Con la recente Ordinanza n. 27249 depositata il 15 settembre 2022 la Corte di cassazione si è espressa in merito alla tipologia delle sentenze rese dai giudici tributari rilevando come, ai sensi dell'art. 35 del D. Lgs 546/1992, siano ammesse nel processo tributario soltanto sentenze definitive. Tale disciplina, che costituisce una deroga all'art. 279 c.p.c., è giustificata dall'esigenza di evitare le lungaggini e gli inconvenienti del frazionamento del giudizio, con particolare riferimento alla riscossione dei tributi. Il caso La Società Italambiente Srl ha ricevuto la notifica di un avviso di accertamento emesso dall'Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale I di Napoli con cui l'Ufficio ha contestato un maggior reddito per la ripresa a tassazione di oneri finanziari sostenuti relativamente ad operazioni di prestito titoli. La società ha impugnato l'atto impositivo innanzi alla competente CTP di Napoli che ha accolto il ricorso. È seguito l'impugnazione da parte dell'Agenzia delle Entrate innanzi alla CTR che lo ha dichiarato inammissibile in quanto tardivo. L'Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per revocazione innanzi alla CTR per la Campania che, con provvedimento qualificato “Ordinanza” ha revocato la precedente decisione della stessa CTR, disponendo la rimessione delle parti davanti alla stessa Commissione per il giudizio di merito della controversia. Avverso tale Ordinanza ha proposto ricorso per cassazione la Società, ricorso affidato a due motivi. Con il primo motivo ha eccepito la violazione degli artt. 35 e 67 del D. Lgs 546/1992 rilevando come l'ordinanza impugnata avrebbe natura di sentenza parziale, non ammessa nel processo tributario. Con separato motivo ha rilevato la violazione di legge con riferimento all'art. 4 della Legge n. 890/1982 posto che, ai fini della prova della data di spedizione del ricorso non sarebbe sufficiente l'avviso di ricevimento con timbro lineare della data di spedizione ma sarebbe necessaria la ricevuta di spedizione ovvero l'avviso di ricevimento con apposizione del timbro a bollo da parte dell'Ufficio postale. La decisione La Corte di Cassazione con l'Ordinanza in commento ha accolto il primo motivo di ricorso, dichiarando assorbito il secondo e, per l'effetto, ha cassato la sentenza impugnata con rinvio del procedimento alla CTR per la Campania per un nuovo giudizio. Ciò anche ai fini della regolamentazione delle spese di legittimità. Con riferimento al primo motivo, la Suprema Corte ha sostenuto come il provvedimento impugnato, pur denominato “Ordinanza” ha natura di sentenza non definitiva con cui la CTR ha deciso soltanto una parte della domanda (vale a dire la richiesta di revoca della precedente decisione d'appello) senza decidere il merito, come avrebbe dovuto fare ai sensi dell'art. 67 del D. Lgs. 546/1992. Proprio perché si tratta di una decisione parziale, la stessa non è ammissibile nel processo tributario ai sensi dell'art. 35, comma 3 del D. Lgs n. 546/1992. Al riguardo, la Cassazione precisa come segue: “Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte, l'affermazione per cui nel contenzioso tributario l'art. 35, comma 3 del D. Lgs. n. 546/1992 (che esclude l'ammissibilità di sentenze non definitive o limitate solo ad alcune domande), costituisce una norma a carattere eccezionale che introduce una deroga rispetto al regime previsto per il processo civile dall'art. 279 c.p.c.; tale deroga è giustificata dall'esigenza di evitare gli inconvenienti cui il frazionamento del giudizio dà generalmente luogo anche nel processo civile, avuto specifico riguardo alla struttura del processo tributario ed al sistema della riscossione frazionata dei tributi, con i quali l'istituto della sentenza non definitiva, ed a maggiori ragione quello dell'impugnazione differita che solitamente vi si accompagna, verrebbero inevitabilmente a confliggere[1]. Di conseguenza, conclude la Cassazione, la CTR non avrebbe potuto emettere la sentenza non definitiva impugnata, ma avrebbe dovuto decidere integralmente nel merito la controversia. F.D.D. [1] Cass. 5 dicembre 2018 n. 31439; Cass. 31 gennaio 2011 n. 22549; Cass. 30 marzo 2007 n. 7909.