La motivazione della sentenza tributaria non può riportare pedissequamente il contenuto degli atti dell'Ufficio

24 Novembre 2022

Con la recente Sentenza n. 33083/2022 la Suprema Corte torna ad occuparsi del tema della motivazione apparente della sentenza tributaria. Al riguardo, ha affermato il principio secondo cui la sentenza tributaria non può trincerarsi dietro una apparente motivazione sul merito, omettendo l’esame del fondamento dei motivi di appello e trascrivendo pedissequamente il contenuto dell’atto di controdeduzioni e della memoria di replica dell’Agenzia delle Entrate. La sentenza in tal caso è nulla per consistenza meramente grafica della motivazione.

Il caso

La società GIO.CO. S.r.l. ha ricevuto la notifica di un avviso di accertamento per l’anno 2007 ai fini delle imposte dirette e dell’IVA in ragione di tre rilievi: il primo attiene al difetto di inerenza delle spese per fatture passive considerate incongrue sotto il profilo temporale in ragione dello stato di avanzamento dei lavori. Il secondo è relativo all’indeducibilità di spese per operazioni soggettivamente inesistenti e il terzo relativo ad una fattura emessa da GIO.CO. S nel corso della pregressa attività di polizia giudiziaria senza il versamento della corrispondente IVA.

Tale avviso di accertamento è stato seguito da un ulteriore atto impositivo destinato al socio Giorgio C., in considerazione della ristretta base sociale della società, al fine di tassare il reddito occulto di capitale percepito. Un terzo atto veniva poi emesso nei confronti di GIO.CO. s.r.l. per il mancato versamento della ritenuta a titolo di imposta sul reddito di capitale corrisposto.

La società e il socio hanno proposto ricorso avverso tutti gli atti impositivi innanzi alla competente CTP di BARI che si è pronunciata accogliendo in parte le doglianze dei contribuenti. In particolare, la CTP ha ritenuto di accogliere i motivi di ricorso relativi alla ripresa ad imposizione dei costi ritenuti inesistenti e quella relativa alle operazioni inesistenti. Conseguentemente sono stati rideterminati gli atti di accertamento relativi alla presunzione di distribuzione di utili occulti in favore dei soci e all’omesso versamento della ritenuta alla fonte.

GIO.CO. S.r.l. e il socio hanno proposto appello che è stato rigettato integralmente dalla CTR della Puglia.

Avverso la decisione dei giudici di secondo grado, i contribuenti hanno proposto ricorso per Cassazione affidato a tre motivi. Per quanto rileva ai fini del presente commento, si segnala il primo motivo di ricorso con cui è stata contestata la nullità della sentenza ai sensi degli artt. 112 e 132 c.p.c., 118 disp. di attuazione c.p.c. e 36, comma 2 del D. Lgs. n. 546/1992 per motivazione apparente, in relazione alla decisione assunta dai giudici d’appello. Ciò in quanto quest’ultima risultava fondata sulla mera adesione alle considerazioni riportate negli atti predisposti dall’Agenzia delle Entrate, omettendo l’individuazione di alcuna specifica e concreta circostanza di fatto idonea a giustificare il recupero integrale delle imposte ed omettendo ogni esame del fondamento dei motivi d’appello.

La decisione

La Corte di Cassazione con la sentenza in commento ha accolto il ricorso della società e dei soci con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia con il compito di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

La Corte ha infatti rilevato che la sentenza impugnata “trincerandosi dietro una motivazione apparente sul merito, ha sostanzialmente omesso ogni esame del fondamento dei sottostanti motivi di appello” posto che “ha rigettato l’appello trascrivendo pedissequamente (finanche dei medesimi refusi in esso contenuti e con qualche salto tale da non consentire di collegare quanto statuito al relativo oggetto) l’atto di controdeduzioni dell’ADE e la memoria di replica al deposito documentale, ignorando completamente i motivi di appello”.

La parte motiva della sentenza impugnata riporta una ricostruzione sostanzialmente integrale delle controdeduzioni e della memoria illustrativa dell’Ufficio, con la conseguenza che sulla base di un confronto per tabus tra i richiamati atti processuali e le argomentazioni esposte dalla CTR, la parte in diritto risulta priva di uno specifico contenuto motivazionale.

In tal modo, il giudice di secondo grado ha finito per omettere l’effettiva valutazione critica sia delle tesi difensive dell’Agenzia, sia dei motivi d’appello dei contribuenti cui esse sono contrapposte, mancando una soluzione di continuità tra la parte iniziale contenente la descrizione dei fatti, delle difese dell’Amministrazione e dell’ipotetica esposizione delle ragioni della decisione. Sicché nel caso di specie, secondo la Corte, la motivazione difetta del tutto.

Conclude la Cassazione, precisando che in altre pronunce[1] la stessa Corte ha comunque affermato che: “Nel processo civile ed in quello tributario, la sentenza la cui motivazione si limiti a riprodurre il contenuto di un atto di parte (o di altri atti processuali) senza niente aggiungervi, non è nulla qualora le ragioni della decisione siano, in ogni caso, attribuibili all’organo giudicante e risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo, atteso che, in base alle disposizioni costituzionali e processuali, tale tecnica di redazione non può ritenersi di per sé sintomatica di un difetto d’imparzialità del giudice al quale non è imposta l’originalità dei contenuti né delle modalità espositive”, tuttavia nel caso di specie la decisione impugnata si riduce ad una mera adesione acritica alle difese dell’Amministrazione finanziaria senza neanche prendere in considerazione i contrapposti motivi di impugnazione.

F.D.D.


[1] Ex pluribus  Cass. SSUU 16/01/2015 n. 642.

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