Abstract Con l’Ordinanza depositata il 22 luglio 2021 n. 21006 la Suprema Corte ha ribadito il principio secondo cui il chiamato all’eredità, che abbia ad essa validamente rinunciato, non risponde dei debiti tributari del de cuius, neppure per il periodo intercorrente tra l’apertura della successione e la rinuncia, neanche se risulti tra i successibili ex lege o abbia presentato la dichiarazione di successione (che non costituisce accettazione). Ciò in quanto, avendo la rinuncia effetto retroattivo ex art. 521 c.c., egli è considerato come mai chiamato alla successione e non deve più essere annoverato tra i successibili. *** Il caso Con avviso di accertamento la Direzione Provinciale di Brindisi ha accertato nei confronti del coniuge e ai figli del defunto sig. C.S., quali pretesi eredi del de cuius, IRES, IRAP e IVA in relazione ad una fattura emessa per l’imponibile di euro 250.000,00 per l’anno di imposta 2005. Gli stessi hanno impugnato l’avviso di accertamento innanzi alla competente CTP di Brindisi che ha rigettato il ricorso. La sentenza di primo grado è stata interamente riformata dalla CTR di Lecce, che prendeva atto dell’intervenuta rinuncia all’eredità degli stessi appellanti, non preclusa dalla presentazione dell’imposta di successione, con la conseguenza che gli stessi non potevano più considerarsi eredi. È seguito il ricorso per Cassazione proposto dall’Agenzia delle Entrate, affidato ad un unico motivo per violazione di legge. Secondo la prospettazione della ricorrente la sentenza della CTR è errata posto che, benché gli appellanti avessero dichiarato di rinunciare all’eredità, ai sensi dell’art. 525 c.c. risultava possibile revocare la rinuncia entro il termine per accettare l’eredità. Vale a dire entro dieci anni dall’apertura della successione, purché non intervenga l’accettazione di altri chiamati. L’Agenzia delle Entrate ha quindi ritenuto come la rinuncia non possa opporsi all’Ufficio, non avendo la stessa una natura definitiva per cui la sola delazione dell’eredità sarebbe sufficiente ai fini della soggettività passiva del chiamato. La pronuncia La Suprema Corte con la sentenza in commento ha respinto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate con condanna al pagamento delle spese di giudizio. La posizione della Corte di Cassazione si incentra sull’infondatezza della tesi formulata dall’Ufficio, secondo cui la rinunzia all’eredità, per essere opponibile all’Agenzia delle Entrate, dovrebbe consolidarsi dopo dieci anni dall’apertura della successione ex art. 480 c.c., stante la possibilità – prevista dall’art. 525 c.c. - di revoca entro detto termine prescrizionale. Secondo la Suprema Corte, anche se i fatti depongono in senso contrario all’assunto dell’Ufficio – posto che entro i dieci anni dalla morte i destinatari dell’avviso di accertamento, di fatto, non hanno revocato la rinunzia – la tesi della ricorrente deve ritenersi errata ai sensi dell’art. 521 c.c. Ai sensi della normativa appena richiamata “Chi rinunzia all’eredità è considerato come se non vi fosse mai stato chiamato”, con conseguente applicazione degli artt. 522 e 523 in tema di devoluzione della successione. La norma richiamata, all’ultimo comma, prevede che “se il rinunziante è solo, l’eredità si devolve a coloro ai quali spetterebbe nel caso che egli mancasse”. Le disposizioni richiamate individuano un effetto immediato nella dichiarazione di rinuncia rappresentato – come spiega la Suprema Corte – dalla decadenza del diritto di accettare e nella devoluzione dell’eredità agli altri successibili. In ogni caso, diversamente da quanto sostiene l’Ufficio, il chiamato all’eredità che vi rinunci non può essere considerato in alcun modo titolare della soggettività passiva rispetto ai debiti tributari, avendo la rinuncia effetto retroattivo ai sensi dell’art. 521 c.c. Inoltre, sottolinea la Suprema Corte, l’Erario ha pur sempre la possibilità di impugnare la rinuncia oppure di nominare un curatore dell’eredità giacente a cui notificare l’atto di accertamento, anche al fine di evitare di incorrere nelle decadenze previste per l’azione di accertamento. La Corte infine ribadisce il principio, già fissato con la precedente pronuncia n. 15871/2020, secondo cui: “il chiamato all’eredità, che abbia ad essa validamente rinunciato, non risponde dei debiti tributari del de cuius, neppure per il periodo intercorrente tra l’apertura della successione e la rinuncia, neanche se risulti tra i successibili ex lege o abbia presentato la dichiarazione di successione (che non costituisce accettazione), in quanto, avendo la rinuncia effetto retroattivo ex art. 521 c.c., egli è considerato come mai chiamato alla successione e non deve più essere annoverato tra i successibili”. Con la pronuncia in commento la Suprema Corte chiarisce la posizione del contribuente che abbia rinunciato all’eredità, precisando come lo stesso non possa considerarsi soggetto passivo del debito tributario e quindi non può ricevere la notifica di un atto impositivo. Al riguardo, appare condivisibile la posizione della Cassazione, tenendo conto del fatto che la rinuncia opera retroattivamente ai sensi dell’art. 521 c.c. e che l’Agenzia delle Entrate può comunque chiedere la nomina di un curatore dell’eredità giacente cui notificare l’atto di accertamento. La tesi dell’Agenzia delle Entrate si rivela infondata anche in ragione del fatto che, in caso di notifica dell’accertamento nei confronti del rinunciante, può successivamente verificarsi l’accettazione dell’eredità da parte di un diverso successibile, con evidente divergenza tra l’erede effettivo e il soggetto destinatario della notifica dell’avviso di accertamento. F.D.D.D.