Responsabilità civile dei funzionari per accertamento errato

10 Marzo 2023

Con l’ordinanza n. 5984/2023 la Corte di Cassazione ha confermato la sentenza della Corte d’Appello di Roma che aveva condannato l’Agenzia delle Entrate e due funzionari al risarcimento del danno cagionato da un accertamento errato. Le risultanze della verifica fiscale avevano comportato l’apertura di procedimenti penali a carico del contribuente. La Corte di legittimità ha ribadito la responsabilità civile dell’amministrazione finanziaria e dei funzionari nei casi di violazione dolosa o colposa di un diritto soggettivo del soggetto accertato.

Il caso

La vicenda trae origine da una verifica fiscale relativa agli anni d’imposta 2003-2004 svolta a carico di una società. All’esito dell’ispezione, i verificatori accertarono l’evasione dell’IVA per un ingente importo. La asserita evasione era da ricondurre, tra l’altro, al presunto acquisto di autovetture usate, acquisto qualificato in parte come operazione inesistente ed in parte come operazione intracomunitaria in regime di margine. In forza di tali elementi, la verifica aveva accertato l’evasione dell’IVA al di sopra della soglia di punibilità di cui all’art. 4 del d.lgs. 74/2000 e, conseguentemente, a carico del contribuente erano stati aperti due procedimenti penali.

Nondimeno, nel corso di questi ultimi, era stato rilevato che i funzionari avessero commesso un errore grossolano nell’includere gli acquisti delle autovetture ai fini dell’accertamento, posto che le stesse erano state in realtà acquistate in Italia. Sulla scorta di tale rilievo, i processi penali si erano estinti, rispettivamente, con provvedimento di archiviazione e sentenza di non doversi procedere perché il fatto non sussiste.

All’esito di ciò, l’amministratore della società aveva agito in sede civile per ottenere il risarcimento del danno extrapatrimoniale causato dalla condotta negligente, caratterizzata da colpa grave, dell’Agenzia delle Entrate e dei due funzionari autori dell’accertamento.

Dopo un primo grado di giudizio sfavorevole, la Corte d’Appello del Lazio aveva accolto le ragioni del contribuente, condannando le controparti al risarcimento dei danni quantificati in 20.000 euro sul presupposto che, se i verificatori avessero correttamente svolto le proprie operazioni, non si sarebbe superata la soglia di punibilità di cui all’art. 4 del d.lgs. 74/2000 e, per l’effetto, non sarebbero stati promossi i procedimenti penali.

La pronuncia

Contro la sentenza della Corte d’Appello, l’Agenzia delle Entrate e i funzionari promuovevano ricorso per cassazione affidato a due motivi.

Con il primo motivo si censurava la sentenza per aver attribuito alla colpa grave e alla negligenza dei ricorrenti le gravi conseguenze derivanti al contribuente dall’apertura dei procedimenti penali. In particolare, si deduceva che la responsabilità dell’azione penale non potesse essere ricondotta al comportamento dei funzionari, sui quali incombe unicamente (come atto dovuto) un obbligo di denuncia penalmente sanzionato.

Con il secondo motivo i ricorrenti denunciavano la violazione di legge nella quale era incorsa la Corte d’Appello, in relazione all’art. 4 del d.lgs. 74/2000, giacchè veniva rilevato che, se anche l’acquisto delle due autovetture non fosse stato incluso nell’accertamento, la soglia di punibilità sarebbe stata comunque superata a causa delle ulteriori violazioni accertate a carico del contribuente.

Il ricorso per cassazione dell’Agenzia fiscale e dei funzionari è stato dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione, secondo la quale entrambi i motivi erano volti a sollecitare una valutazione di merito sui fatti oggetto della controversia (attività già svolta dal giudice d’appello e non consentita in sede di legittimità). Appare rilevante quanto enunciato dalla Corte di legittimità in relazione al primo motivo di impugnazione: “l’attività della pubblica amministrazione, anche nel campo della pura discrezionalità, deve svolgersi nei limiti posti dalla legge e dal principio primario del neminem laedere, codificato nell’art. 2043 c.c., per cui è consentito al giudice ordinario accertare se vi sia stato da parte della stessa pubblica amministrazione, un comportamento doloso o colposo che, in violazione di tale norma e tale principio, abbia determinato la violazione di un diritto soggettivo. Infatti, stanti i principi di legalità, imparzialità e buona amministrazione, di cui all’art. 97 Cost., la pubblica amministrazione è tenuta a subire le conseguenze stabilite dall’art. 2043 c.c., atteso che tali principi si pongono come limiti esterni alla sua attività discrezionale”.

Opportuna inoltre la precisazione per cui “gli odierni ricorrenti non sono stati ritenuti responsabili ex art. 2043 c.c. per la denuncia in sé, bensì per le risultanze dei loro accertamenti, che, se fossero stati effettuati correttamente, non avrebbero indotto il P.M. ad esercitare l’azione penale. Né, come rilevato dalla sentenza gravata, ad esimente di tale responsabilità può valere la circostanza che le conclusioni degli accertatori sono state avvallate dall’Ufficio del P.M., considerato che quest’ultimo è stato tratto in errore proprio dalla erroneità degli accertamenti effettuati dagli accertatori e dalle loro conclusioni”. Per l’effetto, la Cassazione ha confermato la sentenza favorevole al contribuente emessa dalla Corte d’Appello.

L’ordinanza in commento si presta ad una lettura favorevole nell’ottica pro-contribuente, confermando l’esposizione potenziale dell’Ufficio, nonché dei funzionari che hanno svolto la verifica, ad una responsabilità civile derivante da accertamenti errati. Benchè tali profili di colpevolezza possano sorgere anche al di fuori di fattispecie a rilevanza penale, appare interessante rilevare come, nel caso di specie, la responsabilità dell’esercizio dell’azione penale non sia stata imputata al PM (che ne è l’effettivo titolare) ma sia stata riferita ai funzionari i quali, con la relativa attività connotata da colpa grave, avrebbero indotto in errore il magistrato inquirente.

A.P.

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