L’IVA non addebitata in fattura, seppure a causa di un errore, non consente l’esercizio del diritto di detrazione

7 Febbraio 2022

Abstract

La Corte di Giustizia UE si è recentemente pronunciata sull’art. 168 della Direttiva 2006/112/CE stabilendo il divieto di detrazione dell’IVA non addebitata in fattura a causa di un errore. In tal caso, l’IVA non può ritenersi dovuta o assolta, e quindi detraibile, posto che le condizioni contrattuali hanno previsto che il corrispettivo dovuto dal cessionario / committente deve intendersi al netto dell’IVA. Ciò in quanto l’IVA è un’imposta che deve gravare soltanto sul consumatore finale. Lo ha stabilito con la sentenza 13 gennaio 2022, causa C-156/20, dirimendo una causa sorta nel Regno Unito.

Il caso

La società Z. ha sede nel Regno Unito ed esercita l’attività di fornitura di vitamine minerali per corrispondenza. Nel periodo intercorso tra il 2016 e il 2010 la Royal Mail, operatore di servizio pubblico postale del Regno Unito, ha fornito prestazioni di servizi nei confronti di Z. in forza di contratti negoziati individualmente da quest’ultima. Negli stessi contratti è stata prevista la qualificazione delle relative operazioni come esente da IVA. Ciò anche sulla base delle linee guida pubblicate dall’amministrazione finanziaria e doganale britannica, dirette a recepire l’art. 132 della Direttiva 2006/112/CE. Ne è scaturita l’emissione da parte di Royal Mail di fatture che non riportavano l’addebito dell’IVA.

Nel 2009 la Corte di Giustizia UE ha emesso la sentenza 23 aprile 2009 con cui ha precisato l’imponibilità ai fini IVA delle prestazioni di servizi pubblici postali con condizioni negoziate individualmente.

La società Z. ha quindi trasmesso all’amministrazione finanziaria due domande di detrazione IVA, relativamente alle operazioni concluse con la Royal Mail. Tali istanze sono state respinte dall’amministrazione finanziaria e conseguentemente è sorto un contenzioso. Nel corso del relativo procedimento il giudice adito ha deciso di sospendere il procedimento con rinvio alla Corte di Giustizia UE ai fini della corretta applicazione della Direttiva IVA.

Lo stesso giudice del rinvio ha rilevato che la Royal Mail non ha mai tentato di recuperare l’IVA nei confronti di Z. e che neppure l’amministrazione finanziaria del Regno Unito non ha emesso avvisi di accertamento in rettifica nei confronti del prestatore.

È seguita la richiesta alla Corte di Giustizia UE di stabilire se, in caso di operazione erroneamente qualificata come esente in fattura l’IVA, possa essere riconosciuto il diritto di detrazione relativamente all’IVA scorporata dal corrispettivo versato. A tal riguardo, è stata sollevata anche la questione circa l’affidamento degli operatori commerciali rispetto alle istruzioni fornite dall’amministrazione finanziaria del Regno Unito. Inoltre, si è precisato come la società Z. fosse a conoscenza della natura imponibile dell’operazione e ciò nonostante non si fosse mai adoperata per versare l’IVA.

La pronuncia

La Corte di Giustizia UE con la sentenza in commento ha rilevato come l’art. 168 della Direttiva[1], debba essere interpretato nel senso che l’IVA di cui si chiede la detrazione deve essere dovuta o assolta.

Al riguardo – spiega la Corte UE – è pur vero che con precedenti decisioni[2] si è stabilito che se le parti hanno stabilito il prezzo del bene senza menzionare l’IVA e il fornitore è tenuto al versamento dell’imposta, il prezzo deve intendersi comprensivo dell’IVA. Tuttavia, nel caso in cui il fornitore non possa recuperare presso l’acquirente l’IVA successivamente riscossa dall’Amministrazione finanziaria, l’IVA a sua volta graverebbe sul solo fornitore con conseguente contrasto con il principio secondo cui la stessa è un’imposta sui consumi e che pertanto deve essere sopportata dal solo consumatore.

Nel caso di Z., sia Royal Mail sia l’amministrazione finanziaria hanno rinunciato al recupero dell’IVA per cui è giocoforza constatare che il prezzo in fattura è un prezzo al netto dell’IVA. Di conseguenza, poiché l’IVA è un’imposta che deve gravare soltanto sul consumatore finale, la società Z. non può detrarre un’imposta che non è stata fatturata e che quindi non ha potuto trasferire sul consumatore finale.

La Corte quindi conclude rilevando come nel caso di specie il prezzo non può ritenersi comprensivo di IVA, dovendosi pertanto escludere l’esercizio del diritto di detrazione.

La decisione in commento risulta di particolare interesse, avendo la Corte chiarito quando un corrispettivo pattuito possa intendersi comprensivo di IVA con conseguente riconoscimento del diritto di detrazione per il cessionario/committente. Tale ultimo diritto, in ogni caso, spetta soltanto con riferimento all’IVA dovuta o assolta. Degno di nota è anche il riferimento al principio di neutralità dell’IVA, quale imposta che può (e deve) gravare esclusivamente sul consumatore finale.

F.D.D.D.


[1] L’art. 168 della Direttiva IVA prevede: “Nella misura in cui i beni e i servizi sono impiegati ai fini di sue operazioni soggette ad imposta, il soggetto passivo ha il diritto, nello Stato membro in cui effettua tali operazioni, di detrarre dall'importo dell'imposta di cui è debitore gli importi seguenti: a) l'IVA dovuta o assolta in tale Stato membro per i beni che gli sono o gli saranno ceduti e per i servizi che gli sono o gli saranno resi da un altro soggetto passivo (…)”.

[2] Corte di Giustizia UE Sentenza 7 novembre 2013 Tulica e Plavosin (C-249/12 e C-250/12).

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