Abstract Con la sentenza n. 864 del 2022, la Cassazione penale è tornata a pronunciarsi sul tema dell’applicabilità della confisca obbligatoria ex art. 12-bis D.Lgs. 74/2000 a seguito della dichiarazione di fallimento della Società e di conseguenza sulla peculiare natura dell’attivo fallimentare derivante dallo spossessamento dei beni dal soggetto fallito. L’indirizzo giurisprudenziale cui la Corte ha aderito nella sentenza in esame è quello che consente l’applicazione della confisca anche a seguito della dichiarazione del fallimento della Società. Il caso La vicenda riguarda la mancata disposizione della confisca per equivalente dei beni nella disponibilità dell’imputato per un valore corrispondente al prezzo o al profitto del reato nell’ambito di una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti. Il Pubblico Ministero ricorreva in Cassazione, la quale annullava con rinvio la sentenza, limitatamene alla parte relativa alla confisca, e rimetteva la questione al Tribunale di Trapani. Il Tribunale di Trapani rigettava la richiesta di applicazione della confisca obbligatoria, in ragione del fatto che in data antecedente alla sentenza di applicazione della pena l’imputato era stato dichiarato fallito e di conseguenza, determinando la dichiarazione di fallimento lo spossessamento dei beni e attribuendone la gestione al curatore fallimentare, i beni non potevano essere oggetto di sequestro diretto. Avverso la decisione proponeva ricorso il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Palermo, deducendo la violazione di legge in ragione del fatto che il giudice aveva rigettato la richiesta di applicazione della confisca per il solo intervenuto fallimento omettendo di considerare altri aspetti essenziali come la consistenza dell’attivo fallimentare, l’esecuzione o meno della misura, l’eventuale preventivo soddisfacimento del credito erariale rispetto all’importo suscettibile di confisca e l’esistenza di pretese creditorie di soggetti in buona fede. La pronuncia La quarta sezione penale della Corte di Cassazione, con sentenza n. 864/2022 ha ritenuto fondato il motivo di impugnazione proposto e ha ordinato l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Trapani. In particolare, i giudici di legittimità hanno ritenuto di aderire all’orientamento giurisprudenziale che ammette la possibilità di sottoporre a confisca i beni affidati alla gestione del curatore fallimentare a seguito della dichiarazione di fallimento. La Corte ha richiamato due orientamenti contrapposti in materia. Il primo orientamento, seguito dalla Corte di Cassazione, Sezione III penale, sentenza n. 14766 del 26 febbraio 2020, seguito dal Tribunale di Trapani, statuisce l’impossibilità di applicare la confisca diretta a seguito della dichiarazione di fallimento, in quanto questa comporta lo spossessamento e l’affidamento dei beni societari al curatore, pur rimanendo sempre ammissibile il sequestro per equivalente. Il secondo orientamento invece, abbracciato dalla Corte di Cassazione nel caso di specie, si fonda su due pronunce delle Sezioni Unite. La sentenza 29951 del maggio 2004, che ammetteva la confisca facoltativa di beni derivanti da attività illecita di pertinenza della società dichiarata fallita, a condizione che il giudice motivasse le ragioni della prevalenza degli interessi statali sugli interessi dei creditori. La sentenza 45936 del giugno 2019 che, dichiarando la legittimazione del Curatore ad avanzare la richiesta di dissequestro dei beni, accoglieva implicitamente la possibilità di eseguire la confisca di beni dell’attivo fallimentare. In particolare, osservano le Sezioni Unite richiamate, la misura ablatoria, in ragione del suo carattere obbligatorio, deve sempre essere applicata, laddove ne ricorrano i presupposti, in ragione del fatto che mira a ristabilire l’equilibrio economico venuto meno con la realizzazione del reato. L’orientamento abbracciato dalla Cassazione con la sentenza n. 864 del 2022, oggetto di commento nel presente contributo, denota una maggiore tutela per gli interessi erariali piuttosto che per gli interessi creditori. Tuttavia, il giudice di merito, nel valutare l’applicabilità della confisca diretta deve effettuare necessariamente alcune valutazioni relative alla peculiare situazione dell’attivo fallimentare, quale sia la somma sufficiente per procedere alla confisca e se sussistano dei diritti di proprietà di terzi sugli stessi beni, compresa la sussistenza della buona fede e della legittimità degli stessi. In tal senso quindi, benché il giudice di legittimità fornisca una certa rassicurazione per gli interessi dei creditori in ragione dell’obbligo per il giudice di merito di valutare la situazione concreta, nella sostanza vi è il rischio che tali diritti possano venire parzialmente lesi. Le pretese creditorie di terzi, infatti, potrebbero essere frustrate nei casi in cui il patrimonio del fallito non abbia una capienza tale da soddisfare congiuntamente gli interessi punitivi penali e quelli afferenti al ceto creditorio. Considerate dunque le rilevanti conseguenze che la scelta tra l’uno e l’altro orientamento giurisprudenziale può determinare, ci si auspica un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite che sia in grado di orientare i giudici di merito secondo principi e criteri univocamente applicati. A.Z.