Abstract Con l’ordinanza resa in data 19 gennaio 2022, n. 1522, la Corte di Cassazione ha riaffermato il principio per cui le dichiarazioni rese da terzi e prodotte dal contribuente in sede contenziosa assumono valenza probatoria pari a quella riconosciuta alle informazioni assunte presso terzi dai verificatori, inserite nel processo verbale di constatazione e recepite nell’avviso di accertamento. Il caso Con due avvisi di accertamento relativi alle annualità 2005 e 2006, l’Agenzia delle Entrate contestava l’esistenza di una società di fatto tra una ditta individuale e tre contribuenti persone fisiche. Conseguentemente, recuperava presso questi ultimi il reddito di partecipazione non dichiarato. La tesi dell’Ufficio si basava in via esclusiva su alcune dichiarazioni rese da soggetti terzi ai verificatori, non oggetto di riscontro, trasposte nel processo verbale di constatazione (“P.V.C.”) e in seguito negli avvisi di accertamento. I contribuenti impugnavano gli atti impositivi predetti, fondando le proprie difese su dichiarazioni testimoniali di senso opposto rese al relativo difensore nel processo penale instaurato sugli stessi fatti. Inoltre, producevano in giudizio una serie di contratti stipulati tra la ditta individuale ed i ricorrenti medesimi dai quali avrebbe dovuto dedursi l’alterità di questi ultimi rispetto al titolare della ditta. Nei due gradi di merito le difese dei contribuenti venivano rigettate. In particolare, la Commissione tributaria regionale della Puglia (“CTR”) affermava che gli appellanti non avrebbero adeguatamente contestato la ricostruzione contenuta negli atti impositivi sulla sussistenza di un “disegno fraudolento” messo in atto dagli stessi. Inoltre, disconoscevano qualsivoglia rilevanza della stipula di contratti tra il titolare della ditta individuale ed i contribuenti, ritenendo che tali atti negoziali sarebbero stati precostituiti al solo fine di giustificare un’attività simulata. Contro tale pronuncia, i contribuenti ricorrevano per Cassazione. La pronuncia Investiti della questione, i giudici della Cassazione hanno analizzato la censura, promossa dai ricorrenti contro la sentenza emessa in grado d’appello, relativa alla violazione dell’art. 7 D.Lgs. 546/1992, art. 111 Cost. e art. 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (“CEDU”). In particolare, i contribuenti lamentavano che i giudici di secondo grado avessero accolto acriticamente le prospettazioni dell’Ufficio, attribuendo valenza di prova presuntiva alle dichiarazioni di terzi inserite nel P.V.C., senza che l’amministrazione avesse supportato tali elementi indiziari con altri riscontri. La medesima efficacia probatoria, nondimeno, era stata negata alle dichiarazioni di terzi raccolte dal difensore dei ricorrenti, da cui emergevano evidenze opposte alla tesi dell’Ufficio. I giudici, richiamando alcuni autorevoli precedenti (Cass. civ. n. 9316/2020 e n. 12403/2021), ribadiscono il principio per cui le dichiarazioni rese da terzi, inserite nel P.V.C. e recepite nell’atto impositivo, “ben possono essere utilizzate quali elementi indiziari e non violano il divieto di prova per testi, di cui al D.Lgs. 546/1992 art. 7, c. 4, non potendosi negare il loro valore indiziario e ben potendo esse costituire fonti di prova presuntiva, sì da concorrere legittimamente alla formazione del convincimento del giudice”. A parere della Cassazione, tali evidenze possono fondare l’accertamento senza necessità per l’Ufficio di svolgere ulteriori indagini, pur se raccolte in difetto di contraddittorio con il contribuente. Del resto, se tale è il valore probatorio riconosciuto alle dichiarazioni raccolte dai verificatori, la medesima efficacia deve essere riconosciuta alle dichiarazioni di terzi di senso opposto acquisite dai contribuenti in sede extraprocessuale “in ragione dei principi di giusto processo ex art. 111 Cost.”. La Suprema Corte quindi conclude per la cassazione della sentenza impugnata, giacchè la CTR ha “escluso, già in astratto, la valenza di prova presuntiva delle dichiarazioni rese da terzi e prodotte dalle parti al fine di contrastare la valenza di prova presuntiva degli elementi indiziari prospettati dall’Amministrazione finanziaria a fondamento della pretesa fatta valere nei confronti dei ricorrenti, sicché, sotto tale profilo, la stessa è incorsa nel vizio di violazione di legge”. Le conclusioni a cui perviene la Cassazione nell’ordinanza in commento risultano pienamente condivisibili. Esse si inseriscono in un filone giurisprudenziale che, oltre ai precedenti richiamati dai giudici, annovera anche le recenti pronunce Cass. civ., sez. V, n. 24531/2019 e 31588/2021. Da questi arresti emerge, nel complesso, l’idoneità delle dichiarazioni rese da terzi a favore del contribuente ad assumere valenza indiziaria e, se corroborate dai canoni di gravità, precisione e concordanza, ad acquisire valore di prova presuntiva. Nondimeno, l’ordinanza in commento risulta particolarmente interessante per aver dato concreta attestazione dell’idoneità, assunta dalle dichiarazioni di terzi rese a favore del contribuente, a contestare la legittimità dell’accertamento parimenti fondato su dichiarazioni raccolte dall’Ufficio. A.P.