre 2015 – volto alla revisione del sistema sanzionatorio penale tributario – ha successivamente introdotto nel D. Lgs. 74/2000 una disposizione ad hoc in tema di confisca del prezzo o del profitto derivante dalla commissione di reati tributari. L’attuale formulazione dell’art. 12-bis D. Lgs. 74/2000 prevede, infatti, che in caso di sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti per uno dei reati tributari, il giudice deve disporre la confisca dei beni che costituiscono il profitto o il prezzo del reato, salva l’ipotesi di tutela del soggetto terzo estraneo al reato, aggiungendo che, laddove non sia possibile procedere con la confisca diretta, dovrà essere disposta la confisca dei beni nella disponibilità del reo per un valore equivalente al prezzo o al profitto derivante dal reato. La confisca diretta La confisca diretta ha ad oggetto il prezzo o il profitto derivante dalla commissione del reato tributario, i quali devono essere necessariamente individuati nel quantum. In tal senso merita un breve cenno l’evoluzione giurisprudenziale del concetto di profitto del reato. Se inizialmente la giurisprudenza ha definito il profitto del reato come il “vantaggio economico ricavato in via immediata e diretta dal reato” (Cass. Pen., Sez. Un., n. 9149 del 17 ottobre 1996) e come “un beneficio aggiuntivo di tipo patrimoniale” (Cass. Pen., Sez. Un., n. 29952 del 9 luglio 2004), successivamente la nota sentenza Gubert (Cass. Pen., Sez. Un., n. 10561 del 5 marzo 2014) ha ricompreso nel concetto di profitto “qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguito alla consumazione del reato (che) può, dunque, consistere anche in un risparmio di spesa, come quello derivante dal mancato pagamento del tributo”, statuendo infine che “la confisca del profitto, quando si tratta di denaro o di beni fungibili, non è confisca per equivalente, ma confisca diretta”. A seguito della definizione del carattere fungibile del profitto derivante dal reato tributario è venuta meno di conseguenza anche la necessità di accertare la pertinenzialità al reato contestato del bene sottoposto a sequestro finalizzato alla confisca in via diretta (in tal senso Cass. Pen., Sez. Un., n. 31617 del 21 luglio 2015, “ove il profitto o il prezzo del reato sia rappresentato da una somma di denaro, questa, non soltanto si confonde automaticamente con le altre disponibilità economiche dell'autore del fatto, ma perde - per il fatto stesso di essere ormai divenuta una appartenenza del reo - qualsiasi connotato di autonomia quanto alla relativa identificabilità fisica. Non avrebbe, infatti, alcuna ragion d'essere - né sul piano economico né su quello giuridico - la necessità di accertare se la massa monetaria percepita quale profitto o prezzo dell'illecito sia stata spesa, occultata o investita: ciò che rileva è che le disponibilità monetarie del percipiente si siano accresciute di quella somma, legittimando, dunque, la confisca in forma diretta del relativo importo, ovunque o presso chiunque custodito nell'interesse del reo”). La confisca per equivalente Dal carattere fungibile del denaro deriva che la confisca per equivalente può avere ad oggetto unicamente beni o altre utilità nella disponibilità del reo per un valore corrisponde al prezzo o al profitto del reato. Presupposti della confisca per equivalente sono infatti: La confisca per equivalente, pur essendo volta a privare il colpevole del beneficio economico conseguito in forza della commissione dell’illecito penal-tributario, incide su beni estranei al reato e per questa ragione viene consentita solamente come extrema ratio nel caso in cui non sia stato possibile procedere con la confisca diretta del prezzo o del profitto del reato. L’impegno a versare all’erario in pendenza di un provvedimento di sequestro Di particolare interesse, anche nell’ottica della bozza di riforma, è il secondo comma dell’art. 12-bis D. Lgs. 74/2000, che favorisce l’estinzione del debito erariale mediante le procedure tipicamente tributarie rispetto al rimedio prettamente penalistico della confisca. Tale codificazione ha di fatto dato attuazione a un costante orientamento giurisprudenziale che nel tempo ha ampiamente riconosciuto che “la sanatoria della posizione debitoria con l’amministrazione finanziaria fa venire meno lo scopo principale che si intende perseguire con la confisca. Ne consegue che la restituzione all’erario del profitto derivante dal reato elimina in radice lo stesso oggetto sul quale dovrebbe incidere la confisca. In caso contrario si avrebbe appunto una inammissibile duplicazione sanzionatoria, in contrasto col principio che l’espropriazione definitiva di un bene non può mai essere superiore al profitto derivante dal reato” (ex multis Cass. Pen., Sez. III, n. 20887 del 15 aprile 2015). Ebbene, il legislatore ha ritenuto di dare attuazione a tale orientamento giurisprudenziale oramai rilevante prevedendo nell’attuale formulazione del comma 2 dell’art. 12-bis D. Lgs. 74/2000 che “La confisca non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all'erario anche in presenza di sequestro. Nel caso di mancato versamento la confisca è sempre disposta”. Il concetto di “impegno a versare” L’interpretazione del concetto di impegno del contribuente a versare il prezzo o il profitto del reato tributario ha però comportato numerosi dibattiti in dottrina e giurisprudenza, che hanno visto il prevalere dell’opinione secondo la quale tale impegno debba essere connotato dai caratteri di formalità e tipicità. Perché sia considerato valevole ai fini della non operatività degli effetti della confisca è necessario, quindi, che l’impegno assunto dal contribuente con l'Amministrazione finanziaria si sostanzi nell’accesso ad una delle procedure di adesione previste dalla normativa tributaria. Infatti “la mera esternalizzazione unilaterale del proposito di adempiere al pagamento svincolato da ogni scadenza e da ogni obbligo formale nei confronti della controparte” non è sufficiente a impegnare il contribuente nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria, e far discendere la non operatività della confisca dalla semplice manifestazione unilaterale determinerebbe il rischio di far dipendere l’esplicazione degli effetti si una sanzione penale dalla libera determinazione del privato. (Cass. Pen., Sez. III, n. 5728 dell’11 febbraio 2016) La giurisprudenza, inoltre, nel silenzio della legge, ha ritenuto che tra le procedure tributarie esperibili al fine di evitare l’operatività della confisca debbano ricomprendersi l’accertamento con adesione, la conciliazione giudiziale, la transazione fiscale e le procedure di rateizzazione, automatica o a domanda (ex multis Cass. Pen., Sez. III, n. 42087 del 6 ottobre 2016; Cass. Pen., Sez. III, n. 28225 del 9 febbraio 2016; Cass. Pen., Sez. III, n. 5728 del 14 gennaio 2016). La pendenza del sequestro Altro aspetto ampiamente approfondito dalla giurisprudenza concerne la possibilità di disporre o mantenere il sequestro preventivo finalizzato alla confisca anche qualora il contribuente abbia concordato con l’Amministrazione Finanziaria un piano di rateazione per il progressivo versamento del debito tributario. L’orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità è quello secondo il quale la rateazione del debito non osta alla disposizione del sequestro finalizzato alla confisca. L’adesione all’opposta tesi, infatti, determinerebbe l’inaccettabile conseguenza di rendere facoltativo questo genere di confisca, benché la legge ne decreti il carattere di obbligatorietà. Dunque, in base all’interpretazione data dell’art. 12 D. Lgs. 74/2000 nella sua attuale formulazione, l’obbligatorietà della confisca, e quindi del sequestro preventivo prodromico alla misura ablatoria sanzionatoria, permangono anche in caso di piano di rateazione del debito. Tuttavia, va osservato che secondo la giurisprudenza “qualora sia stato perfezionato un accordo tra il contribuente e l'Amministrazione finanziaria per la rateizzazione del debito tributario, (…) la cautela reale non possa essere mantenuta sull'intero ammontare del profitto derivante dal mancato pagamento dell'imposta evasa, ma che deve essere ridotta in misura corrispondente ai ratei versati per effetto della convenzione, e ciò in virtù dei principi di gradualità e proporzionalità delle misure cautelari perché, altrimenti, verrebbe a determinarsi una inammissibile duplicazione sanzionatoria, in contrasto con il principio secondo il quale l'ablazione definitiva di un bene non può mai essere superiore al vantaggio economico conseguito dall'azione delittuosa” (Cass. Pen., Sez. III, n. 14286 del 5 aprile 2023). Nella vigenza di tale formulazione dell’art. 12, di conseguenza, il vincolo reale posto dal sequestro finalizzato alla confisca permane nonostante sia stato individuato con l’Amministrazione Finanziaria un piano di rateazione del debito, ma rispetto alle rate effettivamente versate il contribuente è legittimato a richiedere il dissequestro della somma corrispondente a quella corrisposta all’Erario. Il nuovo comma 2 dell’art. 12-bis D. Lgs. 74/2000 La riforma fiscale di prossima attuazione mira a conferire alla rateazione del debito una maggiore rilevanza rispetto a quella riconosciuta dalla giurisprudenza, garantendo il divieto di sequestro finalizzato alla confisca anche per la parte di debito ancora da versare all’Amministrazione Finanziaria. Il nuovo comma secondo prevede infatti che “Salvo che sussista il concreto pericolo di dispersione della garanzia patrimoniale, desumibile dalle condizioni reddituali, patrimoniali o finanziarie del reo, tenuto altresì conto della gravità del reato, il sequestro dei beni finalizzato alla confisca di cui al comma 1 non è disposto se il debito tributario è in corso di estinzione mediante rateizzazione, anche a seguito di procedure conciliative o di accertamento con adesione, sempre che, in detti casi, il contribuente risulti in regola con i relativi pagamenti”. La norma di nuova introduzione prevede, quindi, che il sequestro finalizzato alla confisca non solo non possa esplicare i propri effetti come affermato dalla giurisprudenza di legittimità in relazione alla previgente formulazione, ma non possa nemmeno essere disposto – comportando forse il mutamento della confisca tributaria da obbligatoria a facoltativa – ove il debito tributario sia in corso di estinzione mediante rateizzazione, anche a seguito di procedure conciliative o di accertamento con adesione, se: Sebbene ad oggi non sia possibile fornire una precisa interpretazione del significato da attribuire alla disposizione di nuova introduzione in merito al “concreto pericolo di dispersione della garanzia patrimoniale, desumibile dalle condizioni reddituali, patrimoniali o finanziarie del reo, tenuto altresì conto della gravità del reato”, è opportuno sottolineare come l’ipotesi di novella valorizzi la progressiva estinzione del debito mediante rateizzazione “anche a seguito di procedure conciliative o di accertamento con adesione”. Formulazione invero ambivalente, atteso che a una prima lettura appare piuttosto estensiva, ma sotto altro profilo sembra restringere il campo ai soli piani di rateizzazione adottati a seguito dell’accesso a specifiche procedure deflative del contenzioso (conciliazione e accertamento con adesione). Così facendo, tuttavia, il legislatore sembra tagliar fuori alcune ipotesi di rateizzazione, come quelle conseguenti alla definizione delle liti pendenti, in una prospettiva che, a tutto concedere, non sembra coniugarsi perfettamente con le logiche premiali che caratterizzano la riforma del sistema sanzionatorio penal-tributario. Sarebbe infatti opportuno, in via cautelativa, un ripensamento – e di conseguenza una riformulazione – della norma nel senso di un più ampio e generalizzato richiamo all’estinzione del debito mediante il ricorso a qualsiasi istituto, onde evitare che, con riguardo al caso concreto, in sede penale venga esclusa l’applicabilità della norma in esame con riferimento a istituti differenti da quelli considerati nella bozza attuale. Ciò anche in considerazione del fatto che l’art. 1, co. 6, della bozza di decreto richiama espressamente (peraltro nel corpo del nuovo art. 28-sexies del d.P.R. 602/73, vale a dire una norma inserita in un contesto diverso da quello del decreto legislativo sui reati tributari) il solo ravvedimento speciale introdotto dalla legge di bilancio 2023 come modalità di graduale estinzione del debito valida ai fini dell’applicabilità del nuovo art. 12-bis, co. 2. [1] È quanto emerge dal nuovo comma 3-ter dell’art. 13 del D. Lgs. 74/2000, che contempla l’avvenuto adempimento integrale dell’obbligo di pagamento secondo il piano di rateazione concordato con l’Amministrazione finanziaria, nonché l’ammontare del debito tributario residuo quando sia in fase di estinzione, tra i criteri di valutazione della particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis c.p. Non solo: anche in relazione agli omessi versamenti (sia di ritenute che di IVA) la bozza di decreto modifica il perimetro di rilevanza penale, ancora una volta valorizzando il perfezionamento di versamenti rateali.