La rinuncia all’eredità prevale sulla definitività della pretesa tributaria relativa all’imposta di successione

26 Aprile 2022

Abstract

Con sentenza n. 11832 del 12 aprile 2022, la Suprema Corte è tornata a pronunciarsi sull’acquisto della legittimazione passiva ai fini del pagamento dei debiti tributari del defunto, affermando che non può considerarsi soggetto passivo d’imposta il chiamato all’eredità che ad essa abbia validamente rinunciato.

Il fatto

La pronuncia della Suprema Corte origina dalla notifica di una cartella esattoriale relativa ad imposta di successione notificata dall’Agenzia delle Entrate (“Ade”) al Contribuente, preceduta da un avviso di liquidazione non impugnato. Gli atti impositivi erano stati emessi sul presupposto che il Contribuente, in qualità di chiamato all’eredità, avesse prima effettuato la dichiarazione di successione e solo successivamente rinunciato all’eredità.

Il Contribuente impugnava la cartella esattoriale dinnanzi la Commissione Tributaria Provinciale (“CTP”) che rigettava il ricorso sul presupposto che l’avviso di accertamento fosse divenuto definitivo giacché non impugnato. La Commissione Tributaria Regionale (“CTR”), invece, accoglieva l’appello del Contribuente rilevando che la rinuncia all’eredità avesse valore retroattivo e che quindi l’appellante non potesse mai essere stato considerato erede, con conseguente inefficacia degli atti tributari allo stesso notificati.

L’Ade ricorreva in Cassazione deducendo la violazione e falsa applicazione dei principi generali in materia di successione da parte della CTR, rilevando inoltre che la mancata impugnazione dell’avviso di liquidazione che aveva preceduto la cartella esattoriale avesse reso definitiva la pretesa erariale nei confronti del chiamato con conseguente irrilevanza della successiva rinuncia.

La pronuncia

La Suprema Corte, investita della questione, ha rigettato il ricorso dell’Ufficio, statuendo che non possa essere considerato soggetto passivo dell’imposta di successione il chiamato all’eredità che ad essa abbia rinunciato.

Ciò in quanto, seppure ai sensi dell’art. 7, del Dlgs. 346/90[1], il presupposto impositivo ai fini dell’imposta di successione deve essere individuato nella chiamata all’eredità, tale individuazione resta condizionata al fatto che il chiamato abbia effettivamente accettato l’eredità medesima. Solo con l’accettazione dell’eredità si avrà quel trasferimento di ricchezza dal patrimonio del defunto a quello dell’erede tale da giustificare l’imposizione tributaria in capo a quest’ultimo ai sensi dell’art. 53 della Costituzione.

In ogni caso, non costituiscono atti idonei a far acquisire la qualità di erede né la mera delazione dell’eredità, né la presentazione della dichiarazione di successione che costituisce un mero onere fiscale.

La rinuncia ha effetto retroattivo con la conseguenza che il successibile deve essere considerato come se non fosse mai stato chiamato all’eredità. Anche una rinuncia tardiva è idonea ad escludere che l’erede rinunciatario possa essere chiamato a rispondere dei debiti tributari, salvo che egli non abbia tenuto comportamenti dai quali si possa desumere un’accettazione implicita dell’eredità.

Di conseguenza, non rileva il fatto che nel periodo di giacenza dell’eredità, il chiamato sia stato destinatario di un avviso di liquidazione da parte dell’Ade, né che non abbia impugnato l’avviso di liquidazione; ciò in quanto avendo egli rinunciato all’eredità, non può consolidarsi nei suoi confronti alcuna pretesa tributaria per mancanza di legittimazione passiva definitiva.

Sulla base di quanto sopra, la Corte di Cassazione formula il seguente principio di diritto: “…in tema di imposta di successione, il chiamato alla eredità, che, dopo aver presentato la denuncia di successione, ricevuto l’avviso di accertamento dell’imposta ometta di impugnarlo, determinandone la definitività, non è tenuto al pagamento dell’imposta ove successivamente rinunci all’eredità, in quanto l’efficacia retroattiva della rinuncia, legittimamente esercitata, determina il venir meno con effetto retroattivo anche del presupposto impositivo…”.

I Giudici, con la sentenza de qua, si pongono in continuità con la recentissima pronuncia[2] del marzo scorso con cui la Corte aveva ribadito che la qualità di erede, anche ai fini dell’imposta di successione, si acquista solo con l’accettazione dell’eredità a nulla rilevando che, nel caso di specie, le Contribuenti in quanto successibili sarebbero da considerarsi secondo l’Ufficio “presunte eredi” ai fini del pagamento dei debiti tributari.

G.G.


[1] Art. 7, co.4, dlgs. 346/90: “Fino a quando l'eredita' non e' stata accettata, o non e' stata accettata da tutti i chiamati, l'imposta e' determinata considerando come eredi i chiamati che non vi hanno rinunziato.”

[2] Cass. sent. n. 9186 del 22 marzo 2022

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