Con la sentenza n. 30779/2023, la Corte di cassazione ha riaffermato il principio per cui, per fruire dei benefici derivanti dalle Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni, il contribuente non è tenuto a provare l’assoggettamento effettivo ad imposta estera dei redditi che abbiano formato oggetto di doppia imposizione. E’ invece sufficiente la c.d. tax liability, ovvero l’astratto assoggettamento del contribuente alla locale imposta sui redditi. Tale requisito, afferma la Corte, può essere provato direttamente con la certificazione rilasciata dall’Autorità fiscale estera, giacchè la stessa nozione di residenza fiscale postula indefettibilmente la predetta tax liability. Il caso La vicenda origina dalla presentazione di un’istanza di rimborso delle ritenute sulla pensione avanzata da un cittadino italiano residente in Svizzera ai sensi degli artt. 18 e 29 della Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Svizzera. A fronte del silenzio rifiuto sulla prefata istanza manifestato dall’Amministrazione finanziaria, il contribuente aveva impugnato tale silenzio presso la competente CTP, che tuttavia aveva rigettato il ricorso per insufficienza della documentazione utile a provare i presupposti del rimborso. Di contrario avviso era stata la CTR Abruzzo, che aveva accolto il gravame del contribuente. Contro la sentenza emessa in secondo grado proponeva ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate. La pronuncia L’impugnazione dell’Ufficio verteva su due motivi. Con il primo motivo si deduceva violazione e falsa applicazione dell’art. 29 della Convenzione, sul presupposto che tale norma subordinasse il rimborso, anzitutto, alla produzione di una certificazione rilascia dall’autorità fiscale dello stato di residenza che attesti la sussistenza delle “condizioni richieste per avere diritto all’applicazione delle esenzioni e delle riduzioni previste dalla Convenzione”. Tra le condizioni predette, l’Agenzia riteneva che la certificazione dovesse attestare, peraltro, “le concrete modalità di effettuazione dell’imposizione, la presenza di deduzioni o detrazioni, il quantum dell’imposizione e (…) la concreta tassazione delle somme ricevute”. In altri termini, l’Ufficio richiedeva, ai fini del rimborso, l’attestazione di effettivo assoggettamento alla locale imposta sulle persone fisiche dei redditi da pensione in argomento. La Suprema Corte ha tuttavia ritenuto tale motivo infondato poiché “ai fini del rimborso (…) le attestazioni previste dalla disciplina convenzionale non devono attestare la concreta tassazione (o meglio il prelievo)”. Nel caso di specie, la certificazione non dava atto solo del comune di residenza svizzero, ma si estendeva ad attestare che il contribuente fosse fiscalmente residente nel paese elvetico ai sensi del pertinente articolo della Convenzione applicabile e tanto “basta a configurare il diritto al rimborso”. I giudici di legittimità hanno raggiunto tale conclusione attraverso un richiamo al modello di convenzione OCSE contro le doppie imposizioni, la quale, all’art. 4, collega indefettibilmente le nozioni di residenza fiscale ed assoggettamento ad imposta con tale espressione “residente in uno stato contraente designa ogni persona al quale, in virtù della legislazione dello Stato, è assoggettata ad imposta nello stesso Stato (‘is liable to tax’)”. E’ quindi possibile concludere che è sufficiente l’attestazione di residenza fiscale per accertare, in capo allo stesso contribuente, la c.d. liability to tax ed il suo conseguente diritto a fruire dei benefici convenzionali, ivi compreso il diritto al rimborso delle ritenute italiane su redditi che abbiano scontato (come da norme convenzionali) un’imposizione nello stato di residenza del contribuente medesimo. La Corte ha rafforzato tale conclusione affermando quindi che “l’attestazione non deve contenere espressioni sacramentali, o espliciti riferimenti alla convenzione”. A favore del contribuente è stato inoltre valorizzato il fatto che la stessa Agenzia delle Entrate nei suoi documenti di prassi (cfr. Provv. Prot. N. 2013/84404) ha affermato che “il modello rilasciato dall’autorità fiscale estera deve attestare la residenza del beneficiario ai sensi della pertinente norma convenzionale nel periodo d’imposta ovvero alla data di rilascio dell’attestato” senz’altro aggiungere in tema di sussistenza della c.d. liability to tax. Il secondo motivo di ricorso, relativo invece al mancato accertamento fattuale della residenza effettiva in Svizzera, è risultato inammissibile, in quanto questione sottratta al vaglio di legittimità della Cassazione e comunque provata dal contribuente nei gradi precedenti attraverso la produzione del certificato anagrafico consolare e del certificato AIRE del comune di provenienza (oltre che della già menzionata certificazione di residenza fiscale). La pronuncia è di particolare interesse poiché, nella sua sinteticità, conferma la censurabilità di talune prese di posizione dell’Amministrazione finanziaria in ordine al disconoscimento di benefici derivanti da convenzioni contro le doppie imposizioni, spesso motivate su mere irregolarità documentali o (come nel caso commentato) sull’annosa questione dell’effettiva tassazione dei proventi che hanno formato oggetto di doppia imposizione. La giurisprudenza internazionale formatasi su questi temi predilige sempre un approccio di prevalenza della sostanza sulla forma che, fortunatamente, molte pronunce di legittimità recenti sembrano avere totalmente recepito. A.P.