Con la sentenza n. 46 depositata il 17 marzo 2023, la Corte Costituzionale, nel decidere le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla CTP di Bari, ha chiarito come le sanzioni fiscali, strutturate per garantire un forte effetto deterrente, debbano essere orientate ai canoni di ragionevolezza e proporzionalità. Al riguardo, la Consulta valorizza la disciplina di cui all’art. 7 del D.Lgs. n. 472 del 1997, norma che, nel prevedere la possibilità di ridurre le sanzioni fino a dimezzarle, si pone come «una opportuna valvola di decompressione atta a mitigare l’applicazione di sanzioni» che molto spesso finiscono per divenire draconiane. Il caso La fattispecie che ha dato origine alle questioni di legittimità costituzionale ha visto coinvolta una società consolidante cui l’Agenzia delle Entrate aveva notificato due avvisi di accertamento, con riferimento agli anni d’imposta 2014 e 2015, comminando alla stessa la sanzione prevista per l’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi relativa al consolidato fiscale, pari al 120% delle maggiori imposte accertate. Ciò sebbene la contribuente avesse, per un verso, presentato la propria dichiarazione (così come avevano fatto tutte le società consolidate), per l’altro pagato integralmente, ancorché in ritardo, le imposte dovute, unitamente agli interessi e alle sanzioni ridotte. Ciò era avvenuto antecedentemente alla notifica degli atti impositivi. Valutato il comportamento della contribuente, la CTP di Bari aveva ritenuto tale condotta ictu oculi meno grave di quella di colui che, invece, omette non solo la presentazione della dichiarazione ma anche il pagamento delle imposte; per l’effetto, ritenendo sproporzionato l’impianto sanzionatorio normativamente previsto dagli artt. 1, comma 1, primo periodo e 13, comma 1, del D. Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, aveva sollevato questione di costituzionale delle citate norme in relazione agli artt. 3, 53, e 76 della Costituzione. In maggior dettaglio, con la prima censura mossa nei riguardi del citato art. 1, il Giudice tributario aveva posto in evidenzia come la disposizione, nel colpire indiscriminatamente l’omessa dichiarazione senza alcun riguardo all’entità oggettiva e soggettiva della violazione commessa, finirebbe col porsi in aperto contrasto con i principi costituzionali di uguaglianza, proporzionalità e ragionevolezza. A giudizio del Rimettente, alla supposta incostituzionalità si accompagnava l’effetto demotivante che l’irrogazione di una sanzione, non parametrata all’eventuale residuo dell’imposte ancora da versare, verrebbe ad ingenerare nei contribuenti, privati di qualsivoglia beneficio rispetto ad un ipotetico adempimento spontaneo, ancorché tardivo. Quanto alla seconda disposizione oggetto di censura, per la Corte barese risulterebbe inoltre parimenti irragionevole limitare la fruizione delle riduzioni sanzionatorie previste per il ravvedimento operoso ai soli casi in cui sia stata presenta la dichiarazione pur senza eseguire i prescritti versamenti. In tal modo si sacrifica, ancora una volta, la posizione del contribuente che pur omettendo la presentazione della dichiarazione abbia versato quanto dovuto, che si sia comunque attivato per porre rimedio alla violazione commessa. La pronuncia La Corte Costituzionale, nel dichiarare le predette questioni in parte inammissibili e in parte infondate, ha evidenziato in premessa la centralità che in un sistema di fiscalità di massa riveste la fedele e tempestiva presentazione della dichiarazione dei redditi. Il contribuente è chiamato, in questo senso, a collaborare con l’Amministrazione finanziaria, la quale diversamente sarebbe costretta a ricorrere ad altri strumenti di controllo che, tuttavia, implicherebbero un dispendio di risorse ed energie ben maggiore rispetto a quello generalmente richiesto. Di conseguenza, ha sottolineato la Corte, anche sanzioni consistenti, con un forte effetto deterrente, devono ritenersi giustificate in vista del buon funzionamento del sistema tributario. Senonché, a parere del Giudice delle Leggi, quanto premesso non sarebbe di per sé sufficiente a superare il deficit di ragionevolezza e proporzionalità che connota la normativa sanzionatoria in argomento. Perciò la Consulta ha offerto un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 7 del D. Lgs. 472/1997. In maggior dettaglio, la Corte ha suggerito una lettura sistematica di due commi della predetta disposizione, abbandonando pertanto la visione “atomistica” fin ora adottata: il primo (comma 1) denota il carattere personalistico dei criteri di determinazione delle sanzioni, dovendosi aver riguardo “alla gravità della violazione desunta anche dalla condotta dell’agente, all’opera da lui svolta per l’eliminazione o l’attenuazione delle conseguenze, nonché alla sua personalità e alle condizioni economiche e sociali”; il secondo (comma 4) prevede la facoltà di ridurre nella misura del 50% la sanzione “qualora ricorrano eccezionali circostanze che rendano manifesta la sproporzione tra l’entità del tributo cui la violazione si riferisce e la sanzione”. Orbene, su di un piano più squisitamente pratico la rilevata connessione tra i predetti commi consentirebbe al “contribuente collaborativo”, esemplificato dal protagonista della vicenda in esame, di ottenere la riduzione delle sanzioni (rectius il dimezzamento di cui al comma 4) - in luogo del ravvedimento operoso - laddove riesca a documentare le circostanze attenuanti (non più necessariamente eccezionali) legate all’opera dallo stesso svolta per eliminare o attenuare le conseguenze della propria violazione. A giudizio della Corte, il beneficio sanzionatorio di cui all’art. 7 potrebbe ottenersi non solo su apposita istanza di parte, ma anche con riconoscimento ex officio da parte dell’Amministrazione finanziaria. In ultima istanza, si ritiene doveroso segnalare come i temi oggetto della pronuncia commentata costituiscano elementi di interesse anche nel contesto del disegno di legge delega per la riforma fiscale. Tra le altre cose, l’iniziativa del Governo mira a revisionare il sistema sanzionatorio amministrativo su imposte dirette e Iva, spesso oggetto di critica in termini di iniquità da parte delle Corte Europee, al fine di allinearle agli standard di proporzionalità degli altri Paesi membri. In questo senso, l’art. 20 della bozza di delega fiscale prevede, sul piano delle sanzioni penali, un trattamento differenziato per la c.d. ”evasione di necessità”, attribuendo specifico rilievo tanto alla sopraggiunta impossibilità di far fronte al pagamento del tributo, quanto all’utilizzo di strumenti deflattivi del contenzioso in sede amministrativa e giudiziale tributaria (da cui derivi l’irrilevanza del fatto ai fini penali). Sotto il profilo delle sanzioni amministrative, invece, il citato art. 20 della bozza di delega fiscale – in linea con quanto statuito dalla Corte Costituzionale – depone nel senso di introdurre una normativa migliorativa del canone di proporzionalità delle sanzioni tributarie, attenuandone il carico in modo che siano allineate alla disciplina in vigore negli altri Paesi europei. G.S.