Ancora dubbi sulla distribuzione di utili occulti in capo ai soci

8 Settembre 2022

Con la recente Ordinanza n. 25322 depositata il 25 Agosto 2022, la Suprema Corte torna ad occuparsi del tema relativo alla distribuzione in capo ai soci di maggiori utili accertati nei confronti di una società di capitali a ristretta base sociale. La decisione, tuttavia, suscita perplessità nella parte in cui ritiene legittima la presunzione di distribuzione in capo ai soci di utili che scaturiscono non da proventi extracontabili ma dal disconoscimento di costi correttamente contabilizzati.

Il caso

Il sig. A.M., socio al 50% della società K. S.r.l., ha impugnato l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle Entrate di Napoli ha rideterminato il maggior reddito della società ai fini IRES e, conseguentemente, ha imputato la relativa pretesa fiscale sotto forma di presunzione di distribuzione pro quota del maggior reddito societario in capo ai soci, in ragione della ristretta base sociale.

La CTP di Napoli ha respinto il ricorso con decisione impugnata in sede di appello. La CTR ha invece riformato la decisione di primo grado, ritenendo che nella specie non può trovare applicazione la presunzione di distribuzione di utili extracontabili dal momento che il maggior reddito della società è stato determinato mediante disconoscimento di parte dei costi dedotti.

Avverso la decisione di appello ha proposto ricorso per Cassazione l’Agenzia delle Entrate, affidato ad un unico motivo. In particolare, l’Ufficio ha ritenuto violate le disposizioni di cui agli artt. 39 del DPR n. 600/1973, 83 del DPR n. 917/1986 e dell’art. 2606 del c.c. ritenendo legittima nel caso di specie l’applicazione della presunzione di distribuzione del maggior reddito accertamento in capo alla società di capitali, stante la ristretta base sociale, in relazione al disconoscimento di una variazione in diminuzione.

La decisione

La Cassazione ha accolto il ricorso, cassando la sentenza impugnata con rinvio alla CTR per la Campania in diversa composizione.

Per la Suprema Corte il motivo di ricorso deve ritenersi fondato in quanto, secondo il ragionamento prospettato, in tutti i casi in cui si ottiene un maggior reddito in capo alla società si può presumere una distribuzione in capo ai soci.

Al riguardo il giudice di legittimità si limita a richiamare due precedenti pronunce:

  • “quando i costi siano fittizi o indeducibili, scatta la presunzione che il medesimo è maggiore di quanto dichiarato o indicato in bilancio, con la conseguenza che non può riscontrarsi alcuna differenza tra la percezione di maggiori ricavi e l’indeducibilità o inesistenza di costi”[1];
  • “tale principio trova applicazione nelle società a ristretta base partecipativa quando la società abbia indicato in bilancio dei costi inesistenti, quindi indeducibili perché non documentati. In tali ipotesi infatti i costi non sono stati in alcun modo sostenuti dalla società, sicché il reddito di impresa effettivo conseguito nel corso dell’esercizio è costituito da quanto dichiarato con l’aggiunta però dei costi inesistenti. Tale reddito maggiorato, quindi, si presume sia stato distribuito nel corso del medesimo esercizio ai soci. La situazione è analoga anche nel caso in cui il medesimo costo è indeducibile, per le più variegate ragioni (magari perché è stato violato il principio di competenza, o per mancata inerenza o per violazione di norme fiscali), ma è stato effettivamente sostenuto, con somme in concreto erogate dalla società.

Anche in tali casi la società matura un reddito di impresa di importo maggiore a quello dichiarato, con presunzione di distribuzione dello stesso ai soci in proporzione alla quota posseduta. In tali ipotesi infatti la società ha erogato tutte le somme presenti nel passivo del conto economico tra i costi, ma si tratta di costi indeducibili che vanno ad alterare il conto economico, che, una volta emendato da tale errore, comporta inevitabilmente maggiori ricavi e, quindi, un reddito maggiore rispetto a quello dichiarato. Anche in questo caso si genera un maggior reddito che si presume distribuito ai soci delle società a ristretta partecipazione[2].

In altri termini, secondo la Suprema Corte la presunzione di distribuzione in capo ai soci opererebbe in tutti i casi di maggior reddito conseguito dalla società. Ebbene tale ragionamento non appare però sufficiente a spiegare l’esistenza in tal caso di un utile occulto extracontabile, la cui sola esistenza può legittimare – ad avviso di chi scrive – una presunzione di distribuzione di utili.

Il caso “tradizionale” è quello di una società immobiliare che cede i suoi beni immobili con corrispettivi in parte dichiarati e in parte ricevuti “in nero”. Per questi ultimi si genera inequivocabilmente un maggior reddito della società e, conseguentemente, un maggior reddito dei soci in quanto effettivi beneficiari/destinatari dei proventi occulti. Trattasi – si badi bene – di proventi extracontabili, relativi cioè a poste reddituali che non sono confluite nella contabilità della società.

Diverso è il caso dei costi indeducibili. In tal caso, una società sostiene un costo documentato da fattura che viene effettivamente pagata. L’indeducibilità genera senza dubbio un maggior reddito della società, a seguito del disconoscimento dei costi. Tuttavia, in tal caso la decisione della Cassazione – come pure le altre pronunce richiamate – non chiarisce affatto il passaggio successivo rappresentato dalla sua effettiva distribuzione. Come può affermarsi infatti che tale maggior reddito sia pervenuto ai soci, se si tratta di un maggior utile “contabile”?

F.D.D.


[1] Cass. n. 17959/2012 e n. 17960/2012

[2] Cass. n. 2224/2021.

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