Crediti inesistenti e non spettanti: le SSUU mettono fine al contrasto giurisprudenziale

21 Dicembre 2023

Con la sentenza n. 34419 depositata l'11 dicembre 2023 le Sezioni Unite della Suprema Corte si sono pronunciate in tema di crediti inesistenti e crediti non spettanti, ponendo fine al contrasto giurisprudenziale in ordine alla corretta disciplina da applicare. Al riguardo, hanno stabilito che in tema di compensazione di crediti o eccedenze di imposta da parte del contribuente, all'azione di accertamento dell'erario si applica il più lungo termine di otto anni, di cui all'art. 27, comma 16, D.L. n. 185/2008, quando il credito utilizzato è inesistente, condizione che si realizza quando ricorrono congiuntamente i seguenti requisiti: a) il credito, in tutto o in parte, è il risultato di una artificiosa rappresentazione ovvero è carente dei presupposti costitutivi ovvero quando è pur sorto, è già estinto al momento del suo utilizzo; b) l'inesistenza non è riscontrabile con i controlli automatizzati. Negli altri casi il credito deve considerarsi come non spettante e si applica il termine ordinario per l'attività di accertamento.

Il caso

La società Grafiche Mazzucchelli Spa ha ricevuto un avviso di accertamento relativo agli anni 2006 e 2007 avente ad oggetto il recupero di un'agevolazione riconosciuta per l'acquisto di beni strumentali posta indebitamente in compensazione. Alla base della ripresa fiscale vi era la constatazione dell'acquisto di due macchine per la stampa in rotativa, da utilizzarsi secondo la disciplina del credito d'imposta esclusivamente per prodotti editoriali in lingua italiana, in realtà adibite anche a prodotti editoriali in lingua non italiana.

La società ha proposto innanzi alla competente CTP che ha respinto il ricorso, con una sentenza che è stata confermata in appello. Grafiche Mazzucchelli ha contestato in particolare la violazione della disciplina di decadenza della potestà accertativa, rilevando altresì l'illegittima sanzione irrogata Alla base della decisione della CTR era stato posto il disconoscimento dell'agevolazione da parte del Ministero dello sviluppo economico e l'utilizzo delle rotative acquistate anche per la produzione editoriale in lingua non italiana.

La società ha impugnato la decisione resa in sede di gravame con ricorso per cassazione affidato ad otto motivi. Con particolare riferimento al secondo motivo, per quanto rileva ai fini del presente commento, la ricorrente ha rilevato come nel caso di specie il credito della società sia sussumibile nella categoria del credito non spettante, avendo perciò errato la CTR a ritenere applicabile nella specie l'inesistenza.

La società ha infatti sostenuto che la contestazione dell'Agenzia ha sempre riguardato la (sola) spettanza del credito e non la sua esistenza: l'acquisto dei macchinari che avevano dato origine all'agevolazione e le spese sostenute non sono mai state poste in discussione, né era dubbia la veridicità della documentazione relativa agli investimenti. Di conseguenza l'Ufficio è decaduto dal potere di accertamento posto che avrebbe dovuto contestare la violazione connessa alla compensazione entro il 31.12.2011 mentre l'avviso di accertamento è stato notificato il 29.02.2012.

La decisione

La Corte di cassazione con la sentenza in commento ha respinto il ricorso della società con compensazione delle spese. Con riferimento alle nozioni di credito inesistente e credito non spettante, la Corte muove le sue considerazioni delineando il relativo contrasto interno alla Sezione Tributaria.

Secondo un primo e più risalente orientamento, tra le due nozioni non vi sarebbe alcuna differenza. Si è affermato infatti che l'art. 27, comma 16 della Legge n. 2/2009 “non intende elevare l'inesistenza del credito a categoria distinta dalla non spettanza, ma intende solo garantire un margine di tempo adeguato per le verifiche talora complesse riguardanti l'elemento generatore del credito d'imposta”[1].

A tale orientamento si contrappone quello delle sentenze gemelle Cass. n. 34444 e n. 34445 del 2021 che pongono in evidenza la novità rappresentata dall'art. 13, comma 5 del D. Lgs n. 471/1997[2], secondo cui nella stessa definizione positiva di credito inesistente “può rinvenirsi la conferma della dignità della distinzione delle due categorie in discorso, già sulla base del precedente impianto normativo concernente la riscossione dei crediti d'imposta indebitamente utilizzati”. A tal proposito, ha precisato che la nozione di credito inesistente è ancorata ad una dimensione “non reale”, “non vera”, ossia priva di elementi giustificativi fenomenicamente apprezzabili, e non anche a connotazioni di fraudolenza.

Secondo le Sezioni Unite deve darsi prevalenza al secondo l'orientamento riportato, soffermandosi:

a) sui caratteri distintivi tra credito inesistente e credito non spettante;

b) sul diverso regime giuridico e sui presupposti che condizionano l'applicabilità.

Con riferimento al primo aspetto, la Corte valorizza il dato testuale dell'art. 13 del D. Lgs. n. 471/1997 che definisce il credito inesistente quale credito “in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante controlli di cui agli artt. 36-bis e 36-ter del DPR n. 600/1973 e all'art. 54-bis del DPR n. 633/1972”.

Sono quindi delineati, ai fini dell'inesistenza, i requisiti della:

  1. mancanza del presupposto costitutivo e della
  2. non riscontrabilità mediante i controlli c.d. automatizzati.

Il credito non spettante è invece un'eccedenza o un credito d'imposta  utilizzato in misura superiore a quella spettante o in violazione delle modalità di utilizzo. Trattasi di una categoria residuale, in cui rientrano tutti i casi che non ricollegabili al credito inesistente.

Precisa la Cassazione che la distinzione tra credito inesistente e credito non spettante ha un carattere strutturale e trae il suo fondamento logico giuridico dal complessivo sistema ordinamentale tributario: l'inesistenza ha un carattere obiettivo mentre la non spettanza ha un carattere dinamico ancorato al presupposto dell'esistenza del credito.

Quanto al diverso regime giuridico, le Sezioni Unite richiamano la disciplina di cui all'art. 27, comma 16 del D.L. n. 185/2008 con riferimento al termine di otto anni per la decadenza del potere di accertamento e all'art. 15 del D. Lgs. n. 158/2015 con riferimento alla definizione di credito inesistente e credito non spettante, poi riportata nell'art. 13 del D. Lgs n. 471/1997. Diversa è anche la disciplina penale prevista dall'art. 10-quater del D. Lgs. n. 74/2000, in termini di pena prevista per la compensazione di crediti inesistenti e crediti non spettanti[3].

Per completezza la Cassazione precisa che in caso di utilizzo di un credito che poi si estingue, un nuovo utilizzo dello stesso integra la fattispecie del credito inesistente (non potendosi considerare perciò quale credito non spettante), proprio perché sono venuti meno i presupposti costitutivi dello stesso credito.

Alla luce dei principi esposti, la Cassazione rileva come nel caso di specie si sia in presenza di credito inesistente con conseguente rigetto del motivo di ricorso. La norma agevolativa, nello specifico, impone quale elemento costitutivo del credito, l'obbligo (di non facere) di non impiegare i beni acquistati per la stampa di prodotti in lingua diversa da quella italiano. La mancata osservanza di tale obbligo da parte della società ha comportato la mancanza di un presupposto costitutivo del credito, con la conseguenza che tale fattispecie è sussumibile nella categoria del credito inesistente. Conseguentemente, non sussiste una violazione della disciplina relativa alla decadenza del potere di accertamento potendosi applicare il termine (più lungo) di otto anni.

F.D.D.


[1]    Cass. n. 10112/2017; n. 19327/2017; n. 24093/2020; n. 354/2021 e n. 31859/2021.

[2]    Come modificato dall'art. 15 del D. Lgs. 158/2015.

[3]    La pena per i crediti non spettanti è la reclusione da sei mesi a due anni. La pena per i crediti inesistenti è la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni.

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