In tema di cessione d’azienda, la cartella esattoriale con cui il cessionario d’azienda per la prima volta viene a conoscenza della pretesa tributaria gravante sul cedente riveste natura di atto impositivo. Ne consegue che, pendente il procedimento di impugnazione della suddetta cartella, l’acquirente poteva legittimamente accedere alla definizione agevolata della lite ai sensi dell’art. 6 del D.L. n. 119/2018[1]. Lo afferma la Suprema Corte con sentenza n. 25486 del 2022. Il caso La società Alfa (“cedente”) cedeva la propria azienda alla Beta srl (“cessionaria”), successivamente mutava la propria denominazione e trasferiva la sede legale all’estero. Tali operazioni sono state oggetto di successiva verifica da parte della Guardia di Finanza (“GDF”) nei confronti della società cedente che si concludeva con il verbale cui faceva seguito l’emissione di un avviso di accertamento ai fini delle imposte dirette e dell’IVA. L’atto impositivo veniva notificato altresì alla società Beta quale responsabile solidale in qualità di cessionaria. L’avviso di accertamento diveniva definitivo a seguito della mancata impugnazione ad opera della società cedente, e conseguentemente il Concessionario per la riscossione notificava la relativa cartella esattoriale solo alla società cessionaria. La cessionaria Beta impugnava così la cartella innanzi la Commissione Provinciale di Venezia (“CTP”) la quale accoglieva il ricorso per mancata escussione del debitore principale. L’Agenzia delle Entrate (“AdE”) proponeva appello davanti la Commissione Tributaria Regionale (“CTR”), che ne accoglieva il gravame. Tuttavia, la decisione della CTR veniva impugnata per revocazione poiché l’Ente impositore in forza della sentenza della CTP aveva annullato in autotutela il ruolo e la cartella esattoriale. L’Amministrazione finanziaria provvedeva pertanto a formare nuovo ruolo fondato sul precedente avviso di accertamento e notificava una nuova cartella di pagamento alla società cessionaria Beta, che la impugnava innanzi alla CTP rimanendo tuttavia soccombente. La CTR, invece, accoglieva l’appello della società contribuente e annullava l’avviso di accertamento. Avverso la decisione della CTR proponeva ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate. La società cessionaria resisteva con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale condizionato anche nei confronti di Equitalia Nord spa, che a sua volta resisteva con controricorso. La società cessionaria controricorrente avviava successivamente la procedura di definizione agevolata della controversia, cui l’Agenzia opponeva diniego ritenendo che la cartella esattoriale quale atto di mera riscossione non rientrasse nell’ambito di applicazione dell’art. 6 del D.L. n. 119/2018. In conseguenza di ciò, la società cessionaria ricorreva in cassazione contestando l’illegittimità del diniego opposto. In particolare, la società Beta sosteneva che la cartella esattoriale fosse l’unico atto emesso nei suoi confronti e pertanto era da considerarsi atto impositivo, affermava così la propria titolarità del diritto ad accedere alla definizione agevolata, essendo irrilevante che in quanto cessionaria d’azienda avesse precedentemente ricevuto la notificazione dell’avviso di accertamento emesso nei confronti della società cedente Alfa. La pronuncia La Suprema Corte, chiamata a pronunciarsi sulla questione circa la qualificazione giuridica della cartella esattoriale ai fini della definizione agevolata della lite, condivideva le motivazioni del ricorso della società contribuente. Ciò sul presupposto dell’equiparabilità tra il debito tributario sussidiario del cessionario d’azienda fondato su un avviso di accertamento emesso nei confronti del cedente e le cartelle di pagamento emesse ai sensi dell’art. 36-bis del Dpr 600/73, le quali posso avere natura di atti impositivi “sebbene non costituiscano atti di qualificazione giuridica, bensì la risultanza di un controllo meramente cartolare della dichiarazione dei redditi presentata dal contribuente”. È infatti orientamento consolidato che in caso di cartella di pagamento emessa ai sensi dell’art. 36-bis citato, l’atto non rappresenta solo una richiesta di pagamento riferibile a precedenti atti di accertamento, ma riveste natura di atto impositivo qualora – come nel caso di specie - costituisca il primo e unico atto mediante il quale la pretesa fiscale è esercitata nei confronti del contribuente, consentendone la sua impugnabilità anche per contestare il merito della pretesa. I giudici di legittimità affermavano quindi che la motivazione del provvedimento di diniego addotta dall’Agenzia delle Entrate al condono richiesto dal contribuente dovesse considerarsi contraria al diritto, rilevando peraltro come già la stessa Amministrazione finanziaria avesse in altra occasione chiarito che, ai fini della definizione agevolata, rileva “la natura sostanziale dell’atto impugnato, che prescinde dal nomen iuris utilizzato nella specie”. La Suprema Corte rilevava altresì che, in tema di cessione d’azienda, l’avviso di accertamento notificato al debitore principale non estende i suoi effetti nei confronti del debitore sussidiario, nemmeno in caso di avvenuta notificazione. Ciò in quanto il cessionario d’azienda non è legittimato ad impugnare l’atto impositivo emesso nei confronti del cedente, ma può soltanto intervenire ad adiuvandum nel procedimento di opposizione promosso dallo stesso cedente. In tal modo, non può opporsi al cessionario la definitività dell’avviso di accertamento non impugnato dal cedente, con la conseguenza che qualora la cartella esattoriale costituisca il primo atto impositivo per il cessionario, quest’ultimo potrà domandare la definizione agevolata della controversia inerente la cartella di pagamento. Sulla base di tali considerazioni gli Ermellini hanno dichiarato estinto il ricorso per intervenuta cessazione della materia del contendere, consentendo alla società cessionaria Beta di procedere alla definizione agevolata della lite ai sensi dell’art. 6 del D.L. n. 119/2018, come da istanza preventivamente ricevuta dall’Amministrazione finanziaria. G.G. [1] Art. 6 DL. 119/2018: “Le controversie attribuite alla giurisdizione tributaria in cui e' parte l'Agenzia delle entrate, aventi ad oggetto atti impositivi, pendenti in ogni stato e grado del giudizio, compreso quello in Cassazione e anche a seguito di rinvio, possono essere definite, a domanda del soggetto che ha proposto l'atto introduttivo del giudizio o di chi vi e' subentrato o ne ha la legittimazione, con il pagamento di un importo pari al valore della controversia. Il valore della controversia e' stabilito ai sensi del comma 2 dell'articolo 12 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546.”