In tema di sanzioni tributarie, la forza maggiore va intesa nella sua accezione penalistica e riferita ad un avvenimento imponderabile che elide la coscienza e volontarietà del contribuente con la conseguenza che la carenza di liquidità pur se derivante da un ritardo nei pagamenti da parte della Pubblica Amministrazione non ne integra i presupposti, essendo l’inadempimento un evento prevedibile. Lo afferma la Suprema Corte con sentenza n. 987 del 16 gennaio 2023. Il caso L’Agenzia delle Entrate (“Ade”) notificava alla Società Alfa S.r.l. un avviso di accertamento per il periodo d’imposta 2006 ai fini Irpef, Irap, Iva e interessi comminando altresì le sanzioni. A tale avviso di accertamento conseguiva l’emissione della cartella di pagamento. Gli atti impositivi venivano impugnati dalla Contribuente innanzi la Commissione Provinciale di Taranto (“CTP”) che annullava parzialmente gli stessi atti nella parte relativa al trattamento sanzionatorio. La sentenza della CTP veniva confermata dalla Commissione Tributaria Regionale della Puglia (“CTR”), la quale ritenendo legittima la cartella di pagamento limitatamente alle imposte ed interessi, annullava le sanzioni in essa esposte facendo applicazione della causa di non punibilità della forza maggiore ex art. 6 del Dlgs. n. 472/1997. Ciò sul presupposto che l’omesso versamento delle imposte dovute dalla Contribuente era dipeso dal mancato pagamento da parte della Pubblica amministrazione dei debiti verso la società. La decisione dei giudici di secondo grado veniva impugnata dall’Agenzia delle Entrate e dall’Agenzia Entrate – Riscossione con ricorso affidato ad un unico motivo. Le Ricorrenti, in primo luogo, evidenziavano che lo stato di illiquidità aziendale per mancato soddisfacimento da parte della PA di crediti vantati dalla società non costituisce un’ipotesi di esimente per forza maggiore. Inoltre, ritenevano che la CTR avesse erroneamente applicato la stessa esimente non avendo accertato né il presupposto oggettivo ossia le circostanze anormali ed estranee all’operatore, né il presupposto soggettivo correlato al dovere del contribuente di premunirsi, senza gravosi sacrifici, di misure appropriate per evitare le conseguenze di eventi anormali. La decisione La Corte di cassazione con la sentenza in commento ha accolto il ricorso proposto dall’Amministrazione finanziaria, ribadendo che la sussistenza di una situazione di illiquidità o di crisi aziendale non costituisca, ex sé, forza maggiore ai fini dell’operatività della causa di non punibilità di cui all’art. 6 del decreto citato. Aa tal proposito, la Corte ha rilevato che la nozione di forza maggiore nell’ordinamento tributario deve essere interpretata secondo una matrice penalistica alla luce della funzione punitiva della sanzione tributaria. In particolare, la Suprema Corte fornisce una ricostruzione degli orientamenti giurisprudenziali in tema di forza maggiore distinguendo i principi elaborati dalla Corte di Giustizia e relativi alle accise e quelli dei giudici di legittimità che invece riguardano il trattamento sanzionatorio. Se, infatti, i giudici europei nel definire la forza maggiore hanno avuto riguardo sia all’elemento oggettivo dato dall’esistenza di circostanze estranee ed imprevedibili che impediscono all’operatore di tenere il comportamento dovuto e all’elemento oggettivo costituito dall’obbligo dell’interessato di premunirsi contro le conseguenze anomale adottando misure appropriate, la giurisprudenza nazionale con riferimento alla rilevanza della forma maggiore nel diritto sanzionatorio si è soffermata sulla nozione di “coscienza e volontà” del comportamento omissivo del contribuente. Secondo la Corte, perché possa operare la scusante della forza maggiore il Contribuente deve provare l’esistenza di una “vis cui resisti non potest” ossia di una forza irresistibile e inarrestabile tale da costringere l’agente a tenere un comportamento contrario all’ordinamento. La forza maggiore, infatti, si riferisce ad un avvenimento imponderabile che annulla la signoria del soggetto sui propri comportamenti, il quale non può - spiega la Suprema Corte – essere ravvisato nel comportamento inadempiente della Pubblica amministrazione. L’inadempimento è infatti un evento prevedibile e ben può il creditore (rectius il contribuente) precostituirsi dei rimedi contro tale evenienza. Conclude quindi la Cassazione precisando che, in tema di sanzioni tributarie, avendo il diritto sanzionatorio una natura punitiva, la forza maggiore va intesa nella sua accezione penalistica e riferita ad un evento imponderabile che elide “il requisito della coscienza e volontarietà della condotta; con la conseguenza che la crisi di liquidità derivante dal reiterato, per quanto grave, inadempimento di pubbliche amministrazioni debitrici, per di più prevedibile, non risponde a tale nozione”.[1] La sentenza in commento, pur condivisibile con riferimento all’accezione penalistica della forza maggiore, si colloca in un orientamento della Cassazione che suscita qualche perplessità con riferimento all’impossibilità di ritenere applicabile nella specie la suddetta esimente. Difatti, non appare agevole la prevedibilità di “reiterato quanto grave inadempimento” da parte della Pubblica Amministrazione, non potendosi trascurare che si discute dell’Amministrazione finanziaria ovvero di un ufficio pubblico deputato alla gestione delle entrate e uscite di uno Stato. In questo senso, stride il riconoscimento in favore dello stesso anche di un’ulteriore entrata, connessa alle sanzioni, pur in presenza di un suo grave e reiterato inadempimento che ha cagionato la crisi del contribuente. G.G. [1] In tal senso anche Cass. n. 11276 del 2022