Il nuovo onere probatorio del processo tributario impone all’Ufficio di provare i rilievi avanzati nel P.V.C.

27 Giugno 2023

La Corte di giustizia tributaria di I grado di Lecce, con la sentenza del 25 maggio 2023, n. 850, ha fornito un’interessante interpretazione del nuovo art. 7, comma 5-bis, del d.lgs. 546/1992 in tema di riparto dell’onere probatorio: l’Ufficio, successivamente all’emissione dell’atto impositivo, deve provare in giudizio le contestazioni avanzate in sede di processo verbale di constatazione, non essendo sufficiente una motivazione che si esaurisca nei medesimi rilievi in esso contenuti.

Il caso

La vicenda riguarda una verifica fiscale avviata nei confronti di una società esercente la gestione di uno stabilimento balneare, al cui esito era stato emesso un processo verbale di constatazione portante rilievi relativi alla mancata dichiarazione di ricavi e all’indebita deduzione di costi. Per l’effetto, veniva notificato alla società un avviso di accertamento in materia di IRES, IRAP e IVA, motivato per mezzo della riproposizione dei rilievi del P.V.C.

Tra i rilievi più significativi che avevano condotto alla determinazione di un maggior imponibile, spiccavano le valutazioni di matrice statistico-probabilistica condotte dall’Ufficio circa la dotazione, da parte della contribuente, di un numero di lettini da spiaggia, la cui occupazione – per tutta la durata della stagione di esercizio – avrebbe dovuto determinare ricavi in entità maggiore di quelli dichiarati.

Inoltre, altro profilo di accertamento verteva sull’evidenza dell’organizzazione di una serie di eventi da parte della contribuente, di cui non erano stati dichiarati i ricavi.

La società impugnava l’avviso contestando, tra l’altro, il mancato assolvimento dell’onere della prova e l’insufficienza degli elementi probatori utilizzati a sostegno della pretesa impositiva.

La pronuncia

La Corte ha innanzitutto precisato che “mentre il processo verbale di constatazione è un atto strumentale, con funzione puramente istruttoria, all’interno del procedimento di accertamento fiscale, l’avviso di accertamento è un atto amministrativo finale, con rilevanza esterna e, in quanto tale, deve soddisfare precisi requisiti di forma e sostanza”. Per effetto di tale divergenza di funzione, il regime probatorio che deve caratterizzare l’atto impositivo ha connotati propri, decisamente più rigidi di quelli che invece caratterizzano l’atto endoprocedimentale.

Tali connotati discendono dalla nuova norma sul tema (l’art. 7, comma 5-bis, del d.lgs. 546/1992), introdotta con la legge n. 130/2022, in base alla quale “l’amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l’atto impugnato”. Il prefato inciso, contenuto nel primo periodo della norma citata, “riporta la disciplina dell’onere della prova per il processo tributario a una dimensione tipicamente processuale, astraendola perciò dal contenuto dell’art. 2697 c.c., ormai assorbito nella nuova disciplina e non più applicabile al processo di cui trattasi a far data dal 16 settembre 2022”.

A tale nuova regola di riparto dell’onere probatorio, che (appunto) supera i crismi tradizionali, segue un secondo periodo, che prescrive un consequenziale obbligo del giudice di procedere all’annullamento dell’atto impugnato laddove la suddetta prova (posta a carico dell’ente impositore) manchi, sia contraddittoria o sia insufficiente.

Sulla scorta di tali elaborazioni, il contegno attuato dall’Ufficio nel caso di specie si discostava dalla corretta disciplina in tema di onere di onere della prova discendente dal nuovo comparto normativo.

E’ stato infatti notare che l’approccio statistico attuato dall’Agenzia delle Entrate, con riguardo ai due rilievi esemplificati, non era conforme alla disciplina prevista dal recente art. 7, comma 5-bis, posto che: a) la disponibilità dei lettini non equivale di per sé all’impiego degli stessi (all’uopo il contribuente aveva fatto notare che parte di essi erano destinati a finalità di scorta ed erano quindi praticamente inutilizzati); b) l’organizzazione e la pubblicizzazione di un evento non equivaleva alla sua effettiva realizzazione (posto che il contribuente eccepiva che gli eventi rilevati dall’Agenzia non si erano tenuti per svariate ragioni quali maltempo o indisposizione dell’artista).

La circostanza, quindi, di aver motivato l’atto impositivo esclusivamente mediante rinvio ai rilievi contenuti nel P.V.C., senza fornire questi ultimi di un concreto supporto istruttorio, ha evidentemente determinato, oltra ad un vizio di motivazione, una carenza probatoria, che ha obbligato il giudice a disporre l’annullamento in parte qua dell’avviso di accertamento.

A prescindere dalla perdurante applicazione o meno, nel processo tributario, dell’art. 2697 c.c. (assunto sul quale i giudici hanno impiegato un approccio, invero, contraddittorio), le elaborazioni della Corte, nel caso di specie, si prestano ad assumere una portata innovativa. È infatti prassi comune che gli avvisi di accertamento, emessi all’esito di una verifica fiscale, adottino una motivazione per relationem rispetto ai rilievi già espressi nel P.V.C. La tesi dei giudici leccesi induce a ritenere che, se nell’ambito dell’atto endoprocedimentale, la formulazione di contestazioni sprovviste di adeguato supporto probatorio possa ammettersi, discorso diverso riguarda invece il consequenziale atto impositivo. Laddove infatti la contestazione contenuta nel P.V.C. non sia di per sé idonea a integrare i canoni espressi dall’art. 7, comma 5-bis, l’ente impositore non può limitarsi a recepire sic et simpliciter il rilievo formulato in sede di verifica, dovendo quindi integrarlo con ulteriori elementi o, in linea con quanto emerge dalla pronuncia in commento, rinunciarvi ove non sia possibile riscontrare nuove evidenze probatorie.

A.P.

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