Con la sentenza n. 18642/2023 la Corte di Cassazione ha affermato che in caso di omessa presentazione della dichiarazione IVA annuale, il contribuente può comunque fruire del credito IVA derivante dalla differenza tra l’IVA calcolata sulle vendite e quella assolta sugli acquisti. È sufficiente, in caso di contestazione da parte dell’Agenzia, la prova della sussistenza del credito per presunzioni. Il caso La vicenda origina dalla notifica, da parte dell’Agenzia dell’Entrate di un avviso di accertamento ad una società, con il quale veniva accertato un maggiore imponibile a seguito del disconoscimento del credito IVA (scaturente dalla differenza tra l’IVA calcolata sulle vendite e quella assolta sugli acquisti). Alla base della contestazione vi era l’omessa presentazione della dichiarazione IVA annuale; inoltre, ad apposita richiesta da parte dell’Ufficio, la società aveva omesso altresì di esibire le fatture alla base del computo del credito. Tuttavia, la stessa società, per l’anno di interesse, era stata soggetta ad una procedura concorsuale: professionisti indipendenti, nominati dal Tribunale, avevano attestato la sussistenza del credito IVA nell’ambito di un procedimento di concordato preventivo. La mancata esibizione delle fatture era inoltre giustificata dalla società sulla base di eventi di forza maggiore (attestati da denunce e da rilievi fotografici). L’esistenza e l’entità del credito era stata, tuttavia, dimostrata per mezzo dei registri IVA, nei quali erano annotate le operazioni di costi e ricavi, oneri e spese e liquidazioni periodiche IVA. Questi fatti erano stati posti a base della sentenza con cui la CTP competente accolse il ricorso della società contro il detto avviso di accertamento. La pronuncia venne in seguito confermata dalla CTR. Contro la sentenza di secondo grado l’Agenzia dell’Entrate promuoveva ricorso per cassazione. La pronuncia Con l’unico motivo di ricorso, l’Agenzia ha censurato la sentenza della CTR per aver erroneamente ritenuto provato, tramite presunzioni, l’esistenza del credito IVA, pur in assenza di dichiarazione annuale e delle fatture, nonché dell’omessa prova di non aver potuto produrre tale documentazione senza colpa (o di aver tentato di reperirne copia presso i fornitori). Tale contegno della contribuente, a parere dell’Agenzia, aveva determinato l’impossibilità di eseguire gli opportuni controlli sulla spettanza del credito medesimo. La Corte, per dirimere la controversia, ha richiamato la giurisprudenza della Corte di Giustizia UE in tema di IVA. In primo luogo, ha premesso una significativa distinzione tra requisiti sostanziali e requisiti formali del diritto alla detrazione: “i requisiti sostanziali (…) sono quelli che stabiliscono il fondamento stesso e l’estensione di tale diritto, quali previsti dall’art. 17 della sesta direttiva”, mentre “i requisiti formali (…) disciplinano le modalità e il controllo dell’esercizio del diritto medesimo nonché il corretto funzionamento del sistema dell’IVA, quali gli obblighi di contabilità, di fatturazione e di dichiarazione” (di cui agli artt. 18 e 22 della sesta direttiva) (Causa C-590/13 Idexx Laboratories Italia s.r.l.). Operata tale distinzione, occorre comprendere se il mancato rispetto dei requisiti formali possa determinare il disconoscimento del diritto. Sul punto la Suprema Corte ha specificato che “se il contribuente si attiene agli obblighi formali-contabili prescritti dalla normativa interna, grava sull’Amministrazione fiscale che intenda disconoscere il diritto (…) l’onere della relativa contestazione e della consequenziale prova; mentre, se a tali obblighi non si attiene, spetta al contribuente fornire adeguata prova dell’esistenza delle condizioni sostanziali cui la normativa comunitaria ricollega l’insorgenza del diritto alla detrazione, dimostrando che, in quanto destinatario di transazioni commerciali, è debitore dell’IVA e titolare del diritto di detrarre l’imposta” (cfr. Cass. 7576/2015 e 6921/2017). Il contribuente, quindi, pur in assenza della dichiarazione, avrebbe potuto provare la sussistenza del diritto ricorrendo all’esibizione dei registri IVA e delle relative liquidazioni, delle fatture e di ogni altra documentazione utile (come statuito dalla citata sentenza n. 6921/2017. Sebbene buona parte della documentazione citata fosse stata ritualmente prodotta, la società si era comunque trovata nell’impossibilità di reperire le fatture (circostanza che avrebbe potuto determinare forti criticità nell’attestazione del credito). Su questo punto, la Cassazione ha fatto rinvio a un ulteriore precedente giurisprudenziale in tema di onere della prova (Cass. 9611/2017) per cui ove il contribuente “dimostri di trovarsi nell'incolpevole impossibilità di produrre tali documenti e di non essere neppure in grado di acquisire copia delle fatture presso i fornitori dei beni o dei servizi, trova applicazione la regola generale prevista dall'art. 2724 c.c., n. 3, secondo cui la perdita incolpevole del documento occorrente alla parte per attestare una circostanza a lei favorevole non costituisce motivo di esenzione dall'onere della prova, nè trasferisce lo stesso a carico dell'Ufficio, ma autorizza soltanto il ricorso alla prova per testimoni o per presunzioni”. In considerazione, quindi, del fatto che i registri IVA e l’ulteriore documentazione prodotta ben potevano attestare, quale prova presuntiva, la sussistenza del credito (accertamento compiuto da parte del giudice di merito), la Cassazione ha confermato la sentenza di secondo grado, rigettando il ricorso dell’Ufficio. A.P.