Abstract Profili motivazionali e obbligo di allegazione, è nullo l’avviso di accertamento basato su elementi probatori ottenuti nell’ambito di diversi e connessi procedimenti incardinati nei confronti di soggetti terzi, ove tali elementi non vengano portati a conoscenza del contribuente nella loro integralità. Valorizzata la sentenza della CGUE Glencore. A seguito di una verifica in materia di frodi carosello, l’Agenzia delle Entrate aveva emesso nei confronti di una società una serie di avvisi di accertamento ai fini Irap, Iva e Irpef per i periodi d’imposta dal 2014 al 2016, contestando l’utilizzo di fatture oggettivamente inesistenti emesse da società cartiere. Tali ultimi soggetti commerciali erano stati individuati e qualificati come cartiere da un prodromico processo verbale di constatazione, redatto dalla Guardia di Finanza sulla scorta di risultanze di indagini penali da cui era emersa in capo alle stesse la totale assenza di mezzi, strutture e personale idonei allo svolgimento delle prestazioni descritte in fattura. I predetti soggetti, inoltre, non avevano mai presentato alcuna dichiarazione fiscale. Il prodromico p.v.c., che pure era stato allegato agli avvisi notificati, non recava tuttavia traccia dei citati elementi probatori, aliunde acquisiti, che pertanto rimanevano sconosciuti alla contribuente. In sede di ricorso, in via preliminare, la società accertata ha lamentato la carenza dell’impianto motivazionale degli avvisi di accertamento e la violazione della normativa in materia di contraddittorio anticipato. La CTP Reggio Emilia ha accolto il ricorso proprio sulla scorta dell’esposta eccezione preliminare. Mettendo in evidenza il contenuto dell’art. 3 della L. 241/1990 e dell’art. 7 della L. 212/2000, la Commissione ha preliminarmente ribadito il fondamentale e irrinunciabile obbligo di allegazione al provvedimento impositivo dell’atto dal medesimo richiamato, essendo manifesta la voluntas legis di portare a conoscenza del contribuente ogni singolo atto posto a fondamento della motivazione. Come sottolineato dalla giurisprudenza di legittimità citata nella pronuncia in commento, infatti, la motivazione per relationem è possibile nella misura in cui l’atto richiamato non sia stato trascritto nella sua parte essenziale nel corpo dell’avviso di accertamento (Cass. 24417/2018). L’obbligo di allegazione assolve, pertanto, ad un’esigenza di conoscibilità, da parte del contribuente, di tutti gli atti posti a fondamento della motivazione, essendo “limitato ai documenti non conosciuti né ricevuti dal contribuente e costituenti il presupposto dell’atto impositivo” (Cass. 14723/2020), così evitando indebite compressioni del diritto di difesa. La parte più pregnante della sentenza in commento, tuttavia, è quella relativa alla pronuncia del 16 ottobre 2019 resa in esito alla causa C-189/18 (Glencore), con cui la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha stabilito che, ove l’Amministrazione finanziaria di uno Stato membro basi l’accertamento nei confronti di un contribuente su elementi probatori ottenuti nell’ambito di diversi e connessi procedimenti incardinati nei confronti di terzi (come, a titolo esemplificativo, le società emittenti le fatture oggetto di contestazione nel caso ivi esaminato), il medesimo dovrà essere messo in condizione di accedere (eccettuate particolari ipotesi di restrizione all’accesso, giustificate dal perseguimento di obiettivi di interesse generale) alla relativa documentazione nella sua integralità. Solo così, secondo i giudici europei, si potrà ritenere effettivamente garantito l’esercizio del diritto di difesa. In dettaglio, oggetto del caso deciso dalla CGUE era una vicenda che vedeva coinvolta l’Amministrazione ungherese che, basandosi su pregresse constatazioni effettuate presso soggetti terzi cui era vincolata sul piano probatorio, aveva contestato a una società (la Glencore Agricolture Hungary Kft) l’illegittima detrazione dell’IVA “in quanto sapeva o avrebbe dovuto sapere che le operazioni che essa ha effettuato con i suoi fornitori si iscrivevano in una frode relativa all’IVA”. Considerato che parte erariale aveva basato il proprio convincimento su elementi di prova acquisiti nel corso di procedimenti nei confronti di soggetti terzi (i fornitori della contribuente), la società aveva contestato la violazione dei diritti di parità delle armi e a un equo processo poiché l’ufficio non aveva messo a sua disposizione la documentazione relativa alle evidenze probatorie aliunde acquisite e poste a fondamento dell’accertamento. È opportuno richiamare i passaggi centrali della sentenza Glencore: “Tra i diritti garantiti dal diritto dell’Unione vi è il rispetto dei diritti della difesa il quale, secondo una giurisprudenza consolidata, costituisce un principio generale del diritto dell’Unione che trova applicazione ogniqualvolta l’amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto che gli arreca pregiudizio. In forza di tale principio i destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l’amministrazione intende fondare la sua decisione. […] Costituisce parte integrante del rispetto dei diritti della difesa il diritto di essere ascoltati, il quale garantisce a chiunque la possibilità di manifestare, utilmente ed efficacemente, il proprio punto di vista durante il procedimento amministrativo prima dell’adozione di qualsiasi decisione che possa incidere in modo negativo sui suoi interessi. Secondo costante giurisprudenza della Corte, la regola secondo cui il destinatario di una decisione ad esso lesiva deve essere messo in condizione di far valere le proprie osservazioni prima che la stessa sia adottata ha lo scopo di mettere l’autorità competente in grado di tener conto di tutti gli elementi del caso. Al fine di assicurare una tutela effettiva della persona coinvolta, la suddetta regola ha in particolare l’obiettivo di consentire a quest’ultima di correggere un errore o far valere elementi relativi alla sua situazione personale tali da far sì che la decisione sia adottata o non sia adottata, ovvero abbia un contenuto piuttosto che un altro (sentenza del 5 novembre 2014, Mukarubega, C‑166/13, EU:C:2014:2336, punti 46 e 47 e giurisprudenza ivi citata)” (§§ 39 e ss.). L’arresto in esame, inserendosi nel solco tracciato da precedente giurisprudenza, ha inteso perimetrare l’esercizio del potere di accertamento onde evitarne un uso potenzialmente strumentale e indiscriminato e tutelare il diritto alla difesa del contribuente, nonché quello a un ricorso effettivo sancito dall’articolo 47 CDFUE (c.d. Carta di Nizza): presìdi che si articolano anche nel diritto di accesso agli atti e nel diritto allo svolgimento di un contraddittorio effettivo. È questa la cornice entro cui si circoscrive la statuizione della CTP Reggio Emilia in commento, che invocando i principi espressi dalla sentenza Glencore ha evidenziato che “posto che il pvc della G. di F. a sua volta richiamato dagli atti impugnati [da cui, lo ricordiamo, era desumibile lo status quo delle indagini relative alle società qualificate come cartiere, con cui la contribuente si era trovata in rapporti] non riproduce né riporta in allegato i documenti a supporto degli elementi d’indagine richiamati nello stesso e negli stessi, ciò in palese violazione del disposto dello Statuto del Contribuente come interpretato dalla costante giurisprudenza della Suprema Corte”. Ce n’è abbastanza per dichiarare l’illegittimità degli avvisi impugnati. I principi in questione erano già stati invocati dalla medesima Commissione Provinciale nella sentenza n. 266 del 13 novembre 2019, a riprova del progressivo formarsi di un orientamento giurisprudenziale interno particolarmente incline alla tutela dei diritti inalienabili del contribuente. Analoga impostazione, pur senza alcun richiamo alla Glencore, è stata fatta propria anche dalla sentenza n. 2917/2019 della CTP Milano. In un caso in cui la pretesa avanzata da un ufficio dell’Agenzia delle Entrate fondava su una segnalazione redatta da altra Direzione Provinciale all’esito di una verifica a carico di un fornitore (quindi di un soggetto terzo), le cui conclusioni non erano mai pervenute a conoscenza del contribuente accertato, la Commissione milanese si è pronunciata come segue: “Per questo Collegio é evidente precisare che tale attività istruttoria era stata svolta nei confronti di un soggetto terzo rispetto alla […] e che di tale attività di verifica l'odierna ricorrente non era mai venuta a conoscenza prima della notifica dell'avviso di accertamento oggetto del presente ricorso. Allo stesso modo non erano mai stati notificati alla […] i verbali di accesso, di ispezione e verifica redatti nel corso della verifica fiscale dalla quale traeva origine l'accertamento. Ne consegue che l'avviso di accertamento è illegittimo in quanto emesso in palese violazione dell'art. 12, comma 7, della L. n. 212 del 2000 c.d. Statuto del Contribuente”. Sembra che i giudici milanesi, a maggior garanzia del contribuente, abbiano in un certo senso inteso andar oltre la problematica del “vincolo” agli elementi probatori aliunde acquisiti cui sono soggetti i verificatori, ancorando la motivazione all’art. 12, co. 7, della L. n. 212/2000. E del resto è la stessa sentenza Glencore (§ 49) a prevedere l’obbligo, per l’Amministrazione, di porre il contribuente nelle condizioni di accedere agli elementi probatori desunti da diversi procedimenti, onde riconoscere allo stesso la “possibilità di far conoscere utilmente ed efficacemente, nel corso del procedimento amministrativo e prima dell’adozione di una decisione sfavorevole ai suoi interessi, il suo punto di vista in merito agli elementi sui quali l’amministrazione intende fondarsi”: possibilità che, nel nostro ordinamento, è garantita proprio dal citato art. 12. F.N. Commissione Tributaria Provinciale Reggio Emilia, Sez. I, sent. 8 novembre 2021, n. 242.