La Corte di cassazione, con la Sentenza n. 10422 depositata il 19 aprile 2023, si è occupata delle operazioni poste in essere tra società aventi sede in Italia e appartenenti al medesimo gruppo. Per tali casi ha fissato il principio di diritto secondo cui lo scostamento dal valore normale di cui all’art. 9 del TUIR “può assumere rilievo quale parametro meramente indiziario dell’antieconomicità manifesta e macroscopica dell’operazione posta in essere, esulante dal normale margine di errore di valutazione anche dell’inerenza della destinazione del bene o servizio, sì da giustificare l’accertamento con conseguente prova contraria a carico del contribuente, senza che per ciò sia violato il criterio di neutralità del tributo armonizzato, né la norma di interpretazione autentica contenuta nell’art. 5, comma 2 D. Lgs. 147/2015, la quale è diretta ad escludere l’applicazione dell’art. 110 al ‘trasfer princing’ interno, ma non a limitare la portata logico-giuridica dell’art. 9 cit.”. Il caso L’amministrazione finanziaria ha avviato una verifica nei confronti di una società all’esito della quale sono state rilevate diverse violazioni. In particolare, i verificatori hanno evidenziato come la stessa contribuente, operante nel settore della compravendita delle auto, avesse concesso uno spazio espositivo ad altra società del gruppo, avente la medesima compagine sociale e lo stesso amministratore, ad un canone di Euro 5.000 annui, considerato quasi gratuito. Conseguentemente hanno ritenuto di operare una ripresa per omessa fatturazione ai sensi degli artt. 9 e 110 del TUIR. I restanti rilievi hanno avuto ad oggetto l’indeducibilità di minusvalenze per errata contabilizzazione di beni utilizzati come strumentali anziché bene-merce, l’omessa fatturazione di ricavi per contratti di auto concesse in uso a terzi e l’indeducibilità di costi rappresentati dalle esistenze iniziali dell’anno di imposta. Il giudizio di primo grado si è concluso con l’accoglimento parziale del ricorso, limitatamente alla questione della deducibilità dei costi connessi alle esistenze iniziali. In sede di gravame la CTR ha respinto l’appello della società contribuente ed ha accolto l’appello incidentale dell’Ufficio. La società ha quindi proposto ricorso per Cassazione affidato a plurimi motivi. Per quanto rileva ai fini del presente commento, con il primo motivo di ricorso ha censurato la sentenza di appello per violazione di legge deducendo la violazione degli artt. 5, comma 2 del D. Lgs. n. 147/2015 e 9 del TUIR con riferimento alla statuizione della CTR circa la ripresa per concessione in uso di spazi commerciali e attrezzature. La ricorrente ha contestato innanzitutto le modalità di determinazione del compenso che la stessa società concedente avrebbe omesso di fatturare. I maggiori ricavi, infatti, sono stati determinati dall’Ufficio tenendo conto dei costi complessivi imputati a conto economico, per poi ricavare in via proporzionale il corrispondente canone dell’area concessa in uso. Inoltre, a parere della società contribuente, l’accertamento analitico induttivo di cui all’art. 39, comma 1 lett. d) del DPR 600/73 non sarebbe legittimo in quanto fondato sull’applicazione del prezzo normale nei rapporti tra imprese infragruppo, posto che la concessione di uno spazio per l’esposizione di un’auto di altra società potrebbe comportare vantaggi per lo stesso soggetto concedente, quali l’attrazione di clienti per la vendita delle proprie auto. Da ultimo, ha sostenuto la ricorrente, l’Ufficio non avrebbe provato elementi da cui dedurre un vantaggio attribuito dall’una all’altra società nell’ottica di un’elusione o un’evasione fiscale. A corroborare la natura illegittima dell’accertamento è stata richiamata anche la norma interpretativa di cui all’art. 5, comma 2 del D. Lgs. 14 settembre 2015 n. 147, secondo cui: “La disposizione di cui all'articolo 110, comma 7, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, si interpreta nel senso che la disciplina ivi prevista non si applica per le operazioni tra imprese residenti o localizzate nel territorio dello Stato”. Norma che ha una portata retroattiva e che esclude espressamente l’applicabilità della disciplina del transfer princing alle operazioni tra imprese residenti. La decisione La Corte di cassazione, con la sentenza in commento, ha respinto il ricorso della società ricorrente, con conseguente condanna alle spese del giudizio. A parere della Suprema Corte gli argomenti addotti dalla società ricorrente non risultano insuperabili. Difatti – spiega il Giudice delle leggi – il riferimento ai canoni di locazione di mercato è stato utilizzato al fine di provare la concessione degli spazi a titolo (quasi) gratuito. Inoltre, il riferimento al valore normale è stato operato non per sindacar le scelte imprenditoriali ma per dimostrare l’antieconomicità dell’operazione. Anche il riferimento ai vantaggi per il concedente relativi ad un possibile ritorno di clientela rappresenterebbe soltanto un’ipotesi astratta, rimasta indimostrata. Secondo la Cassazione, inoltre, l’onere della prova della regolarità dell’operazione è rimesso alla contribuente e non all’Agenzia, con particolare riferimento all’assenza di un vantaggio fiscale conseguito per effetto dello spostamento di un costo, pari a quello che avrebbe dovuto sostenere la controparte conduttrice relativamente ad uno spazio analogo concesso da un terzo locatore. In una fattispecie come quella in esame, lo scostamento dal valore normale può essere rilevante quale parametro indiziario del fatto che l’operazione economica sottostante, correlandosi ad una spesa antieconomica, costituisce un’anomalia, così da poter giustificare, in assenza di elementi contrari, l’accertamento analitico-induttivo ex art. 39 cit. Ciò in quanto è onere del contribuente dimostrare la regolarità delle operazioni in relazione allo svolgimento dell’attività di impresa ed alle scelte imprenditoriali. La Cassazione ha quindi stabilito il seguente principio di diritto: “In tema di accertamento analitico-induttivo ex art. 39 comma1 lett. d) DPR 600 del 1973, ai fini della determinazione del reddito di impresa per omessa contabilizzazione di ricavi e IVA relativa ad operazione commerciale posta in essere tra società del medesimo gruppo aventi sede in Italia, ai fini del valore da attribuire ad una prestazione di servizi, lo scostamento dal valore normale del canone di affitto di cui all’art. 9 del TUIR può assumere rilievo quale parametro meramente indiziario dell’antieconomicità manifesta e macroscopica dell’operazione posta in essere, esulante dal normale margine di errore di valutazione anche dell’inerenza della destinazione del bene o servizio, sì da giustificare l’accertamento con conseguente prova contraria a carico del contribuente, senza che per ciò sia violato il criterio di neutralità del tributo armonizzato, né la norma di interpretazione autentica contenuta nell’art. 5, comma 2 D. Lgs. 147/2015, la quale è diretta ad escludere l’applicazione dell’art. 110 al transfer princing interno, ma non a limitare la portata logico-giuridica dell’art. 9 cit.”. F.D.D.