Il divieto di nova in appello non preclude la produzione di documenti preesistenti al giudizio di primo grado

31 Agosto 2021

Abstract

La Suprema Corte, con l'ordinanza del 26 maggio 2021, n. 14567, ribadisce il proprio orientamento secondo cui è ammessa la produzione nel giudizio di appello di documenti preesistenti al giudizio di prime cure ove costituiscano mere difese, nel rispetto dei termini e delle formalità previsti dal D.lgs. n. 546/1992.

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Il caso

Con l’ordinanza in commento, la quinta sezione civile della Corte di Cassazione si è pronunciata in ordine alla producibilità in appello di nuovi documenti già nella disponibilità delle Parti nel giudizio di primo grado e, tuttavia, non versati in atti in quella sede.

Nel caso di specie, l’Agente della riscossione (Equitalia Sud S.p.A.) ha proposto ricorso per cassazione avverso una pronuncia della Commissione Tributaria Regionale (“CTR”) del Lazio con cui era stata dichiarata l’inammissibilità, nel giudizio di appello, di documenti attestanti l’avvenuta notifica di cartelle di pagamento (oggetto di contestazione da parte del contribuente), già nella disponibilità dell’Ente all’epoca del giudizio di prime cure e tuttavia prodotti solo in sede di gravame.

La CTR, infatti, aveva fornito un’interpretazione restrittiva dell’art. 58 del D.Lgs. n. 546/1992[1], fondando la predetta inammissibilità sul presupposto che l’omessa produzione della documentazione in primo grado (evidentemente ritenuta sede naturale per tale attività processuale) fosse stata idonea a determinare, a svantaggio del contribuente, la perdita di un grado di giudizio sul merito della controversia.

Il ricorso di parte erariale è stato articolato in due motivi:

  1. violazione degli artt. 53 e 58 del citato D.Lgs. n. 546/1992 in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., per asserita illegittima esclusione dal giudizio di appello della produzione documentale relativa all’avvenuta notifica al contribuente delle cartelle di pagamento;
  2. errore nel procedimento in relazione all’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c., attesa l’intercorsa interpretazione erronea del disposto dell’art. 58 D.Lgs, n. 546/1992 da parte della CTR, interpretazione che ha determinato il mancato ingresso, nel giudizio di gravame, dei documenti prodotti dall’Agente della Riscossione.

La pronuncia

Ciò premesso, la Suprema Corte ha ritenuto di dar seguito all’orientamento consolidato (che peraltro ha trovato riscontro anche nella giurisprudenza della Corte costituzionale, sent. n. 199/2017) che ritiene pacifica l’ammissibilità di nuovi documenti nel giudizio di appello in forza del principio di specialità di cui all’art. 1, co. 2, D.Lgs. n. 546/1992 che, anche in deroga al divieto di nova nel giudizio di secondo grado disposto dall’art. 345, co. 3, c.p.c.[2], permette la libera produzione nel gravame di documenti preesistenti al giudizio di prime cure. L’unico limite a tale produzione è rappresentato dal rispetto del termine perentorio di venti giorni liberi anteriori all’udienza, oltreché delle formalità previste dall’art. 24, co. 1, D. Lgs. n. 546/1992.

Le uniche preclusioni in tal senso riguardano le eccezioni in senso stretto (vale a dire le eccezioni esaminabili ad istanza di parte, non ex officio, con le quali la parte fa valere in giudizio un fatto giuridico avente efficacia impeditiva, modificativa ovvero estintiva della pretesa tributaria), il cui ingresso nel processo è impedito dall’art. 57, secondo comma, del medesimo decreto.

Tale preclusione riguarda indistintamente tanto il contribuente quanto l’Erario. Proprio in questa prospettiva, la recente sentenza n. 5160 del 26 febbraio 2020 della Suprema Corte ha ribadito il principio per cui “nel processo tributario di appello l'Amministrazione finanziaria non può mutare i termini della contestazione, deducendo motivi e circostanze diversi da quelli contenuti nell'atto di accertamento (cfr. Cass., sent. n. 25909/2008). Si è ulteriormente affermato che il divieto di domande nuove previsto al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 1, trova applicazione anche nei confronti dell'Ufficio finanziario, al quale non è consentito, innanzi al giudice d'appello, avanzare pretese diverse, sotto il profilo del fondamento giustificativo, e dunque sul piano della causa petendi, da quelle recepite nell'atto impositivo. Diversamente sarebbe lesa la concreta possibilità per il contribuente di esercitare il diritto di difesa attraverso l'esternazione dei motivi di ricorso, i quali vanno necessariamente rapportati a ciò che nell'atto stesso risulta esposto (9810/2014; da ultimo 12467/2019).

Erra, pertanto, la CTR Lazio nel negare l’ammissibilità di tali documenti nel giudizio di secondo grado “in quanto il contribuente sarebbe stato privato ingiustamente di un grado di giudizio sul merito della controversia”, atteso che – come altresì ribadito in molteplici occasioni dal Giudice delle leggi – secondo la Corte non sussiste alcuna violazione del diritto di difesa per la perdita di un grado di giudizio.

La preclusione di cui all’art. 57 del D.Lgs. n. 546/1992 non opera, dunque, nell’ipotesi in cui, nel gravame, vengano fatte valere mere difese finalizzate a contrastare le ragioni poste a fondamento del ricorso originario: è il caso del deposito delle cartelle di pagamento di cui il contribuente contesti l’avvenuta notifica, contemplato e ammesso già dal precedente formato giurisprudenziale (Cass. ord. n. 10567/2012; id., sent. n. 12008/2011; id., sent. n. 14020/2007) e che l’ordinanza in commento ha avuto cura di ribadire, in continuità con l’orientamento consolidato in materia.

F.N.


[1] In base al quale: “Il giudice d'appello non può disporre nuove prove, salvo che non le ritenga necessarie ai fini della decisione o che la parte dimostri di non averle potute fornire nel precedente grado di giudizio per causa ad essa non imputabile. È fatta salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti.”

[2]  Che così dispone: “Non sono ammessi i nuovi mezzi di prova e non possono essere prodotti nuovi documenti, salvo che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile. Può sempre deferirsi il giuramento decisorio.

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