Con la Sentenza n. 2752 del 2024 pubblicata lo scorso 30 gennaio 2024 la Suprema Corte torna ad occuparsi di avvisi di accertamento emessi nei confronti di soci di società di capitali a ristretta base. Al riguardo, nel richiamare un precedente del 2020, ha confermato la tesi secondo cui nel caso di società a ristretta base non debba applicarsi il beneficio dell’esenzione parziale degli utili societari, previsto dall’art. 47 del TUIR, poiché gli utili extracontabili sono stati conseguiti in evasione d’imposta, non essendo mai stati indicati nella contabilità della società. Il caso La Guardia di Finanza di Chiari (BS) ha avviato una verifica fiscale nei confronti della società Luma Plastic Srl all’esito della quale sono stati emessi due avvisi di accertamento per gli anni 2003 e 2004 relativi ad IVA e Imposte dirette. È seguita l’emissione di due atti impositivi nei confronti del socio L.L. con cui è stata sostenuta la presunta distribuzione di utili extrabilancio in considerazione della ristretta base azionaria di detta società. L’Agenzia delle Entrate con tali atti ha accertato rispettivamente il 95% dei maggiori ricavi accertati in capo alla società per l’anno 2003 e il 100% per l’anno 2004. Il contribuente ha proposto separati ricorsi avverso gli avvisi di accertamento deducendo, oltre alla necessaria integrazione del contraddittorio la cui istanza è stata definita in via pregiudiziale, l’illegittimità degli atti impositivi posto che nel caso di specie non vi sarebbero i presupposti per operare una presunzione di distribuzione dei maggiori utili della società in capo ai soci. Con separato motivo ha sostenuto l’infondatezza della ripresa fiscale in ragione dell’illegittima imputazione in capo al contribuente dell’intero ammontare degli utili extrabilancio, accertati in proporzione alla quota di partecipazione al capitale sociale (rispettivamente 95% e 100%), senza il rispetto de limite percentuale (40%) previsto dall’art. 47 del TUIR. La competente CTP di Brescia ha rigettato i ricorsi confermando la legittimità degli atti impugnati. Tale statuizione è stata confermata nel secondo grado di giudizio. Avverso la decisione di appello il contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a plurimi motivi. Per quanto rileva ai fini del presente commento, il contribuente ha denunziato la violazione e falsa applicazione degli artt. 38 del DPR n. 600/1973, artt. 115 e 116 c.p.c. nonché degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c. per avere la CTR ritenuto legittima l’imputazione pro quota dei maggiori redditi della società in capo ai soci, essendo la sola ristretta base sociale, in mancanza di altri attendibili elementi probatori, insufficiente a dimostrare, con una probabilità maggiore rispetto ad altre ipotesi possibili, l’effettiva ripartizione tra i soci dei maggiori utili accertati in capo alla società. Ciò in quanto tale presunzione necessiterebbe, per assurgere al rango di piena prova, di altri fatti indice che nella specie l’Ufficio non avrebbe dimostrato. Con separato motivo ha censurato la sentenza per motivazione apparente, posto che non avrebbe spiegato il Giudice d’appello su quali presupposti potessero considerarsi effettivamente distribuiti a favore del Lambert tali ricavi, in assenza di ulteriori elementi. Il contribuente ha altresì rilevato la violazione e falsa applicazione dell’art. 47 del TUIR per avere la CTR ritenuto legittima l’imputazione al contribuente dei maggiori ricavi non dichiarati accertati in capo alla società in proporzione alle quote di partecipazione, senza tener conto del limite percentuale del 40% previsto dall’art. 47 del DPR n. 917/1986. La decisione La Suprema Corte con la sentenza in commento ha respinto il ricorso del contribuente con conseguente condanna alle spese del giudizio di legittimità. Con riferimento al motivo relativo alla legittima imputazione dei maggiori utili accertato in capo ai soci, sulla base della sola ristretta base sociale, e al motivo relativo alla motivazione apparente la Cassazione ha ritenuto gli stessi non accoglibili in quanto infondati. Al riguardo, la Suprema Corte ha richiamato l’orientamento consolidato[1] secondo cui, in materia di imposte sui redditi, nell’ipotesi di società a ristretta base sociale è ammessa la presunzione di attribuzione ai soci degli utili extracontabili, “che non si pone in contrasto con il divieto di presunzione di secondo grado, in quanto il fatto noto non è dato dalla sussistenza di maggiori redditi accertati in capo alla società, bensì dalla ristrettezza dell’assetto societario, che implica un vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci nella gestione sociale”. Pertanto, una volta ritenuta operante tale presunzione “spetta al contribuente fornire la prova contraria”[2]. In tali casi, il contribuente dovrà provare la mancata distribuzione degli utili extracontabili, se non l’inesistenza a monte di un loro effettivo conseguimento, stante l’autonomia di giudizi. Suscita perplessità la posizione della Corte di cassazione con riferimento all’ultimo motivo di ricorso dedotto, relativo alla necessità di applicare nella specie, come si è detto, il limite del 40% quale beneficio di esenzione parziale degli stessi utili previsto dall’art. 47 del TUIR al fine di evitare una doppia imposizione. Ebbene, la Suprema Corte – allineandosi ad un precedente del 2020[3] - ha affermato come nel caso di società a ristretta base non debba applicarsi il limite previsto dalla citata norma del TUIR poiché gli utili extracontabili sono stati conseguiti in evasione d’imposta, non essendo mai stati indicati nella contabilità della società. In sostanza, non vi sarebbe una doppia imposizione non avendoli mai dichiarati la società. Spiega la Suprema Corte, al riguardo, che nella specie non si verificherebbe alcun effetto distorsivo in quanto il beneficio dell’esenzione parziale dell’imposizione degli utili societari si riferisce ai soli redditi regolarmente dichiarati dalla società in un documento contabile. Tali utili pertanto una volta accertati per altra via, vanno imputati e quindi sottoposti a imposizione in misura ordinaria, quindi intera e non ridotta. Il fondamento di tali conclusioni – precisa la Cassazione – non si rinviene in un intento para sanzionatorio dell’interprete ma unicamente nella considerazione per la quale nel caso di specie la società risulterebbe trasparente come una società di persone con la conseguenza che la ripartizione del maggior utile sottratto ad imposizione giustifica la perdita del beneficio di cui all’art. 47 del TUIR, norma che si applica al solo utile di bilancio. Diversamente, l’utile extra bilancio deve equipararsi a quello ottenuto per trasparenza dalle società di persone. Sembrerebbe potersi dedurre, quindi, che la mancata dichiarazione di tali redditi legittimerebbe un duplice accertamento, con un’imposizione avente ad oggetto la medesima sostanza economica dapprima in capo alla società (per intero) e successivamente in capo ai soci (per intero). Al riguardo, non può revocarsi in dubbio che l’art. 163 del TUIR, nel fissare il divieto di doppia imposizione sia giuridica, sia economica, non ne subordina l’efficacia alla preventiva indicazione del reddito in dichiarazione, fissando in realtà un generale ed immanente principio in tema di imposte sui redditi. Principio che non incontra limiti e che trova una conferma nelle Convenzioni contro le doppie imposizioni che lo Stato italiano ha sottoscritto con numerosi Stati esteri. Il divieto contro le doppie imposizioni spiega pertanto i suoi effetti per tutti i redditi, sia per quelli oggetto di dichiarazione, sia per quelli oggetto di accertamento da parte degli Uffici impositori. Sotto un diverso profilo, se si volesse equiparare l’utile extracontabile a quello conseguito dalle società di persone, con tassazione “piena” dello stesso in capo ai soci, non può trascurarsi la circostanza che le stesse società “trasparenti” non subiscono alcuna tassazione, dovendosi trarre perciò la conclusione secondo cui l’attuale sistema delle imposte sui redditi non contempla affatto la possibilità che il medesimo reddito sia tassato, in misura piena, due volte: in capo alla società e successivamente in capo a soci. Neppure nella fase dell’accertamento di maggiori redditi. In diparte poi “l’effetto pratico” della tassazione del medesimo reddito prima in capo alla società e poi, per intero, in capo ai soci: quest’ultimo verrebbe “azzerato”, nel senso che la quasi totalità della sostanza economica verrebbe convertita in debito nei confronti dell’Erario. F.D.D. [1] Cass. n. 25115/2014, n.11208/2016, n. 33976/2019, n. 7949/2021 e n. 14096/2021. [2] Cass. n. 1947/2019 e n. 26171/2023. [3] Cass. n. 26317/2020.