Il giudice tributario non può limitarsi alla valutazione della sentenza penale ma deve apprezzare il complessivo materiale indiziario.

31 Gennaio 2024

La Cassazione con la recente Sentenza n. 2115 depositata il 22 gennaio 2024 è tornata ad occuparsi dei rapporti tra processo tributario e processo penale. A tal proposito, ha ribadito il principio secondo cui alla sentenza penale irrevocabile – di condanna o di assoluzione – non può essere riconosciuta alcuna automatica autorità di cosa giudicata, ancorché i fatti esaminati in sede penale siano gli stessi che fondano l'accertamento. Ciò in quanto nel processo tributario valgono i limiti di prova e trovano ingresso anche presunzioni semplici che non potrebbero supportare una pronuncia penale di condanna. Di conseguenza, il giudice tributario è tenuto a procedere all'apprezzamento della sentenza penale, ponendola a confronto con gli altri elementi di prova acquisiti nel giudizio.

Il caso

Il contribuente LD ha ricevuto la notifica di un avviso di accertamento con il quale l'amministrazione finanziaria ha ripreso a tassazione per l'anno 2004 l'importo corrispondente alla sua quota di partecipazione al profitto di reato, commesso in concorso con i soci di una società, che l'Ufficio aveva attribuito qualificandolo reddito diverso ai sensi dell'art. 14, comma 4 della Legge n. 537/1993.

Nella prospettazione dell'Ufficio, la contribuente si era appropriata della somma di oltre 7 Mln di Euro, distraendola dal fallimento dell'impresa individuale DP, per il tramite di una società “paravento”. Di tale somma, all'esito del giudizio penale la Corte d'Appello di Torino aveva ordinato la restituzione, quale conseguenza civile delle condotte integrative del reato di abuso d'ufficio, dichiarato estinto per prescrizione.

La CTP ha accolto il ricorso della contribuente, ritenendo l'Ufficio decaduto dalla potestà impositiva e, in ogni caso, reputando la pretesa creditoria infondata nel merito. Il successivo appello dell'Amministrazione finanziaria è stato respinto all'esito del giudizio di appello, anche se per ragioni diverse da quelle poste a fondamento della sentenza di primo grado. Il giudice d'appello, in particolare, ha ritenuto come nel caso di specie sia possibile far valere il raddoppio dei termini di accertamento, poiché le condotte del contribuente erano riconducibili a fattispecie di reato per cui è previsto l'obbligo di denuncia. Tuttavia, poiché era stato accertato nella specie l'arricchimento della sola società “paravento”, in assenza di altri elementi i giudici hanno ritenuto non provata la circostanza che i soci avessero maturato un reddito imponibile.

L'amministrazione finanziaria ha proposto ricorso per cassazione affidato a molteplici motivi. In particolare, per quanto rileva ai fini del presente commento, ha denunziato la violazione di legge della pronunzia impugnata, non avendo correttamente valutato i fatti, in violazione dei consolidati principi in tema di estensione degli effetti delle sentenze penali nel giudizio tributario. Secondo l'Agenzia delle entrate, inoltre, la traslazione dell'ingiusto profitto del reato dalla società paravento emergeva con sufficiente chiarezza da numerosi punti della sentenza di appello mentre l'ordine impartito dalla Corte d'Appello era di carattere restitutorio e non risarcitorio come erroneamente sostenuto dalla CTR.

In ogni caso, secondo la ricorrente, i giudici non avevano operato una corretta valutazione del materiale probatorio loro offerto, avuto riguardo al fatto che, nella specie, le presunzioni offerte erano idonee a consentire la prova della sussistenza di un maggior reddito imponibile in capo al contribuente.

La decisione

La Corte di cassazione con la sentenza in commento ha ritenuto meritevole di accoglimento il ricorso proposto dall'Agenzia delle Entrate con conseguente cassazione della sentenza impugnata e con rinvio del procedimento alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Toscana.

La Suprema Corte, dopo una precisazione in ordine alla disciplina emergenziale prevista dal D.L. n. 18/2020, ha sostenuto l'infondatezza della sentenza della CTR nella parte in cui ha ritenuto sussistente nella specie una locupletazione della sola società “paravento” e non anche dei soci. Tale ragionamento della CTR sarebbe erroneo in quanto non ipotizza neppure come possibile la conseguenza più logica di tale circostanza ovvero il fatto che tale somma fosse poi destinata a rifluire nella disponibilità personale dei soci. E tal tal proposito richiama la condanna restitutoria pronunziata dai giudici penali per un importo corrispondente alla somma distratta, condanna che si pone su un piano di coerenza logica con l'affermazione di responsabilità personale degli imputati. L'ordine di restituzione integra un effetto civile di tale accertata responsabilità e il fatto che fosse di ammontare pari alla somma distratta evidenzia che tale somma costituiva il profitto del reato.

A parere della Corte, non può condividersi la tesi secondo cui tale ordine sarebbe in realtà una condanna risarcitoria proprio perché non vi sarebbero elementi a sostegno di tale assunto.

In ogni caso, la CTR non ha fatto buon governo dei principi costantemente affermati dalla Cassazione per i casi in cui il contenzioso tributario tragga origine da fatti che sono stati anche oggetto di accertamento in sede penale.

Al riguardo, ha ribadito il principio secondo cui alla sentenza penale irrevocabile – di condanna o di assoluzione – non può essere riconosciuta alcuna automatica autorità di cosa giudicata, ancorché i fatti esaminati in sede penale siano gli stessi che fondano l'accertamento[1]. Ciò in quanto nel processo tributario valgono i limiti di prova e trovano ingresso anche presunzioni semplici che non potrebbero supportare una pronuncia penale di condanna. Di conseguenza, il giudice tributario è tenuto a procedere all'apprezzamento della sentenza penale, ponendola a confronto con gli altri elementi di prova acquisiti nel giudizio[2].

La CTR, in definitiva, limitandosi a recepire il contenuto della sentenza penale, ha omesso di svolgere il necessario apprezzamento del complessivo materiale indiziario sottoposto alla sua attenzione per cui può ritenersi sussistente il vizio denunziato nel ricorso.

F.D.D.


[1]    Cass. n. 16262/2017 e n. 27814/2020.

[2]    Cass. n. 19786/2011, n. 10578/2015 e n. 28174/2017.

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