Con l’ordinanza n. 23223 del 25 luglio 2022, la Suprema Corte torna a pronunciarsi sul contraddittorio endoprocedimentale affermando che l’imminente scadenza del termine di decadenza dal potere accertativo non integra di per sè una ragione di urgenza valida ai fini dell’inosservanza del termine dilatorio di 60 giorni di cui all’art. 12, c.7, L. 212/2000. Spetta all’Agenzia delle Entrate dimostrare che l’emissione dell’atto impositivo in prossima del termine decadenziale sia dipesa da fattori estranei e ad essa non imputabili che hanno reso comunque necessaria l’attivazione dell’accertamento. Il caso Nel settembre del 2010, i funzionari della Guardia di Finanza (“GDF”) in seguito ad un accesso presso la sede della società beneficiaria di un’agevolazione fiscale sotto forma di credito d’imposta per i nuovi investimenti nelle aree svantaggiate[1], contestavano la spettanza dell’agevolazione. In data 22 dicembre 2010, ossia 12 giorni dopo la chiusura delle operazioni di verifica e il rilascio del PVC, l’Agenzia delle Entrate notificava alla società l’atto di recupero del credito d’imposta, irrogando le relative sanzioni. La società impugnava l’atto di recupero davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Teramo (“CTP”) che accoglieva nel merito il ricorso. La Commissione Tributaria Regionale (“CTR”), adita dall’Agenzia delle Entrate (“AdE”), riformava la sentenza di primo grado confermando la legittimità dell’atto impositivo, ma ritenendo non applicabili le sanzioni. In particolare, secondo la CTR l’avviso di recupero non poteva considerarsi nullo per il fatto di essere stato emesso prima dei 60 giorni dalla conclusione delle indagini, in quanto ricorrevano nella specie gravi motivi di urgenza consistenti nell’imminente decadenza dal recupero delle somme. La società contribuente impugnava la sentenza della CTR in cassazione, con ricorso affidato a plurimi motivi. In particolare, la ricorrente denunciava la violazione e falsa applicazione dell’art. 12, c. 7 dello Statuto del Contribuente per avere la CTR ritenuto che la decadenza dal potere impositivo costituisse ragione urgente a giustificare la mancata osservanza del termine dilatorio. Inoltre, la società rilevava che il rispetto del termine procedimentale dovesse applicarsi non soltanto agli avvisi di accertamento, come sostenuto dall’AdE in controricorso, ma a tutti gli atti di natura impositiva emessi dall’Amministrazione finanziaria. La pronuncia La Suprema Corte, chiamata a pronunciarsi sulla questione, ha accolto il ricorso della società contribuente. In via preliminare, i giudici di legittimità hanno affermato che l’emissione dell’atto di recupero prima del decorso del termine di 60 giorni determina un’ipotesi di nullità; ciò in quanto il contraddittorio endoprocedimentale si estende ad ogni provvedimento di natura impositiva, a nulla rilevando che l’art. 12, c. 7, dello Statuto del contribuente faccia espresso riferimento all’avviso di accertamento. Il rispetto del termine di 60 giorni è, infatti, posto a presidio del pieno svolgimento del contraddittorio e costituisce la massima espressione dei principi di collaborazione e buona amministrazione che devono trovare applicazione ogni qualvolta l’Ufficio comunichi al contribuente una pretesa tributaria, pena la nullità dell’atto impositivo. Ne consegue che nemmeno la natura vincolata dell’atto di revoca possa far venir meno la necessità del rispetto dei 60 giorni, in quanto l’esigenza di assicurare il contraddittorio ha carattere generale e prescinde dalla discrezionalità dell’atto impositivo. Secondo gli Ermellini, inoltre, ai fini del rispetto del termine dilatorio non può assumere rilevanza la circostanza che nel caso concreto il contradditorio si sia realmente realizzato, e ciò nemmeno se il contraddittorio ha avuto luogo anteriormente alla chiusura della procedura di accertamento; ciò in quanto “…il legislatore esige che al contribuente sia lasciato l’intero lasso di tempo previsto per interloquire…”. Ciò premesso, la Suprema Corte si è soffermata sulla tematica afferente alle valide ragioni urgenti che ai sensi dell’art. 12, c. 7, citato possono giustificare l’inosservanza del termine dilatorio. In proposito, i giudici di legittimità hanno confermato l’orientamento giurisprudenziale consolidato, secondo cui “… in tema di diritti del contribuente, la sola imminente scadenza del termine di decadenza dell’azione accertativa non integra una ragione di urgenza valida”. Piuttosto, grava sull’Amministrazione finanziaria l’onere di fornire fatti concreti e precisi idonei a dimostrare che l’emissione dell’avviso di accertamento (ovvero di revoca) in prossimità dello spirare dei termini decadenziali derivi da fattori ad essa non imputabili ma idonei a rendere comunque doverosa l’attivazione del potere accertativo, pena l’impossibilità di recuperare le imposte non versate. Le conclusioni assunte dalla Suprema Corte sono senz’altro condivisibili e si inseriscono in quel filone giurisprudenziale che attribuisce legittimità costituzionale al contraddittorio endoprocedimentale quale primario e fondamentale strumento per un migliore esercizio del diritto di difesa. G.G. [1] Art. 8, L. 23 dicembre 2000, n. 388 e art. 62, L. 27 dicembre 2002, n. 289