L’iscrizione a ruolo a seguito di controllo automatizzato non può avvenire se occorre risolvere complesse questioni giuridiche

1 Ottobre 2021

Abstract

L’Agenzia delle entrate non può procedere direttamente all’iscrizione a ruolo delle maggiori imposte che reputi dovute in base alla dichiarazione se, per determinare in maniera corretta l’imposta dovuta, sia necessario risolvere complesse questioni giuridiche

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Il caso

La Corte di cassazione, Sez. V Civile, con la sentenza del 24 agosto 2021, n. 23382 (Pres.: Cirillo; Rel.: Saieva), ha offerto interessanti spunti di riflessione sulla tematica del controllo automatico delle dichiarazioni dei redditi, previsto dagli artt. 36-bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e 54-bis del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633.

La vicenda trae origine dall’impugnazione, da parte di una società, di una cartella di pagamento emessa per l’anno d’imposta 2003, a seguito della procedura di controllo automatizzato. In particolare, viene ripresa a tassazione la maggiore imposta dovuta sulla base del disconoscimento della perdita d’esercizio maturata negli anni precedenti a quello oggetto di accertamento. La società, difatti, ha omesso di presentare la dichiarazione dei redditi per l’anno d’imposta 2002.

La ricorrente ha affermato che l’omessa presentazione della dichiarazione fosse ascrivibile alla negligenza del professionista incaricato dalla stessa società, il quale non aveva proceduto all’invio telematico della dichiarazione in questione. La stessa, in ogni caso, ha sostenuto di avere trasmesso, seppur tardivamente, la documentazione prescritta, dalla quale risultava il dettaglio della perdita ripresa a tassazione.

In primo grado, il ricorso della società è stato rigettato non avendo, la stessa, fornito prova circa l’asserita perdita d’esercizio.

In appello, invece, la Commissione tributaria regionale del Lazio (“C.T.R.”), con sentenza 13 marzo 2013, n. 77/2/13, ha accolto le doglianze della società, riformando la decisione della Commissione tributaria provinciale di Roma. Al riguardo, la C.T.R. ha rilevato che la procedura di cui agli artt. 36-bis del d.P.R. n. 600/1973 e 54-bis del d.P.R. n. 633/1972 non può essere utilizzata nel caso di specie dall’Amministrazione finanziaria, poiché è “necessario procedere ad attività di valutazione ed applicazione di norme e principi giuridici, alla qualificazione di fatti e rapporti, alla risoluzione di questioni di imponibilità o di deducibilità o relative all’applicazione di norme di esenzione o di agevolazione”.

Contro tale pronuncia l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a un unico motivo. Segnatamente, l’Ufficio ha censurato la sentenza della C.T.R. per avere consentito il riconoscimento della perdita fiscale anche se indicata in una dichiarazione omessa.

La pronuncia

La Cassazione, nell’accogliere il ricorso dell’Agenzia, ha l’occasione di ripercorrere la disciplina della procedura di controllo automatico delle dichiarazioni, ribadendo alcuni importanti principi sul tema.[1]

La procedura in esame rientra, insieme a quella di controllo formale ex art. 36-ter del d.P.R. n. 600/1973, nel più ampio genus dell’attività di accertamento formale.

Detta attività consiste in un mero riscontro cartolare delle dichiarazioni, realizzato dagli uffici al fine di verificare la correttezza degli adempimenti dichiarativi a carico dei contribuenti, consentendo, al contempo, all’Amministrazione finanziaria di iscrivere direttamente a ruolo la maggiore imposta dovuta, sulla base dei dati forniti dal contribuente medesimo.

A mente del comma 2 del succitato art. 36-bis del d.P.R. n. 600/1973, l’Amministrazione finanziaria ha l’onere di procedere:

  • alla correzione degli errori materiali e di calcolo commessi dal contribuente nella determinazione degli imponibili, delle imposte, dei contributi e dei premi, nonché nel riparto delle eccedenze d’imposta, dei contributi e dei premi risultanti dalle dichiarazioni;
  • alle riduzioni delle detrazioni d’imposta, delle deduzioni dal reddito, dei crediti d’imposta esposti in misura superiore a quella prevista dalla legge ovvero non spettanti sulla base dei dati e risultanti dalle dichiarazioni stesse;
  • al controllo della rispondenza tra gli importi dichiarati e i versamenti effettuati, nonché delle ritenute alla fonte operate in qualità di sostituto d’imposta.

Il successivo comma 3 (a seguito della modifica apportata ad opera del d.l. 9 luglio 1997, n. 241) prevede che se dai controlli automatici dovesse emergere un risultato diverso da quello dichiarato, l’esito dell’attività di liquidazione viene comunicata al contribuente o al sostituto d’imposta (per evitare la reiterazione di errori e per consentire la regolarizzazione degli aspetti formali), nonché all’Amministrazione finanziaria medesima per l’eventuale acquisizione di dati ed elementi non considerati nella liquidazione.

A parere della Suprema Corte, tuttavia, l’Ufficio “non può procedere a iscrivere direttamente a ruolo le maggiori imposte che ritenga dovute in base alla dichiarazione, qualora, ai fini della corretta determinazione dell’imposta risultante dalla dichiarazione, occorra risolvere complesse questioni giuridiche”. Pertanto, sotto questo profilo viene confermata la pronuncia di merito nella parte in cui i giudici della C.T.R. avevano sostenuto la non estensibilità dei ridetti artt. 36-bis del d.P.R. n. 600/1973 e 54-bis del d.P.R. n. 633/1972 ai casi nei quali l’accertamento non possa fermarsi alla semplice correzione dei dati individuabili nella dichiarazione, data la complessità delle questioni giuridiche a esso sottese.

Una volta precisati i suddetti principi, con riferimento al caso di specie i giudici di legittimità hanno confermato la legittimità dell’azione dell’Amministrazione finanziaria, posto che il recupero dell’imposta era conseguente a una mera attività di incrocio dei dati contabili dichiarati dalla società, “la cui omessa presentazione della dichiarazione dei redditi per l’anno d’imposta precedente ha determinato il mancato riconoscimento (automaticamente escluso) della perdita fiscale indicata nel modello unico dell’anno d’imposta 2003 (v. Cass. Sez. 6, 16/10/2912, n. 17754).”

In tali circostanze, il contribuente ha comunque facoltà di dimostrare, “solo mediante la produzione di idonea documentazione”, l’effettiva sussistenza del credito non dichiarato. Dunque, nel caso di specie, l’esistenza del credito era stata negata non solo in virtù del dato formale dell’omessa presentazione della dichiarazione, ma anche a causa della mancata dimostrazione, da parte della società, della sussistenza dei requisiti sostanziali del credito d’imposta portato in compensazione.

Sulla base di ciò, la Corte ha cassato la pronuncia di merito impugnata, rinviando la controversia alla C.T.R. in diversa composizione.

La sentenza in commento, quindi, conferma il principio secondo cui quando l’attività di controllo si sostanzia in un’attività di interpretazione delle norme tributarie di riferimento o di approfondita valutazione della documentazione offerta dal contribuente, un’eventuale maggiore imposta non può essere liquidata attraverso una procedura automatizzata, richiedendosi allo scopo un’attività di accertamento più pregnante.

R.C.


[1] A riguardo, cfr. Cass. civ., sez. V, 29 febbraio 2008, n. 5464; Cass. civ., sez. V, 10 aprile 2006, n. 8359.

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