Cessioni di lamine d’oro in esenzione IVA: a scapito della forma rilevano i requisiti sostanziali di peso e purezza

14 Giugno 2023

Le cessioni di lamine d’oro godono del regime di esenzione dell’IVA al pari delle cessioni di oro da investimento. Assumono rilievo i requisiti sostanziali di purezza e peso, unitamente al fatto che il bene sia accettato dal mercato di riferimento. In tali termini si è espressa la Corte di Cassazione con sentenza n. 13742/2023. Le conclusioni della Commissione Europea in materia e l’opposta prospettiva dell’Agenzia delle Entrate.

Il caso

Le cessioni di oro in lamine godono del regime di esenzione dell’IVA al pari delle cessioni aventi ad oggetto oro da investimento, assumendo rilievo i requisiti sostanziali di purezza e peso, unitamente al fatto che il bene venga accettato dal mercato di riferimento. È questa la conclusione della Corte di Cassazione che, nella sentenza n. 13742 depositata il 18 maggio 2023, ha inteso valorizzare le conclusioni della Commissione Europea in materia nonostante il parere opposto dell’Agenzia delle Entrate, manifestato nel 2021 in sede di consulenza giuridica.

La vicenda oggetto della pronuncia trae origine dalla notifica di un avviso di accertamento ai fini IVA, IRES e IRAP in relazione alla cessione di un quantitativo di oro in lamine, successivamente fatto oggetto di sequestro. L’Ufficio aveva fondato le proprie contestazioni sui rilievi emersi nel corso di indagini svolte dalla Guardia di Finanza, da cui era emerso che l’amministratore di fatto della società accertata aveva consegnato il materiale prezioso, “senza emissione di fattura e regolazione in contanti”, all’amministratore di un’altra società che, tuttavia, si rivelava essere il reale acquirente della merce.

L’allora Commissione tributaria provinciale di Milano aveva rigettato il ricorso della contribuente. La sentenza era stata confermata dal giudice di appello, secondo cui la pretesa erariale era perfettamente fondata in quanto l’amministratore della società (apparentemente) cessionaria era da identificare quale effettivo destinatario della merce. Quest’ultima, inoltre, era da considerare pienamente soggetta a IVA in assenza dei requisiti tanto dell’esenzione (da riferirsi esclusivamente all’oro da investimento o scambiato su “conti metallo”) quanto per l’applicazione del regime di non imponibilità ex art. 8 del d.P.R. n. 633/1972, stante la carenza di prova in ordine all’asserita esportazione della merce.

A fronte delle molteplici doglianze della ricorrente, per quanto qui di interesse la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso per le ragioni che seguono.

La decisione della Suprema Corte.

Fermo restando che la Commissione regionale ha accertato l’identità dell’effettivo acquirente dell’oro e che, quindi, tale dato è del tutto insindacabile, atteso che la censura della ricorrente de facto va a investire inammissibili profili di valutazione delle prove operata dal giudice di merito, secondo la Corte il ricorso è fondato in relazione ai profili afferenti all’assoggettamento o meno ad IVA dell’oro oggetto di compravendita.

Sul punto, infatti, il Collegio di secondo grado aveva statuito nel senso che la cessione dei beni (lamine d’oro) avesse ad oggetto “materiale oro”, definizione non congruente né riconducibile a quelle di “oro da investimento” o “scambiato su conto metalli”. Tuttavia, rileva la Corte, tale statuizione stride con la giurisprudenza di legittimità e i principi unionali in materia.

Il richiamo normativo operato dai Giudici di legittimità è all’art. 10, co. 1, n. 11), del d.P.R. n. 633/1972 (Decreto IVA), che nel recepire quanto disposto dagli artt. 344 e 346 della Direttiva n. 2006/112/CE (Direttiva IVA) ha stabilito che le cessioni di oro da investimento sono esenti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto, con esclusione di quelle realizzate da chi (nel contesto di un’attività di produzione, trasformazione o commercializzazione) abbia espressamente optato per l’applicazione dell’imposta ai sensi del d.P.R. n. 442/1997.

La definizione di “oro da investimento” di cui all’art. 1 della Legge n. 7/2000 in relazione a transazioni di carattere finanziario è ancorata a specifici parametri di forma, ma soprattutto di peso e purezza. Il solo requisito della purezza (“pari o superiore a 325 millesimi”) è invece richiesto per l’oro ad uso “prevalentemente industriale”, non immediatamente destinato al consumo, soggetto non a regime ordinario bensì al meccanismo di inversione contabile ai sensi dell’art. 17, co. 5, d.P.R. n. 633/1972.

Ora, in base al Working paper n. 1000 del 19 ottobre 2020 dei servizi della Commissione Europea, pur in assenza di linee guida puntuali, sarebbero riconducibili al regime di esenzione anche le cessioni di oro avente forma differente dal lingotto o dalla placchetta, sempreché siano rispettati i requisiti sostanziali sopra evidenziati (peso e purezza) e il bene sia accettato dal mercato di riferimento. In altre parole, ai fini dell’esenzione non rileverebbe il requisito della forma, assumendo al contrario importanza i due requisiti di ordine sostanziale.

La Suprema Corte pertanto, cassando con rinvio, si è allineata alle conclusioni dei servizi della Commissione Europea, facendo altresì leva sulla norma interpretativa contenuta nell’art. 3, co. 11, della Legge n. 7/2000, che estende le disposizioni di cui all’art. 10, co. 1, n. 11) del Decreto IVA alle operazioni aventi per oggetto oro in lamina, parificate alle altre cessioni di oro da investimento nonostante la carenza del requisito della forma.

Il giudice di appello ha dunque errato nel non attenersi ai principi in parola escludendo che la cessione de qua avesse ad oggetto oro da investimento anziché mero “materiale oro”, senza peritarsi di effettuare i dovuti accertamenti sulle caratteristiche del prodotto ceduto, con particolare riguardo a peso e purezza. Ne consegue che, nel pensiero della Corte, anche tali cessioni scontano l’IVA in regime di esenzione, assumendo rilievo in tali circostanze non i profili formali bensì la finalità di investimento, con prevalenza dei requisiti sostanziali sopra richiamati.

L’opposta prospettiva dell’Agenzia delle Entrate.

La disamina fin qui svolta consente, da ultimo, di mettere in evidenza il contrasto de facto sussistente tra l’orientamento di legittimità in materia e l’Amministrazione finanziaria.

Alla logica “di apertura” che sembra informare il pensiero della Corte, propensa all’estensione del regime di esenzione dall’IVA anche in casi di cessioni come quella oggetto della sentenza n. 13742/2023, fa riscontro l’opposta prospettiva adottata dall’Agenzia delle Entrate che, con la consulenza giuridica n. 4 del 13 aprile 2021, è pervenuta a conclusioni invero contrarie a quelle dei servizi della Commissione Europea.

L’Agenzia infatti sottolinea che “in assenza di indicazioni condivise al livello UE, dunque, non sembra potersi consentire a una interpretazione estensiva del regime di esenzione disposto dal citato articolo 10, comma 1, numero 11) del decreto IVA, che, come le altre forme di esenzione, deve essere interpretato in senso restrittivo, costituendo una deroga al principio generale di imponibilità delle operazioni rilevanti ai fini IVA. L'esenzione resta, pertanto, circoscritta al solo oro che possiede determinate caratteristiche di forma, peso e purezza (forma di lingotti o placchette, peso superiore a un grammo, purezza pari o superiore a 995 millesimi), e che può essere rappresentato o meno da titoli. Dette caratteristiche devono sempre sussistere congiuntamente, con la conseguenza che, se manca anche una soltanto di queste proprietà, l'oro deve considerarsi oro non da investimento (oro industriale), e la sua cessione è imponibile con obbligo di assolvimento dell'IVA da parte del cessionario soggetto passivo mediante l'applicazione del meccanismo del reverse charge, ex articolo 17, comma 5, del decreto IVA”.

F.N.

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