Giudicato penale esterno: efficace in caso di autonoma valutazione da parte del Giudice tributario

25 Novembre 2021

Abstract

Il Giudice tributario può fondare la propria decisione sulle risultanze del procedimento penale nel caso in cui abbia compiuto una autonoma e puntuale valutazione degli elementi rinvenienti dal giudizio penale. Inoltre, l’allegazione, quale prova documentale, della pronuncia penale passata in giudicato, non è soggetta a termini di decadenza potendo anzi essere operata anche d’ufficio dal Giudice. Questi i principi rinvenienti dalla Cassazione, Sez. V, Ord. 22 settembre 2021, n. 25632.

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Il caso

Successivamente al Processo Verbale di Costatazione redatto dalla Guardia di Finanza il giorno 9 dicembre 1987, l’Agenzia delle Entrate ha emesso cinque avvisi di accertamento, relativi agli anni dal 1983 al 1987, l’Agenzia delle entrate ha rettificato in aumento, ai fini ILOR, il reddito dichiarato dalla Società Alfa (“Società” o “Contribuente”), esercente l’attività di "casa per ferie”.

Avverso i predetti avvisi di accertamento la Contribuente ha promosso ricorso innanzi alla Commissione Tributaria di primo grado di Bolzano contestando la motivazione dell'atto impositivo in quanto redatta per relationem rispetto al PVC stilato dalla GdF. Il Giudice di prime cure, riuniti i ricorsi, ha rigettato l’impugnazione della Società.

La pronuncia di primo grado è stata oggetto di impugnazione da parte della Contribuente che, tra l’altro, ha lamentato l'omessa valutazione di una CTU raccolta in diversi ma collegati procedimenti ed ha prodotto in giudizio la sentenza penale definitiva di assoluzione, con formula piena, dal delitto di cui al D.L. n. 492/1982, art. 4, n. 7), asseritamente relativa ai medesimi fatti dibattuti in sede tributaria.

All’esito del giudizio di appello la CTR, ritenendo che il giudicato penale irrevocabile dovesse essere "esteso" anche al giudizio tributario, ha accolto il ricorso della Società e, per l’effetto, annullato gli atti impositivi impugnati.

Avverso la statuizione del Giudice di seconde cure, l’Agenzia delle entrate ha promosso ricorso innanzi alla Commissione Tributaria Centrale ottenendo però una pronuncia confermativa del decisum della CTR.

La pronuncia

L’Agenzia delle entrate ha adito la Corte di cassazione censurando la sentenza della CTC tramite tre distinti motivi di impugnazione che, in sintesi, attengono al rilievo da assegnare nel processo tributario al giudicato penale sopravvenuto in corso di causa. La Società non si è costituita nel giudizio di legittimità.

Preliminarmente, con precipuo riferimento alla tempestività della produzione documentale della sentenza penale passata in giudicato, intervenuta quasi al termine del giudizio di secondo grado, la Corte, richiamando un proprio precedente arresto, ha affermato che "l'eccezione di giudicato esterno non è soggetta a preclusioni per quanto riguarda la sua allegazione in sede di merito in quanto prescinde da qualsiasi volontà dispositiva della parte e in considerazione del suo rilievo pubblicistico, è rilevabile d'ufficio[1]. Tale asserzione si giustificherebbe, secondo l’iter logico-argomentativo fatto proprio dai Giudici di legittimità, sulla base del fatto che “il giudicato esterno, al pari di quello interno, risponde alla finalità d'interesse pubblico di eliminare l'incertezza delle situazioni giuridiche e di rendere stabili le decisioni, sicché il suo accertamento non costituisce patrimonio esclusivo delle parti e non è subordinato ai limiti fissati dall'art. 345 c.p.c. per le prove nuove in appello, di tal che il giudice, al quale ne risulti l'esistenza, non è vincolato dalla posizione assunta dalle parti in giudizio, dovendo procedere al suo rilievo e valutazione anche d'ufficio, in ogni stato e grado del processo[2]. Conseguentemente la tempestività della produzione della pronuncia penale da parte della Contribuente non appare affatto censurabile ancorché intercorsa durante il giudizio di appello.

In secondo luogo la Cassazione si esprime in ordine all’efficacia del giudicato penale nel procedimento tributario, confermando il principio secondo cui l’accertamento di fatto eseguito in sede penale vincola il giudice civile.

Al riguardo, la Suprema Corte ha rilevato che il Giudice di merito non si è limitato a recepire il dictum della pronuncia assolutoria penale ma, al contrario, ha autonomamente valutato le risultanza del giudizio penale tanto che, “non ci troviamo […] in presenza di una "automatica" ed acritica estensione del giudicato penale, bensì della esplicita valutazione, operata dalla Commissione Tributaria di secondo grado e confermata dalla Commissione Tributaria Centrale, che i fatti in ordine ai quali si è pronunciato il giudice penale, con sentenza irrevocabile, sono i medesimi su cui si controverte in sede tributaria”. Conseguentemente, secondo la Cassazione, l’Amministrazione avrebbe dovuto confrontarsi con le valutazioni e le argomentazioni del Giudice di merito contestandole espressamente ed eventualmente adducendo prove contrarie.

In assenza di un tale confronto il ricorso di legittimità risulta infondato e, pertanto, viene recisamente respinto.

La sentenza in esame affronta il tema della rilevanza del giudicato penale nel processo tributario, collocandosi nel solco tracciato dalla giurisprudenza di legittimità ormai consolidata secondo cui, pur negandosi automatica efficacia nel processo tributario alla decisione penale, il giudice tributario ha comunque un obbligo di apprezzamento della sentenza penale e se intende discostarsene deve motivare la propria decisione.

Come noto, ai sensi dell’art. 654 c.p.p. “la sentenza penale irrevocabile di condanna o di assoluzione ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo, quando in questo si controverte intorno a un diritto o a un interesse legittimo il cui riconoscimento dipende dall’accertamento degli stessi fatti materiali che furono oggetto del giudizio penale, purché i fatti accertati siano stati ritenuti rilevanti ai fini della decisione penale e purché la legge civile non ponga limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa”. La circostanza che il giudizio tributario preveda limitazioni alla prova (e.g. prova testimoniale), impone di negare l’efficacia automatica del giudicato penale nel procedimento tributario. Il quadro normativo di riferimento è completato dall’art. 20 del D Lgs 74/2000, secondo cui il procedimento amministrativo e il processo tributario non possono essere sospesi per un procedimento penale avente ad oggetto i medesimi fatti (o fatti dal cui accertamento dipende la relativa definizione).

In questo senso, secondo l’ormai consolidato orientamento di legittimità, “nessuna automatica autorità di cosa giudicata può (più) attribuirsi nel separato giudizio tributario alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati tributari, ancorché i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l'Amministrazione finanziaria ha promosso l'accertamento nei confronti del contribuente e, pertanto, il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l'esistenza di una sentenza definitiva in detta materia, estendendone automaticamente gli effetti con riguardo all'azione accertatrice del singolo ufficio[3].

Sempre secondo il predetto orientamento “il giudice tributario non può limitarsi a rilevare l'esistenza di una sentenza penale definitiva in materia di reati fiscali, recependone acriticamente le conclusioni assolutorie ma, nell'esercizio dei propri poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 c.p.c.), deve procedere ad un suo apprezzamento del contenuto della decisione, ponendolo a confronto con gli altri elementi di prova acquisiti nel giudizio[4]. Se ne evince che, allorquando il Giudice tributario compia una autonoma valutazione delle risultanze processuali del giudizio penale, le stesse possono ben essere utilizzate nell’ambito del procedimento tributario e, conseguentemente, il Giudice può fondare su di esse le proprie determinazioni.

G.P.


[1] Cass. Sez. VI-III, 7-1-2021, n. 48.

[2] Cass. sez. II, 25.10.2018, n. 27161.

[3] Ex pluribus Cass. civ. Sez. V, 27-11-2019, n. 30941.

[4] Vedi nota precedente.

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