Con l’Ordinanza n. 13336 depositata il 16 maggio 2023, la Corte di Cassazione, ponendosi nella medesima prospettiva della riforma fiscale, ha confermato il suo più recente orientamento in tema di società di comodo, affermando come la prova contraria debba essere fornita dal contribuente in modo che l’obiettività della situazione investa anche i profili intrinseci della stessa, e non solo la sua attitudine ad impedire lo svolgimento dell’attività sociale. Il caso L’Amministrazione finanziaria, in esito all’espletamento del test di operatività ex art. 30 L. n. 724/1994 condotto nei confronti di una società in liquidazione, ha notificato alla stessa un avviso di accertamento riprendo a tassazione maggior reddito ai fini IRES e IRAP. In maggior dettaglio, l’Ufficio sul presupposto del mancato raggiungimento della soglia minima di ricavi calcolata nel modus prescritto dalla citata disposizione, ha per l’effetto fondato la presunzione di non operatività della società. La contribuente ha impugnato l’atto impositivo presso la competente CTP, che ne ha accolto il ricorso sostenendo come lo stato di liquidazione in cui versava la società costituisse ex sé elemento idoneo a superare la presunzione de qua, e ciò sul rilevo del fatto che tale status impedisse di fatto il conseguimento della soglia minima di ricavi. L’ufficio ha quindi proposto appello innanzi alla competente CTR la quale ha confermato la sentenza di primo grado, osservando come la presunzione risultasse invero fondata sulle sole risultanze del predetto test in assenza di qualsivoglia riferimento alla situazione reale della Società attenzionata invece dai giudici di prime cure. La decisione d’appello è stata impugnata dall’Amministrazione finanziaria con ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo per violazione di legge: l’inidoneità dei fatti, presi in considerazione dai giudici d’appello, a determinare la disapplicazione della disciplina prevista per le società di comodo nel caso di specie. La decisione La Suprema Corte con l’ordinanza in commento ha accolto il ricorso proposto dall’Ufficio, ridelineando i confini della prova contraria idonea a vincere la presunzione legale relativa di società di comodo. I Supremi Giudici, richiamando la giurisprudenza di legittimità ed avuto riguardo alle effettive condizione di mercato, hanno ribadito come l’onere probatorio del contribuente debba risolversi nella dimostrata esistenza di situazioni oggettive, slegate dalla volontà dell’imprenditore, dalle quali sia possibile desumere: l’erroneità dell’esito quantitativo del test di operatività, ovvero la sussistenza di un’attività imprenditoriale effettiva e reale. Quanto al caso di specie, i Giudici di legittimità hanno osservato come lo stato di liquidazione abbia rappresentato invero un elemento astrattamente idoneo ad impedire lo svolgimento dell’attività sociale. Tuttavia da solo insufficiente a vincere la presunzione de quo in assenza di un’attenta e puntuale valutazione dei profili intrinseci della fattispecie concreta. Secondo la Corte, in particolare, i giudici di merito hanno omesso di considerare il carattere anche soggettivo dello stato di liquidazione, giacché il suo lungo protrarsi (quasi dieci anni) avrebbe dovuto ricondursi anche e principalmente ad una scelta della stessa Società contribuente, incapace in questo lungo lasso di tempo di definire i rapporti pendenti. Infine, si segnala come la recente legge delega alla riforma fiscale si proponga fra l’altro di revisionare l’intera disciplina delle società di comodo, nel precipuo intento di disapplicare la presunzione di non operatività soltanto nei confronti degli enti che non svolgano effettiva attività commerciale. In particolare, l’art. 9 del Ddl di delega fiscale prevede la revisione della disciplina delle società non operative stabilendo: - la determinazione di cause di esclusione che tengano conto dell’esistenza di un congruo numero di lavoratori dipendenti e dello svolgimento di attività in settori economici regolati. G.S.
- l’individuazione di nuovi parametri, da aggiornare periodicamente, che consentano di identificare le società senza impresa, tenendo anche conto dei principi elaborati in materia di IVA dalla Cassazione e della Corte di Giustizia dell’Unione europea;