Abstract Con ordinanza n. 1698, del 20 gennaio 2022, la Corte di Cassazione ha stabilito che, in tema di accesso ispettivo fiscale, la promiscuità dei locali può derivare unicamente dall’agevole comunicazione interna tra i luoghi adibiti ad abitazione e quelli commerciali. Il mero collegamento esterno tra gli immobili non collegati internamente non determina la necessità dell’autorizzazione del Procuratore della Repubblica, essendo sufficiente quella del Capo Ufficio. Il caso La controversia sottoposta alla Corte trae origine dalla notifica ad una s.r.l. (la “Società”) di un avviso di accertamento per imposte dirette e Iva, emesso in seguito ad un accesso effettuato dai militari della Guardia di Finanza presso l’azienda collegata con l’abitazione familiare della legale rappresentante. La Società impugnava l’atto impositivo denunciando l’illegittimità dell’accesso in quanto avvenuto in locali adibiti ad uso promiscuo, in assenza dell’autorizzazione del Procuratore della Repubblica prescritta dall’art. 52, commi 1 e 2, del dPR n. 633/1972. La Società risultava vittoriosa nel corso nei gradi di merito. In particolare, la Commissione tributaria regionale (“CTR”) della Campania condivideva le considerazioni formulate dai giudici di prime cure circa l’invalidità derivata dell’atto impositivo, a causa di ispezioni effettuate in locali ad uso promiscuo risultando omessa la prescritta autorizzazione. In particolare, la CTR osservava che: “…era pienamente corretta la sentenza appellata… posto che l’accesso presso la società contribuente aveva riguardato locali ad uso promiscuo/famigliare…senza che fosse stata rilasciata la – necessaria- autorizzazione del Procuratore della Repubblica territorialmente competente e senza che la verifica fosse stata autorizzata dal funzionario agenziale dotato del relativo potere…”. Avverso la decisione della CTR, l’Ufficio proponeva ricorso per Cassazione per violazione di legge, ritenendo come la sentenza di appello avesse erroneamente ritenuto ad uso promiscuo i locali in cui era stato eseguito l’accesso. Inoltre, veniva contestata la tesi della CTR secondo cui l’invalidità derivata dell’avviso di accertamento discendeva altresì da un difetto di autorizzazione interna, provenendo la stessa da un funzionario diverso dal direttore dell’ufficio locale dell’Agenzia delle Entrate. La pronuncia La Suprema Corte, investita della questione relativa alla definizione di locali ad uso promiscuo e alla necessità dell’autorizzazione del Procuratore della Repubblica ai fini dell’accesso, richiama il proprio consolidato orientamento. Sulla scorta di diversi precedenti, devono considerarsi ad uso promiscuo i locali adibiti anche ad abitazione dell’imprenditore nonché tutte quelle ipotesi in cui “l’agevole possibilità di comunicazione interna consenta il trasferimento di documenti propri dell’attività commerciale nei locali abitativi”. E’ esclusivamente in tali casi che è richiesta, ai fini dell’accesso,l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica prescritta dall’art. 52 del dPR n. 633/1972. Al contrario, è da escludersi qualunque ipotesi di promiscuità nei casi in cui gli immobili, come nel caso di specie, siano connessi non da un collegamento interno, bensì da un mero collegamento esterno. La supposta necessità dell’autorizzazione del Procuratore della Repubblica in tali casi confliggerebbe con la stessa ratio dell’art. 52, commi 1 e 2, norma posta a presidio dell’inviolabilità dell’ambiente privato quand’anche sia connesso a locali aziendali. Pertanto, in situazioni come quella descritta, i verificatori potranno effettuare l’accesso nell’azienda senza l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica, con la conseguenza della piena legittimità dell’avviso di accertamento emesso sulla base di tale attività ispettiva. Infine, i giudici di legittimità analizzano la questione connessa all’autorizzazione all’esecuzione della verifica, che nella specie era stata rilasciata da un funzionario ordinario in luogo del direttore dell’Ufficio locale dell’ADE. Al riguardo, la Cassazione si riporta ai principi consolidati espressi in tema di delega per la sottoscrizione dell’avviso di accertamento ad un funzionario diverso da quello istituzionalmente competente. In particolare, la Corte rammenta che “la delega alla sottoscrizione dell’avviso di accertamento ad un funzionario diverso da quello istituzionalmente competente ex art. 42 del d.P.R. n. 600/1973 ha natura di delega di firma – e non di funzioni- poiché realizza un mero decentramento burocratico senza rilevanza esterna, restando l’atto firmato dal delegato imputabile all’organo delegante”. In altri termini, la delega alla sottoscrizione è un fenomeno rilevante soltanto nell’ambito di organizzazione interna dell’Ufficio e non assume rilievo ai fini della validità dell’atto impositivo. Tale principio è quindi applicabile anche alla sottoscrizione dell’autorizzazione di cui all’art. 52 del dPR n. 633/1972. All’esito delle considerazioni sopra illustrate, la Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’Ufficio e cassato la sentenza con rinvio alla CTR affinché proceda ad un nuovo esame volto ad accertare i presupposti della promiscuità dei locali in cui è avvenuto l’accesso, non essendo sufficiente il solo collegamento esterno. Appare evidente come la Suprema Corte, con l’ordinanza in commento, abbia fornito una lettura stringente della definizione di “uso promiscuo”, limitando quindi la necessità dell’autorizzazione del Procuratore della Repubblica solo a quelle ipotesi in cui i locali aziendali siano adibiti anche ad abitazione familiare ovvero a quelle ipotesi in cui tra l’immobile aziendale e quello abitativo sussista una connessione cosi rigorosa da consentire un effettivo trasferimento di documenti relativi all’attività commerciale. G.G.