Abstract L’ordinanza n. 20149/2021 della Suprema Corte esclude il ricorso all’accertamento induttivo in assenza dei presupposti di cui all’art. 39 del d.P.R. n. 600/1973: gli acquisti effettuati presso un unico fornitore risultato soggetto inesistente, peraltro per importi ridotti, non costituiscono elemento sufficiente a determinare la complessiva inattendibilità della contabilità. *** Il caso Con l’ordinanza n. 20149 del 15 luglio 2021 la Corte di Cassazione si è pronunciata in tema di limiti all’accertamento induttivo in presenza di violazioni non particolarmente gravi, inidonee a integrare i presupposti normativamente previsti per l’esperimento della tipologia di accertamento in oggetto. Una breve sintesi dei fatti di causa. Con avviso emesso in materia di Irpeg, Iva e Irap per il 2007, l’Agenzia delle Entrate contestava a una s.r.l. una serie di acquisti effettuati presso un fornitore risultato essere soggetto inesistente. L’aver intrattenuto operazioni con un soggetto commerciale inesistente fondava, a parere dell’Ufficio, una presunzione di globale inattendibilità delle scritture contabili, con la conseguenza dell’effettuazione di un accertamento induttivo e della rideterminazione del reddito d’impresa, unitamente all’accertamento di una maggiore imposta ai fini Iva ed Irap. La legittimità dell’accertamento induttivo condotto dall’Ufficio veniva confermata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Napoli. Medio tempore intercorreva il fallimento della società, con la conseguenza che la curatela provvedeva a impugnare la pronuncia di primo grado dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Campania. Secondo la contribuente l’accertamento era da considerare illegittimo in quanto l’Agenzia delle Entrate avrebbe dovuto limitarsi a disconoscere la deducibilità dei costi di cui era stata effettivamente comprovata l’inesistenza, evitando di dedurre per via presuntiva l’inattendibilità dell’intera contabilità societaria e, pertanto, di compiere un accertamento induttivo. I giudici, tuttavia, ritenevano di confermare la statuizione di primo grado. Il fatto che i costi afferenti a operazioni soggettivamente inesistenti fossero stati contabilizzati costituiva circostanza pacificamente ammessa dalla società: tale condotta fraudolenta, pertanto, giustificava la presunzione di inattendibilità dell’intera contabilità e l’adozione del metodo induttivo in sede di accertamento. Con l’ordinanza in commento, tuttavia, la Suprema Corte ha ribaltato il dictum della Commissione Regionale con motivazione piuttosto pregevole, attenta al dato concreto della scarsa incidenza dei costi “incriminati” sull’insieme dei ricavi dichiarati, soffermandosi sul tema spinoso delle presunzioni. La pronuncia Il Fallimento della s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione affidando le proprie argomentazioni a un unico motivo, lamentando, ai sensi dell’art. 360, co. 1, nn. 3 e 4 c.p.c., la violazione degli artt. 39, co. 2, e 41-bis del d.P.R. n. 600/1973, e dell’art. 5 del D.Lgs. n. 446/1997, nonché la carenza di motivazione della sentenza impugnata e la non corretta sussunzione della fattispecie concretamente venuta in essere nel paradigma normativo delle disposizioni oggetto di censura. La ricorrente ha protestato l’insussistenza di irregolarità caratterizzate da quel particolare grado di gravità suscettibile di giustificare l’inattendibilità della contabilità sociale nel suo complesso e, conseguentemente, una ricognizione particolarmente invasiva come quella peculiare dell’accertamento induttivo. Tale accertamento, infatti, non poteva essere giustificato dalla (non contestata) presenza di un numero ridotto di acquisti, incidenti sul totale dei ricavi solo per lo 0,54%, presso un solo fornitore risultato inesistente e per importi invero contenuti (poco meno di 12mila euro a fronte di oltre 2 milioni di euro di ricavi dichiarati): tutt’al più, l’Agenzia avrebbe potuto disconoscere la deducibilità dei relativi costi, essendole in ogni caso preclusa la possibilità di un accertamento integralmente induttivo per mancanza dei presupposti contemplati dall’art. 39 del d.P.R. n. 600/1973. La Suprema Corte ha ritenuto fondate le doglianze della ricorrente, aggiungendo un tassello alla vexata quaestio del ricorso allo strumento presuntivo in sede di verifica e circoscrivendone la portata nel caso di una tipologia di accertamento connotata da particolare invasività, come quello induttivo. Ai fini di tale accertamento, infatti, la norma richiede la sussistenza di irregolarità connotate da un elevato livello di gravità: un grado di intensità della violazione che permette all’Ufficio di prescindere dalle scritture contabili, attesa la loro ritenuta inattendibilità, facendo ricorso alle c.d. presunzioni semplicissime. In particolare, ai sensi dell’art. 39 sopra richiamato l’inattendibilità della contabilità considerata nel suo complesso deve fondare sul terreno solido di irregolarità “così gravi, numerose e ripetute” da essere idonee a “rendere inattendibili nel loro complesso le scritture stesse per mancanza della garanzie proprie di una contabilità sistematica”. Solo in tal caso, come già più volte chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, l’Amministrazione è legittimata a ricorrere a elementi indiziari anche non idonei a integrare i presupposti tipici della prova presuntiva ai sensi degli artt. 2727 e 2729 c.c. In particolare è noto che l’art. 2729 c.c., da ultimo citato, prevede la possibilità per l’Amministrazione, onde contestare l’attinenza della fatturazione a operazioni soggettivamente inesistenti, di ricorrere a presunzioni semplici, ma entro i ben determinati confini tracciati dai requisiti di gravità, precisione e concordanza: vale a dire nel presupposto dell’esposizione, da parte degli organi di verifica e accertamento, di elementi fattuali obiettivi idonei a porre sull'avviso l’imprenditore di settore, onesto e di media esperienza, circa la sostanziale inesistenza del contraente. Diversamente, nell’ipotesi dell’accertamento induttivo è normativamente prevista la possibilità di accedere alle c.d. presunzioni semplicissime, prive dei predetti requisiti di gravità, precisione e concordanza. Tuttavia, a maggior garanzia del contribuente, l’art. 39 del d.P.R. n. 600/1973 prevede tale possibilità solo in presenza di irregolarità plurime, reiterate e caratterizzate da un intenso grado di gravità (“così gravi […]”): solo così i verificatori possono legittimamente prescindere dalla contabilità sociale, ritenuta regolare solo in apparenza, la cui attendibilità sarebbe in nuce minata da una situazione di tale serietà. Ma ai giudici di legittimità è apparso subito chiaro come, in assenza di ulteriori riscontri, la sussistenza conclamata di operazioni soggettivamente inesistenti intercorse con un unico fornitore per importi particolarmente ridotti a fronte del fatturato globalmente dichiarato (elementi su cui la Commissione Regionale non aveva fornito adeguata motivazione) non sia in alcun modo suscettibile di integrare i requisiti previsti dal citato art. 39 al fine di attivare legittimamente lo strumento dell’accertamento induttivo, con la conseguenza dell’accoglimento del ricorso e del rinvio al giudice di secondo grado in diversa composizione. F.N.