Con la sentenza n. 26950/2023, la Corte di Cassazione ha stabilito che l’art. 7 della Legge n. 269/2003, che prevede l’esclusiva responsabilità della società di capitali per le sanzioni connesse a violazioni tributarie proprie dell’ente, subisce una deroga quando la violazione sia stata commessa, tramite l’interposizione della società stessa, ad esclusivo vantaggio dell’amministratore legale o di fatto. Il caso La vicenda origina dalla notifica di un atto di irrogazione delle sanzioni comminate alla legale rappresentante di una società a responsabilità limitata, la quale aveva utilizzato fatture false per richiedere un credito d’imposta relativo al consumo di gasolio ai sensi del d.P.R. 277/2000. L’atto era motivato con richiamo agli artt. 2, comma 2, e 9, comma 1, del d.lgs. 472/1997, il cui combinato disposto prevede, in tema di sanzioni tributarie, la responsabilità solidale della persona giuridica insieme a quella dell’autore materiale della violazione (sia esso l’amministratore o un'altra persona fisica legata all’ente). La contribuente aveva quindi impugnato l’atto sanzionatorio, sul presupposto che fosse stato violato l’art. 7, comma 1, della Legge 269/2003, che recita: “le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica”. Tuttavia, i primi due gradi di giudizio davano entrambi verdetto sfavorevole alla contribuente, che impugnava per cassazione la sentenza emessa dalla competente commissione tributaria regionale. La pronuncia Il ricorso della contribuente, fondato su un unico motivo nel quale confluiva la denuncia di una molteplicità di presunti vizi eterogenei dell’atto di irrogazione delle sanzioni, è stato dichiarato inammissibile dalla Suprema Corte. Tuttavia, i giudici di legittimità si sono comunque soffermati sull’analisi della principale questione sollevata dalla ricorrente, consistente nel coordinamento tra due regole sanzionatorie apparentemente divergenti: le norme del d.lgs. 472/1997, che istituiscono la predetta responsabilità solidale tra società ed autore materiale della violazione, e l’art. 7 della l. 269/2003, che al contrario prevede un’unica responsabilità in capo all’ente pur disponendo, al comma 3, che “nei casi di cui al presente articolo le disposizioni del d.lgs. 472/1997 si applicano in quanto compatibili”. Secondo la Corte, pur non essendo scontata la questione, la soluzione è da ricercare nella disciplina della interposizione nel rapporto tributario, contenuta nell’art. 37, c. 3, del d.P.R. 600/1973: sul tema esiste un autorevole precedente giurisprudenziale (Cass. n. 23231/2022) in cui è stato affermato che “in tema di sanzioni tributarie, nell'interposizione del “gestore” uti dominus alla società di capitali interposta, ai sensi dell'art. 37, comma 3, del d.P.R. n. 600 del 1973 non ha rilievo il rapporto fiscale di quest'ultima, ma quello che fa capo direttamente all'interponente, in quanto effettivo possessore del reddito d'impresa, sicché, risultando come se il reddito fosse da lui prodotto, la fattispecie esula dal disposto di cui all'art. 7 del d.l. n. 269 del 2003 e le violazioni, pur formalmente dell'ente collettivo, vanno riferite alla sua attività”. Il caso affrontato dalla sentenza da ultimo richiamata aveva ad oggetto l’interposizione di un amministratore occulto/di fatto alla società, ma il principio può essere pacificamente applicato in tutti i casi di violazioni tributarie commesse nell’esclusivo interesse di un amministratore. Ne deriva che, a fronte di una violazione tributaria commessa dalla società, per individuare il soggetto responsabile delle sanzioni, e quindi la disciplina applicabile, l’Amministrazione finanziaria è tenuta ad indagare su chi sia il soggetto che ha beneficiato delle violazioni medesime: se esse sono state perpetrate a vantaggio dell’ente (benchè l’autore materiale sia una persona fisica) si applica l’art. 7 del d.l. 269/2003 e le sanzioni sono irrogate esclusivamente nei confronti dell’ente. Al contrario, ove la violazione sia stata commessa nell’esclusivo interesse dell’amministratore (legale o di fatto), che quindi abbia utilizzato la società come mero “schermo”, ritornano applicabili le norme del d.lgs. 472/1997 ed interviene la responsabilità solidale tra la società e la persona fisica che ha commesso o ha concorso a commettere la violazione. A.P.