Verifica presso i locali del contribuente e decorso del termine dilatorio: si guarda all’ultimo accesso, non al precedente PVC

27 Dicembre 2021

Abstract

Il termine dilatorio di 60 giorni previsto dall’art. 12, c. 7, della L. 212/2000 decorre dall’ultimo accesso compiuto dai verificatori presso i locali ove il contribuente svolge la propria attività, concluso con la consegna di un documento innominato, e non dalla consegna del PVC, sebbene intervenuta in un momento precedente. Questo è il principio affermato dalla Cassazione con ord. 26 novembre 2021, n. 36846.

Il caso

La compiuta descrizione del caso concreto permette di meglio comprendere in tutta la sua portata quanto statuito dalla Corte di cassazione con l’ordinanza n. 36846/2021.

La Guardia di Finanza ha eseguito una verifica fiscale nei confronti di un geometra conclusasi con la consegna di un PVC il 15 giugno 2007. In particolare, i verificatori hanno rilevato l’assenza di documentazione a supporto dei costi dedotti e/o detratti sia nell’ambito dell’attività di impresa e professionale svolta dal contribuente. Quest’ultimo ha poi presentato le proprie osservazioni al PVC alla competente articolazione dell’Agenzia delle Entrate, allegando ulteriore documentazione.

Successivamente, in data 6 febbraio 2008, l’Agenzia delle Entrate ha provveduto a compire un accesso mirato al fine di raccogliere documentazione e acquisire informazioni sui beni strumentali posseduti dal contribuente. Alla conclusione dell’accesso è stato consegnato al contribuente un documento non qualificato come PVC, cui ha fatto seguito, in data 18 marzo 2008, la notifica di un avviso di accertamento ai fini IVA, IRPEF e IRAP.

Dalla lettura della sentenza pare di comprendere che solo dopo il secondo accesso l’Amministrazione finanziaria abbia potuto acquisire elementi utili per procedere all’accertamento di una maggiore IRAP.

Il contribuente ha impugnato l’atto impositivo, facendo valere, in via preliminare, il mancato rispetto del termine dilatorio di 60 giorni per la sua emissione, in assenza di qualsivoglia indicazione delle ragioni di urgenza per così procedere. In particolare il termine dilatorio non deve essere calcolato a partire dalla consegna del PVC, ma dalla consegna del documento redatto alla conclusione del secondo accesso.

All’esito del giudizio di appello, il contribuente, soccombente sul punto, ha proposto ricorso per cassazione.

La pronuncia

Il ragionamento dei giudici di legittimità prende le mosse dalla fondamentale osservazione che nel caso di specie il PVC non ha “definito l’attività di accertamento, … ma ha semplicemente segnato un passaggio della procedura”.

Infatti, dopo la consegna del PVC il procedimento accertativo è proseguito con un ulteriore accesso presso i locali del contribuente per acquisire ulteriori dati e documenti, momento decisivo, perché ha consentito all’Ufficio procedente di acquisire i dati sui beni strumentali, dati necessari e funzionali alla contestazione dell’omesso versamento dell’IRAP, di cui prima i verificatori non disponevano.

Infatti, prima del secondo acceso al contribuente non era stata contestato alcunché ai fini IRAP, cosicché la relativa ripresa è arrivata, per così dire, “a sorpresa”, senza che potesse formulare osservazioni a riguardo.

Qui sta il punto.

Invero, l’art. 12, c. 7, L. 212/2000 è posto a presidio dello svolgimento di un pieno ed effettivo contraddittorio anticipato tra il contribuente e l’Agenzia delle Entrate.

Tale momento di confronto non solo a tutela e garanzia del contribuente, che può così fornire elementi ed argomenti utili a una rimodulazione della pretesa a suo favore (se non anche all’abbandono della pretesa); ma è altresì posto a tutela dell’efficienza e del buon andamento dell’Amministrazione finanziaria, la quale così messa in condizione di risparmiare tempo e risorse evitando la notifica di atti difficilmente difendibili in sede giurisdizionale.

È evidente, allora, che la descritta finalità verrebbe del tutto frustrata non solo nel caso di una notifica ante tempus dell’avviso di accertamento o nel caso in cui le osservazioni del contribuente non venissero in alcun modo considerate dall’ufficio (mancato rispetto dell’obbligo di motivazione rafforzata), ma anche nel caso in cui, come quello di specie, l’atto impositivo si basasse su elementi diversi da quelli contenuti nel PVC e sui quali il contribuente non ha potuto /non ha avuto il tempo di elaborare e presentare le proprie osservazioni.

Ecco perché, come giustamente affermato nell’ordinanza qui rassegnata, il termine dilatorio di sessanta giorni non può che decorrere dall’ultimo accesso“in quanto postula il completamento della verifica e la completezza degli elementi dalla stessa risultanti, essendo posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio”.

Inoltre, in continuità con le sue pronunce più recenti (cfr. Cass. 1497/2020 e Cass. 14315/2021), la Suprema Corte ribadisce che il termine di sessanta giorni previsto dall’art. 12, c. 7, l. 212/2000 decorre dalla consegna di tutte le tipologie di verbali che concludono le operazioni di accesso, verifica o ispezione, indipendentemente dalla loro denominazione o dal loro contenuto.

Dunque anche la consegna di un documento “atipico e innominato” e individuato mediante la sola indicazione del suo numero di protocollo, come quello consegnato nel caso di specie all’esito del secondo accesso, è di fatto equipollente ad un PVC sul piano delle garanzie del contribuente.

La soluzione adottata dalla Corte di cassazione non può che essere salutata con favore perché valorizzando la ratio dell’art. 12, c. 7, L. 212/2000, ne propone un’interpretazione libera da formalismi e finalizzata a garantire e valorizzare il diritto di difesa del contribuente e, nella specie, il suo diritto al contraddittorio anticipato.

Un unico caveat. A parere di chi scrive l’equiparazione al PVC di verbali atipici e innominati dovrebbe essere confinata al piano delle garanzie, non debordando fino a giustificare l’adozione sulla loro base di provvedimenti che attingono negativamente la sfera giuridica del contribuente, quali le misure cautelari previste dall’artt. 22 (ipoteca e sequestro conservativo) del DLgs 472/1997. Opinando diversamente, si arriverebbe ad un risultato interpretativo contrastante con il principio di legalità (art. 23 Cost.), che opera anche in relazione alle norme cd. strumentali, cioè attuative della pretesa fiscale.

A.G.

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