Secondo la CGUE (C-453/22, Schütte) il committente/cessionario può esercitare direttamente nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria il diritto al rimborso dell’IVA indebitamente fatturata, pagata al proprio fornitore e da quest’ultimo versata all’Erario, e dei relativi interessi laddove, in assenza di condotte fraudolente o abusive, non sia in grado di rivolgersi in via civilistica al medesimo fornitore per intervenuta prescrizione del diritto alla restituzione. In mancanza di rimborso entro un termine ragionevole dell’imposta indebitamente riscossa, il danno subito dal contribuente deve essere compensato mediante il pagamento di interessi di mora. *** Il committente/cessionario può esercitare direttamente nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria il diritto al rimborso dell’IVA indebitamente fatturata, pagata al proprio fornitore e da quest’ultimo versata all’Erario, e dei relativi interessi laddove, in assenza di condotte fraudolente o abusive, non sia in grado di rivalersi in via civilistica sul medesimo fornitore per intervenuta prescrizione del diritto alla restituzione. In mancanza di rimborso entro un termine ragionevole, il danno subito dal contribuente deve essere compensato mediante il pagamento di interessi di mora. In questi termini si è pronunciata la Corte di Giustizia dell’Unionre Europea con la sentenza resa all’esito del giudizio C-453/22, Schütte, che si inserisce in un filone ormai consolidato in tema di rimborso diretto dell’IVA indebitamente versata. Il caso oggetto del vaglio della Corte riguarda un contribuente tedesco, Michael Schütte, esercente l’attività di agricoltura e silvicoltura, il quale aveva acquistato legname da una pluralità di fornitori. Questi avevavo emesso fatture con esposizione dell’IVA con aliquota ordinaria pari al 19%; il cessionario, a sua volta, aveva rivenduto la merce ad aliquota ridotta (7%), detraendo tuttavia l’imposta in misura piena. Secondo il Fisco tedesco le cessioni effettuate a valle dall’agricoltore avrebbero dovuto scontare l’IVA in misura ordinaria, ma la posizione erariale non aveva trovato conferma in sede giudiziale. Secondo il Tribunale tributario di Münster (che peraltro aveva escluso qualsiasi condotta fraudolenta dello Schütte), infatti, tali cessioni erano state correttamente assoggettate a IVA con aliquota ridotta. Ne era conseguita la riduzione in misura corrispondente della detrazione effettuata dal ricorrente, cui aveva fatto seguito la richiesta erariale di restituzione della differenza d’imposta indebitamente detratta. Il ricorrente si era dunque rivolto ai propri fornitori onde ottenere la rettifica delle fatture e il versamento della differenza di imposta indebitamente corrisposta, ottenendo tuttavia un netto rifiuto in considerazione dell’intercorsa prescrizione del diritto. La questione pregiudiziale e la decisione della CGUE. Il giudice del rinvio ha sollevato questione pregiudiziale relativamente alla possibilità, per il cessionario, di rivolgersi in via diretta all’Amministrazione Finanziaria per ottenere il rimborso dell’IVA indebitamente versata, con particolare riguardo al caso in cui i fornitori possono, astrattamente, procedere sine die a rettifica delle fatture erroneamente emesse e pretendere a loro volta la restituzione dell’imposta versata. In altri termini, il timore del giudice nazionale concerne il rischio, gravante sull’Erario, di dover rimborsare due volte la medesima imposta: la prima volta al cessionario, la seconda al fornitore. In tal senso, “[s]e tali fornitori chiedessero successivamente all’amministrazione il rimborso di quanto pagato in eccesso, ciò esporrebbe detta amministrazione al rischio di dover rimborsare la stessa IVA due volte senza potersi necessariamente rivalere sull’acquirente dei beni oggetto di dette fatture”. Nel dettaglio, la questione pregiudiziale è formulata in questi termini: “Se le disposizioni della direttiva [IVA] – in particolare il principio di neutralità fiscale e il principio di effettività – impongano, nelle circostanze di cui al procedimento principale, che al ricorrente vada riconosciuta una pretesa diretta nei confronti dell’amministrazione finanziaria al rimborso dell’IVA versata in eccesso ai suoi fornitori, oltre interessi, benché sia sempre possibile che detti fornitori, sulla base di una rettifica delle fatture, agiscano successivamente nei confronti di quest’ultima, e che quindi – eventualmente – l’amministrazione finanziaria non possa rivalersi verso il ricorrente, con il conseguente rischio che essa sia tenuta a rimborsare due volte lo stesso importo dell’IVA”. La pronuncia in commento offre l’occasione per fare il punto sul tema spinoso della possibilità, per il cessionario, di rivolgersi direttamente all’Amministrazione al fine di ottenere il rimborso dell’IVA indebitamente versata. La Corte ribadisce, infatti, il principio enunciato da un filone interpretativo che annovera sentenze fondamentali (Reemtsma, C-35/05 del 15.3.2007; Farkas, C-564/2015, et al.), secondo cui, in ossequio al principio di effettività, gli Stati membri devono prevedere gli strumenti necessari per consentire al committente/cessionario di recuperare, mediante azione diretta all’Erario finalizzata al rimborso, l'imposta indebitamente fatturata, ove la ripetizione della stessa nei confronti del fornitore/cedente per via civilistica divenga impossibile o eccessivamente difficile: “segnatamente in caso d’insolvenza del prestatore” (Reemtsma, cit., § 4). In tali circostanze, quindi, l’acquirente ha il diritto di rivolgersi ai fini del rimborso direttamente nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria (che, peraltro, è tenuta a corrispondere al contribuente gli interessi di mora in caso di ritardo nell’erogazione del rimborso). Chiaramente, tale via è preclusa ove vengano accertate in capo al contribuente condotte fraudolente, abusive o negligenti, pacificamente escluse nel caso de quo. La Corte precisa, inoltre, che l’ipotesi di insolvenza del fornitore “è solo una delle circostanze in cui può essere impossibile o eccessivamente difficile ottenere il rimborso dell’IVA indebitamente fatturata e pagata”, così aprendo alla possibilità di rimborso diretto anche in caso di assenza di una situazione di insolvenza (come quello oggetto del giudizio principale, in cui i fornitori, lungi dall’essere insolventi, semplicemente opponevano alla richiesta di rimborso l’avvenuta prescrizione del diritto azionato dal cliente). A ciò va aggiunto, con riferimento al caso oggetto del giudizio principale, che il rischio di duplice rimborso gravante sull’Erario è da escludersi poiché ove i fornitori, pur a seguito del rifiuto opposto in sede civilistica (rifiuto manifestante la chiara carenza di interesse a regolarizzare la situazione), provvedessero a rettificare le fatture e a presentare istanze di rimborso dell’eccedenza di imposta versata solo in un momento successivo alla restituzione dell’eccedenza stessa al cessionario, verrebbe senz’altro integrata una condotta abusiva, rivelatrice dell’intento di ottenere un vantaggio fiscale contrastante con il principio di neutralità. La pronuncia è preziosa, collocandosi – come anticipato – nel solco di un orientamento che si può oramai ritenere consolidato, e lo è ancor più nella misura in cui puntualizza che la sussistenza di profili di insolvenza in capo al fornitore (il caso tipico, frequente nella prassi, è quello del fallimento) non rappresentano un presupposto necessario e irrinunciabile, bensì solo un’ipotesi fra tante riconducibili, in considerazione delle circostanze concrete valutate caso per caso, al perimetro dell’impossibilità o eccessiva difficoltà a ottenere il rimborso direttamente dal cedente. Occorre dire che la Corte di Cassazione ha fatto proprio, modulandolo, il principio sancito dalla CGUE. Secondo la Suprema Corte (cfr. ex pluribus SS.UU. n. 20752/2008; Cass., 24923/2016; id., 23288/2018) il rapporto di natura privatistica intercorrente tra cedente/prestatore e cessionario/committente si configura ove quest’ultimo rivesta la posizione di “consumatore finale” quale soggetto definitivamente inciso dall’imposta. In caso contrario, riemerge il rapporto tributario (con conseguente legittimazione del soggetto cessionario/committente ad agire nei confronti dell’Amministrazione) “tutte le volte in cui l'indebita IVA versata in rivalsa sull'acquisto di beni e servizi destinati all'esercizio della attività economica, venga a riflettersi sulla liquidazione della imposta nella dichiarazione annuale del contribuente, qualora il Fisco contesti, in tutto od in parte, la detrazione dell'IVA in rivalsa, in quanto relativa ad operazione esente od assoggettabile ad una aliquota inferiore di quella indicata erroneamente in fattura” (Cass. n. 17169/2015). F.N.