Abstract Le Sezioni Unite, in continuità con il principio di diritto enucleato nella sentenza n. 7822/2020, hanno statuito in merito al riparto tra giurisdizione tributaria e ordinaria relativamente all'attuazione della pretesa tributaria recepita in un provvedimento esecutivo. *** Il caso Con l’ordinanza n. 21642 del 28 luglio 2021 le Sezioni Unite, operando un richiamo esplicito al principio di diritto enucleato con la recente pronuncia n. 7822 del 14 aprile 2020, sono ritornate sul pregnante tema del riparto tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione tributaria in relazione alla concreta attuazione della pretesa tributaria recepita in un provvedimento esecutivo (cartella di pagamento). La vicenda ha conosciuto un’accentuata articolazione processuale, che è opportuno ricostruire brevemente. Con riferimento a una successione aperta quattro anni prima, nel 1999 l’Amministrazione finanziaria notificava agli eredi un avviso di liquidazione dell’imposta (su un imponibile di oltre 2 miliardi delle vecchie Lire), irrogando contestualmente una sanzione pecuniaria per ritardata presentazione dell'ultima di tre dichiarazioni di successione, integrativa di quella originaria. Il provvedimento veniva ritualmente impugnato e il giudice di prime cure accoglieva le doglianze degli eredi. Nel secondo grado di giudizio, inoltre, la competente Commissione Tributaria Regionale della Puglia respingeva gli appelli proposti, in via principale, dall’Agenzia delle Entrate e, in via incidentale, dagli eredi. La Corte di Cassazione, tuttavia, riformava la pronuncia di secondo grado, accogliendo il ricorso di parte erariale e rinviando la causa alla medesima CTR Puglia in diversa composizione. Successivamente veniva notificata agli eredi una cartella di pagamento recante la richiesta di corresponsione di quanto dovuto a titolo di imposta, sanzioni e altri accessori in relazione alla pretesa originariamente avanzata con l’avviso di liquidazione. Gli eredi impugnavano la cartella eccependo l’intervenuta prescrizione della pretesa, stante l’avvenuto decorso di oltre 25 anni dalla denunzia di successione (risalente al 1995). Resisteva con controricorso l’Agente della riscossione. A sua volta, l’Agenzia delle Entrate interveniva volontariamente nel giudizio eccependo l’assoluta tempestività della cartella: gli importi richiesti mediante quest’ultima, infatti, derivavano a suo parere dalla sentenza emessa all’esito del giudizio di legittimità, non essendo stata riassunta la causa da alcuna delle parti processuali. Pertanto, l’Ufficio faceva discendere il decorso del termine prescrizionale dallo scadere del termine di sei mesi dalla pubblicazione della pronuncia della Corte di Cassazione, lasso temporale previsto ex lege ai fini della riassunzione del giudizio. La pronuncia Limitatamente all’eccezione sollevata in merito all’intervenuta prescrizione del credito erariale, dunque, una erede proponeva ricorso preventivo per regolamento di giurisdizione ai sensi dell’art. 41 c.p.c., chiedendo che in ordine alla stessa venisse determinata la giurisdizione del giudice ordinario. A supporto della propria tesi la ricorrente richiamava la sentenza n. 34447/2019, resa dalla Suprema Corte a Sezioni Unite, secondo cui “la notifica della cartella di pagamento non impugnata (o vanamente impugnata) dal contribuente nel giudizio tributario determina il consolidamento della pretesa fiscale e l’apertura di una fase che, per chiara disposizione normativa, sfugge alla giurisdizione del giudice tributario, non essendo più in discussione l’esistenza dell’obbligazione tributaria né il potere impositivo sussumibile nello schema potestà-soggezione che è proprio del rapporto tributario”. L’Agenzia delle Entrate-Riscossione, costituitasi in giudizio, insisteva invece per la declaratoria di giurisdizione del giudice tributario, richiamando il principio di diritto espresso nella citata sentenza n. 7822/2020 delle medesime Sezioni Unite, secondo cui sussiste la cognizione del giudice tributario in merito ai fatti incidenti sulla pretesa fiscale verificatisi sino alla notificazione della cartella di pagamento (ovvero, in caso di invalidità della notifica, fino al primo atto esecutivo). L’Agente della riscossione riteneva che nel novero di tali fatti dovesse essere ricompresa anche la prescrizione, maturata non anteriormente alla notifica della cartella bensì solo a valle della mancata riassunzione del giudizio nei termini previsti dalla legge: evento che avrebbe determinato la definitività dell’avviso e, quindi, la cristallizzazione della pretesa tributaria. Pertanto, a giudizio della controricorrente la cartella di pagamento era tutt’altro che intempestiva, essendo stata notificata a seguito dell’intercorsa scadenza di un nuovo termine di prescrizione decennale, decorrente dallo spirare dei termini per la riassunzione. La Suprema Corte ha ritenuto di accogliere il controricorso dell’Agente della riscossione, applicando espressamente al caso di specie i principi elaborati e recepiti nella citata sentenza n. 7822/2020. In attuazione del combinato disposto degli artt. 2 del D.Lgs. n. 546/1992 e 49 e ss. del d.P.R. n. 602/1973 (con particolare riguardo all'art. 57 di quest’ultimo, come emendato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 114/2018), i giudici hanno ritenuto di ribadire la sussistenza di una ben precisa ripartizione della giurisdizione, rispettivamente, del giudice tributario e di quello ordinario. Sussiste dunque, come anticipato, la cognizione del giudice tributario relativamente a “ogni questione con cui si reagisce di fronte all’atto esecutivo adducendo fatti incidenti sulla pretesa tributaria che si assumano verificati e, dunque, rilevanti sul piano normativo, fino alla notificazione della cartella esattoriale o dell'intimazione di pagamento, se validamente avvenute, o fino al momento dell'atto esecutivo” in caso di difetto di notificazione. Occorre precisare che i “fatti” invocati dalla Suprema Corte ineriscono tanto ai profili formali e sostanziali degli atti in cui trovi espressione la pretesa tributaria, quanto ai fatti costitutivi, modificativi o impeditivi della stessa. La cognizione del giudice ordinario, di converso, interviene relativamente a tutte le questioni afferenti alla legittimità formale degli atti esecutivi, indipendentemente da qualsiasi problematica afferente alla notifica di una cartella di pagamento, nonché con riguardo ai fatti suscettibili di incidere sulla pretesa tributaria “azionata in executivis” che si siano verificati successivamente alla notifica della cartella o, in ogni caso, posteriormente all’avvio della fase esecutiva. L’avvenuto decorso del termine prescrizionale nel caso oggetto della controversia si colloca, secondo i giudici, pacificamente “a monte della notifica della cartella”, vale a dire con riferimento a una vicenda occorsa anteriormente alla notifica stessa, la cui validità, peraltro, non è mai stata contestata in giudizio. Ne discende, in applicazione del predetto principio di diritto, la cognizione del giudice tributario, con la conseguente rimessione delle parti dinanzi allo stesso anche in ordine alla determinazione del regime delle spese. F.N.