Non è dovuta l’IRAP dal professionista che si avvale della struttura organizzativa riferibile alla propria società di consulenza.

19 Febbraio 2024

Abstract

Con la Sentenza n. 3632 depositata in data 8 febbraio 2024 la Suprema Corte ha ribadito come, ai fini della sussistenza dei presupposti impositivi ai fini IRAP in capo al professionista, sia necessario che la struttura organizzata debba riferirsi allo stesso contribuente. Non è dovuta, invece, l’imposta in presenza di un’autonoma organizzazione riferibile alla società di consulenza del quale il professionista risulta socio o dipendente.

Il caso

La sentenza in commento pone nuovamente l’attenzione sui presupposti impositivi dell’IRAP in caso di attività esercitata dal professionista. Il caso di specie appare peculiare per la particolare posizione ricoperta dal professionista che, infatti, risultava socio di una primaria società di consulenza e revisione (KPMG).

Il giudizio trae origine dalla impugnazione del tacito diniego dell’Ente impositore conseguente ad una richiesta di rimborso IRAP proposta dal ricorrente per gli anni 2015, 2016 e 2017.

Le ragioni sottese alla richiesta di rimborso si sostanziavano nel fatto che il reddito prodotto per le annualità in questione dal professionista originasse dalla propria attività di consulente, resa avvalendosi di una più ampia struttura organizzativa appartenente alla società di consulenza di cui era socio e che risultava essere unico committente del professionista medesimo.

Il Ricorrente, in dettaglio, evidenziava l’assenza del requisito di cui all’art. 2 del D.lgs. 446/1997 in tema di autonoma organizzazione, in quanto lo stesso si serviva di quella messa a disposizione dalla società di cui era socio e che comunque rappresentava soggetto giuridicamente distinto dal professionista medesimo.

Sia nel primo che nel secondo grado di merito le doglianze del contribuente venivano disattese rispettivamente dalla C.T.P. di Milano e, successivamente, dalla C.T.R. Lombardia con la Sentenza n. 2707/17/2022 depositata il 24 giugno 2022.

Avverso tale ultimo pronunciamento, il contribuente proponeva ricorso dinanzi alla Suprema Corte, chiedendo la cassazione della sentenza al fine di vedersi riconoscere il diritto al rimborso.

Per quanto rileva ai fini del presente commento, con il primo motivo di ricorso il contribuente rilevava l’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui risultava attribuita rilevanza, ai fini della verifica della sussistenza del requisito dell’”autonoma organizzazione”, non già “alle dotazioni di personale e capitali facenti capo al ricorrente (sostanzialmente nulle, bensì al personale ed alle strutture organizzative riferibili alla KPMG Advisory S.p.A.”. Al riguardo, deduceva che di fatto non aveva mai svolto attività professionale di consulenza in favore di clienti suoi propri ma unicamente nei confronti di clienti di KPMG.

La decisione

La Suprema Corte, in totale adesione al primo motivo di ricorso, ha ritenuto fondato il ricorso con conseguente accoglimento nel merito delle ragioni del contribuente.

Nel proprio iter motivazionale, la Suprema Corte ha richiamato molti dei più recenti arresti giurisprudenziali resi in materia di IRAP.

In particolare, la Corte ha rilevato che “affinché un lavoratore autonomo sia assoggettato ad IRAP, è necessario non solo che egli sia inserito in una autonoma organizzazione, ma che egli sia anche titolare di questa organizzazione e ne sia dunque responsabile (Cass. 16 giugno 2022, n. 19397)”.

Nel caso di specie, invece, ha evidenziato  “(…) è incontroverso che il contribuente, pur essendo un lavoratore autonomo, non occupasse alcun collaboratore alle proprie dipendenze e, quanto ai beni strumentali, non disponesse di una propria organizzazione, ma era invece inserito stabilmente in una organizzazione facente capo ad un distinto soggetto giuridico, e cioè la consulenza KPMG Advisory s.p.a., che ne è l’unica responsabile organizzativa”.

A nulla rileva, secondo i Giudici, il fatto che il contribuente si avvalesse di tale organizzazione, non essendo tra l’altro lui a sostenere i costi per i collaboratori e dipendenti, e risultando pertanto privo di potere decisorio sulla gestione del personale medesimo al di là delle specifiche direttive impartite nell’ambito dei vari incarichi ricevuti dalla società.

Al riguardo, dunque, la Corte ha rammentato un orientamento giurisprudenziale secondo il quale “(…) non è sufficiente che il lavoratore si avvalga di una struttura organizzata, ma è anche necessario che questa struttura sia “autonoma”, cioè faccia capo al lavoratore stesso, non solo ai fini operativi, bensì anche sotto i profili organizzativi (…)”.

È stato inoltre ritenuto irrilevante dalla Corte la circostanza che il contribuente fosse titolare di una quota di partecipazione nel capitale della società di cui sfruttava l’organizzazione, in quanto “la titolarità e la responsabilità di tale autonoma organizzazione faceva comunque capo ad un soggetto diverso dal contribuente”.

Con l’accoglimento del ricorso, la Corte ha reso il seguente principio di diritto:

l’esercizio di un’attività professionale nell’ambito di una organizzazione costituita da una società il cui professionista è socio (o dipendente), non realizza il presupposto impositivo costituito dall’autonoma organizzazione ai fini dell’IRAP, in quanto, a tali fini, non è sufficiente che il lavoratore si avvalga di una struttura organizzata, ma è anche necessario che questa struttura sia “autonoma”, cioè faccia capo al lavoratore stesso, non solo ai fini operativi, bensì anche sotto i profili organizzativi; non sono, pertanto, soggetti a IRAP i proventi che un lavoratore autonomo percepisca come compenso per le attività svolte all’interno di una struttura da altri organizzata”.

Si tratta di una pronuncia condivisibile, nella misura in cui l’organizzazione presa come riferimento ai fini dell’applicazione dell’IRAP è della sola società di consulenza. La stessa organizzazione non può, contestualmente, risultare rilevante quale presupposto d’imposta per l’attività personale del socio della stessa società.

A.C.

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