Ristretta base societaria: per la giurisprudenza di merito l’onere della prova grava per legge in capo al Fisco

16 Gennaio 2023

Con la recente sentenza n. 281/2022 depositata il 27/12/2022 la Corte di Giustizia Tributaria di I grado di Reggio Emilia si è espressa, a pochi mesi dalla riforma della giustizia tributaria, in tema di onere della prova per maggior redditi accertati nei confronti dei soci di una società a ristretta base societaria. A tal proposito, la Corte emiliana, discostandosi dalla recente giurisprudenza di legittimità, ha chiarito che l’insorgenza dell’onere di fornire prova contraria in capo al contribuente debba ritenersi subordinata al previo assolvimento da parte l’Amministrazione del proprio onere probatorio. La stessa, pena l’annullamento dell’atto, sarà dunque tenuta a dimostrare, sia pur mediante presunzioni gravi precise e concordanti, che il costo ritenuto indeducibile avrebbe fornito alla società liquidità sufficiente per distribuire il maggior reddito accertato in favore dei soci.

Il caso

L’Amministrazione finanziaria ha emesso nei confronti di una società a responsabilità limitata un avviso di accertamento con il quale ha ripreso a tassazione, per l’anno d’imposta 2015, il maggior reddito d’impresa contestando l’indebita deduzione di costi per operazioni inesistenti. Preso atto della ristretta base partecipativa, l’Ufficio ha altresì presunto una distribuzione di utili extracontabili pro quota, contestando per conseguenza anche nei confronti dei singoli soci un maggior reddito da partecipazione ai fini Irpef.

La sentenza in commento ha ad oggetto l’impugnazione proposta da uno dei soci della società a ristretta base nei confronti dell’atto impositivo emesso a suo carico, contestando la pretesa dell’Agenzia con particolare riferimento al rispetto dell’onere probatorio posto a carico dell’Ente impositore circa l’utilizzo da parte della società delle asserite fatture oggettivamente inesistenti.

La pronuncia

La CGT reggiana, nell’accogliere il ricorso del contribuente, ha richiamato il principio affermatosi nella giurisprudenza posto a base dell’accertamento nei confronti delle società di capitali a ristretta base, secondo cui “l’accertamento di un maggior reddito nei confronti di una società di capitali a ristretta base partecipativa, implica una presunzione di distribuzione degli utili extracontabili ai consociati, tenuto conto della complicità che normalmente, avvince i membri della ristretta compagine sociale”.

Tuttavia, la Corte precisa come siffatto principio, pur ricollegandosi ad una “ipotesi di probabilità comportamentale”, sia stato oggetto in realtà di un utilizzo improprio nella prassi applicativa al punto da comportare sistematicamente un automatico e generalizzato accertamento nei confronti dei soci della società a ristretta base.

Del resto, come rammentato nella sentenza in commento, non sussiste nel caso di specie una presunzione legale di distribuzione degli utili, bensì solo una presunzione semplice che richiede l’esistenza di elementi gravi precisi e concordanti perché possa operarsi una ricostruzione inferenziale e quindi legittimare l’emissione di un atto impositivo.

Tale considerazione assume maggior rilievo in ragione del comma 5-bis dell’art. 7 del D.lgs. n. 546/1992[1], di recente introduzione, che nel precisare l’onere probatorio posto a carico delle parti nel processo tributario, ha espressamente rimesso in capo all’Amministrazione finanziaria l’onere di indicare puntualmente le ragioni oggettive poste a fondamento della propria pretesa. In questo senso, spetterà al giudice tributario accertarne la sussistenza con riferimento alla fattispecie concreta, annullando, se del caso, l’atto impositivo che ne sia sprovvisto.

Sulla scorta di tali considerazioni, la Corte di giustizia tributaria ha ritenuto di dover annullare l’avviso di accertamento in quanto emesso in violazione della norma citata. Secondo i giudici, infatti, l’Agenzia avrebbe mancato nel fornire la puntuale dimostrazione di come la società, nonostante la deduzione del costo ritenuto indeducibile, si sia procurata la provvista per distribuire nei confronti dei soci il maggior reddito accertato. Di conseguenza risulterebbe priva di alcun fondamento probatorio la tesi dell’Ufficio circa la presunta distribuzione “in nero” degli utili extracontabili in favore dei soci.

In ultima istanza, per comunanza delle tematiche trattate, si segnala altresì la sentenza emessa dalla stessa CGT di I grado di Reggio Emilia n. 293 del 30 dicembre 2022. In quella sede i giudici provinciali hanno ulteriormente affermato l’operatività della novella legislativa rappresentata dall’art. 7, c. 5-bis, anche nei contenziosi avviati in via precedente all’entrata in vigore della disposizione, semprechè pendenti alla data del 16 settembre 2022. Ancor più importante, tuttavia, è la circostanza di aver definito la controversia in applicazione della nuova norma, disponendo l’annullamento dell’avviso di accertamento anche in difetto di un apposito motivo di ricorso formulato dai contribuenti per violazione dei nuovi criteri probatori che devono connotare l’atto impositivo. L’applicazione d’ufficio dell’art. 7, c. 5bis, rappresenta quindi l’ultima frontiera nell’interpretazione giurisprudenziale espressa dalle corti di merito, in evidente antitesi con la ferma linea “conservatrice” opposta finora dalla Cassazione[2].

G.S. – A.P.


[1] Secondo l’art. 7 comma 5-bis del D. Lgs 546/1992: “L'amministrazione prova in giudizio le violazioni contestate con l'atto impugnato. Il Giudice fonda la decisione sugli elementi di prova che emergono nel giudizio e annulla l'atto impositivo se la prova della sua fondatezza manca o è contraddittoria o se è comunque insufficiente a dimostrare, in modo circostanziato e puntuale, comunque in coerenza con la normativa tributaria sostanziale, le ragioni oggettive su cui si fondono la pretesa impositiva e l'irrogazione delle sanzioni. Spetta, comunque, al contribuente fornire le ragioni della richiesta di rimborso quando non sia conseguente al pagamento di somme oggetto di accertamenti impugnati.

[2] Cfr. Cass. civ., sez. V, 27 ottobre 2022, n. 31878 per cui la nuova formulazione legislativa “non stabilisce un onere probatorio diverso o più gravoso rispetto ai principi già vigenti in materia, ma è coerente con le ulteriori modifiche legislative in tema di prova, che assegnano all’istruttoria dibattimentale un ruolo centrale”.

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