Il principio di indisponibilità della pretesa tributaria e i suoi limiti nelle situazioni di crisi e nel processo tributario

8 Ottobre 2021

A. Il principio di indisponibilità del credito tributario è un principio immanente nel nostro sistema di regole tributarie e trova fondamento nel Regio Decreto 23 maggio 1924 n. 827, contenente il Regolamento per l’amministrazione del patrimonio e per la contabilità dello Stato.

L’art. 49 del citato Regolamento prevede che: “Nei contratti non si può convenire esenzione da qualsiasi specie di imposte o tasse vigenti all’epoca della loro stipulazione”.

Si tratta quindi di un principio che pone un chiaro ed inderogabile limite all’esercizio dell’amministrazione finanziaria: non è possibile - come recita testualmente il Regolamento – concordare una esenzione (totale o parziale) da qualunque tipologia di imposte o tasse, rendendosi perciò indisponibile la pretesa tributaria.

L’indisponibilità della pretesa tributaria, quindi, è ispirata e attuata nel pieno rispetto del principio di legalità dell’azione amministrativa e vede in ambito tributario il proprio corollario nell’art. 23 della Costituzione, secondo cui: “Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”. Infatti, dalla riserva di legge ivi espressa discende che sulla debenza e sull’ammontare dei tributi a carico dei contribuenti non è possibile alcuna decisione discrezionale dell’amministrazione finanziaria, posto che l’azione amministrativa su tali profili è vincolata[1].

In altri termini, l’indisponibilità della pretesa tributaria si esprime con l'affermazione secondo cui il credito erariale ha il suo fondamento giuridico nella legge, in modo che una volta accertati i fatti ed applicate ad essi le norme, all’Amministrazione non restano spazi per privilegiare o sacrificare qualcuno degli interessi privati in conflitto. In questo senso, poiché è la legge che stabilisce le norme materiali che disciplinano il rapporto tributario, l'ammontare delle imposte e delle tasse dovute è perciò predeterminato, in assenza di ogni discrezionalità del pubblico funzionario.

L’indisponibilità si ricollega così al necessario rispetto della disciplina legale dell’obbligazione d’imposta da parte dei funzionari fiscali, che non hanno alcun potere di intervento sul relativo ammontare.

B. Il principio di indisponibilità appena delineato subisce una particolare attenuazione nei casi di esercizio consensuale del potere amministrativo, relativamente ai rapporti tra cittadino Pubblica amministrazione.

La necessità di attenuazione del principio di indisponibilità in un contesto di collaborazione è da correlarsi, in primo luogo, alla Legge 7 agosto 1990, n. 241 che prevede uno specifico potere del cittadino di partecipare all’attività svolta dalla Pubblica amministrazione[2].

Si tratta di istituti, quelli partecipativi, che realizzano esigenze di completezza e coerenza dell’istruttoria amministrativa, veicolando l’azione amministrativa entro un obbligato confronto con il contribuente, quale unica soluzione per giungere a risultati corretti. In tal modo, il potere esercitato dalla pubblica amministrazione si determina in concreto per effetto del confronto col soggetto privato, il cui intervento è finalizzato ad assicurare una sua partecipazione della gestione del potere amministrativo.

Tra gli istituti partecipativi previsti dal nostro sistema, il presente contributo focalizzerà la propria attenzione nei casi di soggetti in crisi (transazione fiscale e sovraindebitamento) e nel processo tributario (e quindi della mediazione e conciliazione). Per ciascuno di questi istituti si esaminerà la portata del principio di indisponibilità della pretesa tributaria.

C. Prima di affrontare le modalità con cui opera il principio di indisponibilità della pretesa fiscale nella transazione fiscale e nelle procedure da sovraindebitamento, si rende opportuno indicare preliminarmente i loro tratti salienti.

La transazione fiscale è una particolare procedura transattiva, che può attivarsi nell’ambito del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione dei debiti, e che consente il pagamento dei debiti tributari in misura ridotta e/o dilazionata, sia con riferimento ai crediti di natura privilegiata, sia ai crediti chirografari. Il fondamento è quindi l’art. 1965 del codice civile, norma che disciplina la transazione quale accordo tra due o più parti con cui si pone fine a una lite o si previene la sua formazione, facendosi reciproche concessioni.

Originariamente la transazione fiscale era conosciuta come “transazione dei ruoli”, aveva ad oggetto i soli tributi iscritti a ruolo e poteva essere utilizzata da coloro che erano risultati insolventi nel corso di una procedura di esecuzione coattiva. Con tale strumento si forniva una risposta concreta all’esigenza di migliorare l’attività di riscossione dei tributi, potendosi raggiungere l’accordo transattivo soltanto se più conveniente rispetto alle procedure esecutive. 

La transazione fiscale è stata introdotta nel 2005 con l’esigenza di allineare il nostro ordinamento a quello dell’Unione europea, introducendo una misura che semplificasse le procedure esistenti con l’obiettivo di assicurare la permanenza delle imprese e salvare i livelli occupazionali. La disciplina è fissata dall’art. 182-ter della Legge fallimentare[3], secondo cui, con le modifiche apportate recentemente con il D.L. 125/2020[4], il debitore con il piano di cui all'articolo 160 L.F.   può proporre il pagamento, parziale o anche dilazionato, dei tributi e dei relativi accessori amministrati dalle agenzie fiscali, nonché dei contributi amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie e dei relativi accessori. La stessa norma prevede come il debitore possa effettuare la medesima proposta anche nell'ambito delle trattative che precedono la stipulazione dell'accordo di ristrutturazione di cui all'articolo 182-bis L.F. In tali casi, l'attestazione necessaria per gli accordi di ristrutturazione deve inerire,  relativamente ai crediti fiscali, anche alla convenienza del trattamento proposto rispetto alle alternative concretamente praticabili. tale punto costituisce oggetto di specifica valutazione da parte del tribunale.

Una caratteristica peculiare della transazione fiscale, come recentemente modificata, è la possibilità per i creditori di chiedere comunque l’omologa al Tribunale, anche in caso di mancata risposta da parte dell’Agenzia delle Entrate competente o in caso di disaccordo, se si fornisce la prova che la proposta formulata è più conveniente dell’alternativa liquidatoria. In questo senso, risulta impropria la denominazione di “transazione”, posto che l’istituto finalizzato a porre rimedio alla crisi di impresa può ottenere l’avallo del Tribunale, anche in mancanza di un accordo con il competente Ufficio dell’Amministrazione finanziaria.

Così delineate le caratteristiche principali della transazione fiscale, resta da considerare come – nell’ambito di tale istituto – spiega i suoi effetti il principio di indisponibilità della pretesa tributaria. In tali casi, è bene precisare, l’istituto della indisponibilità esplica i suoi effetti nei confronti di crediti dell’Amministrazione finanziaria di natura definitiva, situazione del tutto diversa dalla natura dei crediti erariali nel caso di instaurazione di un contenzioso tributario.

Circa le valutazioni da compiere nella transazione fiscale, la Circolare n. 34 del 29 dicembre 2020 prevede che “il fulcro del procedimento argomentativo che porta a ritenere accoglibile una proposta di trattamento del credito tributario deve essere incentrato sulla maggiore, o minore, convenienza economica della stessa rispetto all’alternativa liquidatoria”, e ciò sia con riferimento al concordato preventivo, sia relativamente agli accordi di ristrutturazione dei debiti.

È evidente quindi che nel caso della transazione fiscale non è stato previsto un pieno arbitrio dell’amministrazione finanziaria circa la possibilità di rinunciare in tutto o in parte al credito tributario. Tale potere, invero, può essere esercitato (soltanto) nel rispetto di un particolare vincolo, ovvero quello della capacità contributiva, come previsto dall’art. 53 della Costituzione. Limitare la transazione fiscale alla sola proposta più conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria, significa in sostanza stabilire una attività vincolata della pubblica amministrazione e non certo discrezionale. Non c’è una previsione di contemperamento dell’interesse pubblico alla riscossione piena degli interessi pubblici rispetto agli interessi privati. Non c’è una gamma di possibili scelte all’interno delle quali l’amministrazione, esercitando un potere arbitrario, potrebbe individuare quella che ritiene più opportuna, ma si tratta di attuare il comando che la norma dispone. Ciò al punto che il Tribunale può sostituirsi all’Amministrazione Finanziaria e omologare la transazione, assumendo il voto positivo dell’Amministrazione Finanziaria, in modo da espandere gli effetti dell’omologa anche nei confronti di un creditore che ha manifestato il proprio dissenso.

D. Il principio di indisponibilità della pretesa tributaria viene applicato nelle procedure di sovraindebitamento con le medesime modalità della transazione fiscale. Giova allo scopo precisare come il sovraindebitamento sia stato introdotto con la Legge n. 3/2012 (c.d. “salvasuicidi”) e rappresenti un istituto diretto ai soggetti non assoggettabili alle procedure concorsuali che, nonostante ogni sforzo, non sono in grado di sostenere gli impegni economici e finanziari assunti, risultando perciò non sostenibile l’estinzione dei propri debiti.

Ai sensi dell’art. 6, comma 2 della Legge n. 3/2012 “per «sovraindebitamento»  si  intende una situazione di perdurante squilibrio tra le obbligazioni assunte e il patrimonio prontamente liquidabile per farvi  fronte,  nonché  la definitiva incapacità del  debitore  di  adempiere  regolarmente  le proprie obbligazioni”.

Il successivo art. 7 consente la falcidia dei crediti precisando che: “i crediti muniti di privilegio, pegno e ipoteca possono non essere soddisfatti integralmente “allorché ne sia assicurato il pagamento in misura non inferiore a quella realizzabile, in ragione della collocazione preferenziale sul ricavato in caso di liquidazione, avuto riguardo al valore di mercato attribuibile ai beni o ai diritti sui

quali insiste la causa di prelazione”.

In altri termini, secondo la citata normativa i crediti muniti di privilegio, pegno e ipoteca possono non essere soddisfatti integralmente, allorquando l’alternativa liquidatoria non sia affatto vantaggiosa per il creditore, per incapienza del bene o del diritto in caso di liquidazione.

Anche nelle procedure di Sovraindebitamento tutti i crediti sono ormai falciabili[5], può concludersi che per i crediti tributari valgono le stesse considerazioni sopra indicate per la transazione, dovendosi far riferimento alla disponibilità dei crediti tributari in ragione del principio di capacità contributiva di cui all’art. 53 della Costituzione. E cioé applicandosi anche in tal caso il criterio della convenienza rispetto all’alternativa liquidatoria.

E. Con riferimento alla mediazione e alla sua natura giuridica, è possibile richiamare la definizione della Corte Costituzionale[6] quale “strumento di composizione delle controversie legato alla valutazione, da parte dell’Agenzia delle Entrate, anche dell’economicità dell’azione amministrativa oltre che dell’eventuale incertezza (in diritto) delle questioni controverse e del grado di sostenibilità (in fatto) della pretesa”.

Si tratta quindi di un procedimento conciliativo preprocessuale, attivabile con la proposizione di un reclamo ai sensi dell’art. 17-bis del D. Lgs. n. 546/1992, istanza che determina una vera e propria fase amministrativa all’interno del processo tributario.

La mediazione tributaria, obbligatoria per i procedimenti aventi un valore inferiore ad euro 50.000, secondo parte della Dottrina[7] non sarebbe una vera e propria mediazione ovvero una procedura che si svolge alla presenza di un mediatore quale soggetto terzo ed imparziale che interviene per favorire la conciliazione tra le parti. Tuttavia, è considerata uno strumento fondamentale per la sua funzione deflattiva del contenzioso, favorendo quindi una riduzione dei procedimenti instaurati innanzi ai Giudici tributari.

Secondo la relazione al Disegno di legge di conversione del D.L. 98/2011 “introduce un efficace rimedio amministrativo per deflazionare il contenzioso relativo ad atti di valore non elevato emessi dall’Agenzia delle Entrate”.

La conciliazione giudiziale, disciplinata dall’art. 48 del D. Lgs n. 546/1992, è invece l’istituto che consente all’Amministrazione finanziaria di raggiungere un accordo con il contribuente sulla base di reciproche concessioni.

Con riferimento al principio di indisponibilità della pretesa tributaria nell’ambito dei suddetti istituti transattivi, deve rilevarsi come manchino dei criteri normativi preposti per la conclusione della mediazione /o della conciliazione[8]. Trattasi in ogni caso di una indisponibilità – per la P.A. – attenuata, posto che si è in presenza non di un credito certo e definitivo come nel caso della transazione fiscale o del sovraindebitamento ma di un credito connesso ad un atto impositivo che può essere in tutto o in parte annullato all’esito del giudizio.

Al riguardo, la Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 9/E del 19 marzo 2012 prevede che la mediazione “deve ritenersi sostanzialmente finalizzata ad evitare il rinvio ai giudici tributari delle contestazioni che possono essere risolte in sede amministrativa, attraverso un esame volto ad anticipare l’esito ragionevole atteso del giudizio, tenuto conto della situazione di fatto e di diritto sottesa a ogni singola fattispecie”.

Il criterio di riferimento è quindi il principio di buona andamento della Pubblica Amministrazione fissato dall’art. 97 della Costituzione.

Analoga considerazione vale per la conciliazione, nell’ambito della quale l’Amministrazione finanziaria effettua un vero e proprio giudizio prognostico circa le possibilità di successo in sede contenziosa, tenendo conto dell’alea connessa all’instaurazione della controversia, anche in relazione alla possibilità di ottenere immediatamente il pagamento.

Nel riconoscere la natura transattiva della conciliazione, l’opinione dottrinale maggioritaria ammette quindi un’attenuazione del principio di indisponibilità o una sua limitazione, giustificando una maggiore flessibilità dell’Amministrazione finanziaria al fine di definire anticipatamente la pretesa tributaria.

Nell’ambito della conciliazione, deve comunque rimarcarsi come la scelta dell’amministrazione non possa prescindere dall’adozione di un criterio di legalità quale necessario percorso logico giuridico che deve essere intrapreso dall’Ufficio impositore per giungere all’accordo conciliativo[9]. In tal modo, si sviluppa anche la portata novativa dell’istituto, con la nascita di una nuova obbligazione tributaria che sostituisce quella precedente basata sull’atto impugnato.

Un’ultima considerazione riguarda infine il ruolo svolto dal Giudice tributario nelle fasi transattive. Quest’ultimo, in particolare, non svolge alcuna funzione finalizzata a valutare la congruità dell’accordo raggiunto e quindi le modalità con cui è stata operata la rinuncia alla pretesa impositiva. Come ha precisato la Corte Costituzionale[10], il Giudice è chiamato soltanto a verificare il rispetto delle condizioni e dei presupposti di ammissibilità della conciliazione, senza operare un controllo nel merito delle determinazioni raggiunte dalle parti in causa.

F.D.D.D.


[1] Antonio Guidara, Riserva di legge e indisponibilità del tributo, I Quaderni Europei – Centro di Documentazione Europea UNICT.

[2] Il riferimento in particolare agli artt. da 7 a 13 della Legge n. 241/1990 relativi alla partecipazione al procedimento amministrativo dei soggetti portatori di interessi pubblici o privati, nonché dei portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, ai quali possa derivare un pregiudizio dal provvedimento finale. In questo sensi la partecipazione ha una funzione difensiva ma anche collaborativa.

[3] Regio Decreto 16 marzo 1942 n. 267.

[4] Convertito con modificazioni nella Legge n. 159/2020 e oggetto di chiarimenti ministeriali con la Circolare n. 34/2020.

[5] In un primo momento, non erano falcidiabili i tributi costituenti risorse proprie dell’Unione Europea, l’Iva e le ritenute operate e non versate: Giannicola ROCCA e Antonio DI FALCO, Il nuovo trattamento dei crediti tributari e contributivi secondo il Codice della crisi e dell’insolvenza – I Quaderni n. 79. Con la recente sentenza n. 245 del 29 novembre 2019 la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della norma che prevede la infalcidiabilità dell'IVA nel caso di un accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento.

[6] Corte Cost. 16 aprile 2014 n. 98.

[7] F. TESAURO, Manuale del Processo Tributario, Torino 2013 p. 150.

[8] Per un’ampia analisi si rinvia a Giuseppe CORASANITI, Mediazione e conciliazione nel processo tributario: lo stato dell’arte e le prospettive di riforma, Diritto e Pratica Tributaria, 3/2020 p. 965.

[9] A. FEDELE, Autonomia negoziale e regole privatistiche nella disciplina dei rapporti tributari, in S. LA ROSA, Profili autoritativi e consensuali del Diritto Tributario, Milano, 2008, 133.

[10] Corte Cost. 24 ottobre 2000 n. 433.

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