Abstract Con la sentenza n. 32237 del 15 giugno 2021, depositata lo scorso 26 agosto, la terza sezione della Cassazione ha ritenuto configurabile il concorso nel reato di dichiarazione fraudolenta mediante fatture per operazioni inesistenti dell’ex amministratore di una società che, pur non avendo firmato la dichiarazione, abbia partecipato a creare il meccanismo fraudolento. *** Il caso Nel caso in analisi, la Corte è intervenuta sull’impugnazione presentata dall’imputato avverso la sentenza emessa dai giudici di secondo grado di Milano, che confermando la decisione presa dal Tribunale, lo aveva condannato per il reato di cui all’art. 2 D.lgs. 74/2000, perché, quale legale rappresentante della Società X, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, indicava nelle dichiarazioni dei redditi relative all’anno di imposta 2010 elementi passivi fittizi contabilizzando fatture per operazioni inesistenti. Il motivo di ricorso che interessa in questa sede riguardava l’erronea applicazione degli artt. 2 D.lgs. 74/2000 e 110 c.p. con riferimento alla dichiarazione Ires presentata in data 27 marzo 2012. Il ricorrente, infatti, sottolineava di essere cessato dalla carica di amministratore in data antecedente alla presentazione della dichiarazione Ires, e più precisamente dal 20 dicembre 2011, data in cui la Società X era stata posta in liquidazione con successiva assegnazione della carica di liquidatore al figlio del ricorrente. Stante dunque l’assenza di poteri di rappresentanza legale in capo al ricorrente al momento della presentazione della dichiarazione Ires, la di lui difesa chiedeva l’annullamento della condanna irrogata nei giudizi di merito. A sostegno delle proprie argomentazioni, nei motivi di ricorso veniva evidenziata la natura di reato proprio dell’art. 2 D.lgs. 74/2000 e, dunque, la possibilità di imputare tale fattispecie criminosa unicamente al soggetto dotato della rappresentanza legale della società al momento della presentazione della dichiarazione. La difesa sottolineava, inoltre, l’impossibilità di attestare nel caso di specie i presupposti individuati dalla giurisprudenza di legittimità sul concorso ex art. 110 c.p. dell’extraneus nel reato proprio. La pronuncia Il ricorso è stato rigettato dalla Cassazione che ha ritenuto infondato il motivo anzidetto. A parere della Suprema Corte, infatti, la Corte d’Appello di Milano ha correttamente ritenuto l’imputato responsabile quale concorrente extraneus nel reato commesso dal figlio liquidatore, firmatario della dichiarazione Ires e legale rappresentante della società X nel marzo del 2012. Nei motivi della propria decisione, la Cassazione ha innanzitutto confermato la natura di reato proprio dell’art. 2 D.lgs. 74/2000. In secondo luogo, i giudici di legittimità hanno specificato che, poiché il momento consumativo di tale fattispecie coincide con quello della presentazione della dichiarazione nella quale sono esposti elementi contabili fittizi, sono da ritenersi “penalmente irrilevanti tutti i comportamenti prodromici tenuti dall’agente, ivi comprese le condotte di acquisizione e registrazione delle scritture contabili di fatture o documenti contabili falsi o artificiosi […] ed è da tale momento che deve essere individuato il soggetto autore del reato e non risponde del reato di cui all’art. 2 D.lgs. 74/2000, nemmeno a titolo di tentativo, l’amministratore di una società il quale, dopo aver acquisito e registrato una fattura per operazioni inesistenti, sia cessato dalla carica prima della presentazione della dichiarazione fiscale per la cui redazione la medesima fattura venga poi utilizzata dal suo successore”. Tuttavia - e in questo passaggio la Corte ha esposto il ragionamento innovativo sulla base del quale ha confermato la condanna irrogata in secondo grado – “l’irrilevanza sul piano penale delle condotte pregresse non esclude che possano di per sé stesse essere valorizzate quale elemento per configurare il concorso dell’estraneo nel reato proprio commesso da colui che rivestendo successivamente la carica di amministratore della società X, ha perfezionato il reato”. La natura di reato istantaneo dell’art. 2 D.lgs. 74/2000, ha proseguito la Corte, non sarebbe ostativa all’individuazione di un concorso nelle condotte di colui che – pur non rivestendo la carica di legale rappresentante – abbia in qualche modo partecipato a creare il meccanismo fraudolento che ha consentito all’amministratore della società di avvalersi della documentazione fiscale fittizia. Nel caso di specie secondo la Cassazione sussistevano, infatti, tutti e tre i presupposti necessari per il concorso dell’extraneus: il compimento di attività tipica, il contributo causale e la consapevolezza della qualifica dell’intraneo. Infatti, l’imputato aveva tenuto un comportamento consapevole, intenzionale e diretto ad eludere l’obbligo tributario poiché, nel lungo periodo in cui aveva ricoperto la carica di amministratore della Società X, aveva sottoscritto le dichiarazioni IVA per l’anno 2011 e aveva registrato in contabilità le fatture per operazioni inesistenti di cui si era avvalso il figlio/liquidatore per le dichiarazioni Ires. Pertanto, con la sentenza in commento la Cassazione, pur ponendo alla base del discorso motivazionale alcuni principi largamente diffusi e condivisi in giurisprudenza in materia di reati dichiarativi, è giunta a una conclusione difforme rispetto a precedenti decisioni assunte dalla stessa Corte in casi analoghi a quello in esame. Si consideri, ad esempio, la sentenza n. 23229 del 13 giugno 2012, con la quale la terza sezione della Corte di Cassazione aveva rigettato il ricorso proposto dal Pubblico Ministero avverso la sentenza con la quale il Gup presso il Tribunale di Trento dichiarava non luogo a procedere nei confronti dell’imputato per il reato di cui all’art. 2 D.lgs. 74/2000 per non aver commesso il fatto, in quanto al momento della scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione IVA l’imputato era già cessato dalla carica di amministratore della Società Y. Anche in questo caso, l’accusa sosteneva che, al di là della formale perdita della qualifica di amministratore al momento della consumazione del reato, poteva comunque configurarsi il concorso dell’imputato nel reato contestato, in quanto nel periodo della sua amministrazione avrebbe proceduto a ricevere le fatture false e ad annotarle nei registri IVA, così ponendo in essere quanto necessario per portare a consumazione il delitto. A parere della Corte, invece, l’impostazione accusatoria non terrebbe in debita considerazione la ratio delle modifiche apportate alla disciplina penal-tributaria dal legislatore che, infatti, con il D.lgs. 74/2000 ha superato l’impostazione della precedente legge n. 516/1982, che puniva ex se anche il semplice inserimento in contabilità di fatture per operazioni inesistenti, a prescindere dal successivo inserimento del dato in dichiarazione. L’irrilevanza penale delle condotte pregresse sancita dal legislatore del 2000 implicherebbe, secondo la Corte, che i comportamenti tenuti dall’imputato “non possano di per se stessi soli essere valorizzati neppure, come invece vorrebbe il P.M. ricorrente, in termini di concorso con colui che, rivestendo successivamente la carica di amministratore ed indicando in dichiarazione la fattura in oggetto, avrebbe perfezionato il reato: pur essendo, in astratto, possibile concepire in capo ad un extraneus il concorso nel reato proprio di cui all’art. 2 in caso di determinazione od istigazione alla presentazione della dichiarazione, non apparendo ostarvi, in via di principio, la natura di reato istantaneo, una diversa conclusione comporterebbe, ancor prima di ogni altra considerazione, la vanificazione della precisa volontà del legislatore nel senso sopra chiarito”. Alle medesime conclusioni era giunta la stessa Corte con la sentenza n. 21025 del 21 maggio 2015, che ha annullato il capo della sentenza impugnata in relazione al quale la Corte d’appello di Milano aveva condannato l’imputato per il reato di cui all’art. 2 D.lgs. 74/2000 per aver compiuto le condotte prodromiche (ricezione e annotazione nei registri IVA delle false fatture) alla successiva annotazione in dichiarazione. Infatti, come espongono i giudici di legittimità, “una simile forma di partecipazione al reato è esclusa dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo cui non risponde del reato di cui al D.Lgs. 74 del 2000, art. 2, neppure a titolo di tentativo, l’amministratore di una società il quale, dopo aver acquisito e registrato una fattura per operazione inesistente, sia cessato dalla carica prima della presentazione della dichiarazione fiscale per la cui redazione la medesima fattura sia stata poi utilizzata dal suo successore”. In conclusione, con la recente sentenza n. 32237/2021 la Corte di Cassazione mostra l’intenzione di voler superare l’orientamento precedentemente espresso al suo interno, ampliando il novero delle condotte che possono assumere penale rilevanza nell’ambito dei reati dichiarativi e prescindendo non solo dalle qualifiche formali esistenti in capo al soggetto attivo al momento della consumazione del reato, ma anche dalla stretta interpretazione delle norme e dalla tipicità della fattispecie. Potrà dunque essere opportuno monitorare i futuri sviluppi giurisprudenziali per capire se e come i principi espressi dalla Corte nella sentenza in esame si imporranno come nuovo orientamento prevalente della giurisprudenza e, di conseguenza, comprendere quali siano i confini effettivi della responsabilità penale dell’amministratore cessato dalla carica per i fatti pregressi compiuti durante la sua legale rappresentanza della società. E.M.