Illegittima la sanzione irrogata per la deduzione dell’IVA su un’operazione esente, quando la norma sanzionatoria non ne consente una graduazione in assenza di frode o di danno per l’Erario – commento a Sentenza CGUE del 15 aprile 2021 (Causa C-935/19)

7 Giugno 2021

Abstract

Con la sentenza in commento, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha statuito un importante principio destinato a trovare applicazione nei frequentissimi casi in cui un soggetto passivo, per errore, abbia ritenuto imponibile ai fini IVA un’operazione in realtà esente, portando in detrazione la relativa imposta. Se tale situazione non si inserisce in una frode, né tantomeno arreca una perdita di gettito fiscale, la sanzione eventualmente irrogata deve considerarsi incompatibile con la normativa europea in materia di IVA (e, segnatamente, con il principio di proporzionalità), in presenza di norma sanzionatoria che preveda una misura fissa e non consenta di graduarne l’entità in relazione alla fattispecie concreta.

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Il caso esaminato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (“CGUE”) riguarda una società di diritto polacco (G.W.) che aveva acquistato un bene immobile da un ulteriore soggetto passivo IVA il quale, all’esito della compravendita, aveva emesso relativa fattura con contestuale addebito dell’IVA. La G.W. aveva ritenuto che tale importo costituisse IVA pagata a monte, quindi detraibile. Risultando a fine anno un’eccedenza IVA, la G.W. ha avanzato un’istanza di rimborso.

Dai controlli effettuati dall’Amministrazione delle Entrate polacca a seguito dell’istanza presentata, è emerso che l’operazione de qua era esente da IVA. La G.W. ha quindi proceduto alla rettifica della relativa dichiarazione, tenendo conto delle irregolarità constatate dall’Autorità tributaria. Nonostante tale rettifica, l’A.F. polacca ha inflitto alla G.W. una sanzione pari al 20% dell’importo del rimborso dell’IVA richiesto indebitamente, in quanto indicato in misura maggiore del dovuto.

La G.W. ha impugnato la sanzione, ritenendola contraria ai principi di proporzionalità e di neutralità dell’IVAe non giustificata alla luce degli obiettivifissati dalla Direttiva 2006/112/CE (c.d. Direttiva IVA), consistenti nell’assicurare l’esatta riscossione dell’imposta nonché nell’evitare l’evasione fiscale. Il giudice nazionale, pertanto, condividendo i dubbi circa la conformità di tale sanzione ai principi europei in materia, ha disposto il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia.

La CGUE, analizzato il caso di specie, ha ritenuto che la questione pregiudiziale verta principalmente sull’interpretazione dell’art. 273 della Direttiva IVA (relativo alle prerogative degli Stati membri nella determinazione di altri obblighi, a carico dei soggetti passivi, necessari ad assicurare l'esatta riscossione dell'IVA e ad evitare l’evasione). Secondo la Corte, in difetto di norme di derivazione europea sul tema sanzionatorio, le prerogative degli Stati membri possono essere esercitate discrezionalmente, a patto che rispettino il citato principio di proporzionalità. In altre parole, tali sanzioni non devono eccedere quanto necessario al fine di garantire l’esatta riscossione dell’imposta ed il contrasto a fenomeni di frode.

Sul punto, il diritto polacco prevede che, in caso di sopravvalutazione dell’importo del rimborso dell’IVA, sia irrogata una sanzione amministrativa pari al 30% di tale importo, che tuttavia viene ridotta al 20% qualora, in esito ad un controllo fiscale, il soggetto passivo abbia effettuato una rettifica della sua dichiarazione, versando conseguentemente l’importo dell’imposta dovuta o restituendo l’importo del rimborso non dovuto. Tale sanzione è finalizzata, a parere del giudice del rinvio (parere che la Corte accoglie), a migliorare la riscossione dell’IVA, inducendo i soggetti passivi a presentare con esattezza e rigore le proprie dichiarazioni fiscali e, in caso di irregolarità, a procedere alla relativa regolarizzazione. Per accertare la compatibilità di tale normativa con quella europea, la Corte fa appello ai precedenti arresti resi su fattispecie simili, dai quali emerge che deve ritenersi conforme al principio di proporzionalità una sanzione che, avendo “lo scopo di indurre i soggetti passivi a regolarizzare il più rapidamente possibile i casi di pagamento insufficiente dell’imposta e, pertanto, di raggiungere l’obiettivo di assicurare l’esatta riscossione della stessa”, ha un importo fissato, in via forfettaria, al 50% dell’importo dell’IVA che il soggetto passivo è tenuto a versare all’A.F., ma la cui misura effettiva deve essere ridotta secondo le circostanze del caso.

All’esito del confronto tra il principio unionale in parola e la norma sanzionatoria interna, la Corte conclude nel senso che, in presenza di una sanzione proporzionale per la quale non sia prevista la riduzione in considerazione delle circostanze concrete, si versa in un’ipotesi di palese conflitto con il principio di proporzionalità.

Nel caso di specie, secondo la Corte si sarebbero dovute valorizzare le seguenti circostanze, in quanto idonee a determinare una graduazione della sanzione ulteriore a quella discendente dall’applicazione della norma de qua:

  • il fatto che la sopravvalutazione dell’importo dell’eccedenza IVA risultasse da un errore di valutazione commesso dalle parti, che avevano ritenuto che l’operazione fosse imponibile;
  • la mancanza di indizi di frode;
  • l’assenza di perdita del gettito fiscale.

Il principio di diritto espresso nella sentenza in commento è suscettibile di incidere anche sulla disciplina sanzionatoria italiana. La recente lettura offerta dalla Corte di Cassazione (nelle sentenze 24289/2020 e 10439/2021) con riguardo al campo di applicazione dell’art. 6, comma 6, del D.Lgs. n. 471 del 1997 sembra comportare, infatti, profili di criticità rispetto alle elaborazioni della CGUE.

I Giudici di legittimità, difatti, hanno ritenuto che la sanzione forfettaria di importo compreso tra Euro 250 ed Euro 10.000, prevista dalla disposizione citata, dev’essere irrogata (fermo restando il diritto del cessionario o del committente alla detrazione dell’imposta assolta) nei soli casi nei quali l’imposta sia applicata in misura superiore a quella effettiva. Al contrario, nelle ipotesi di erronea applicazione dell’imposta su un’operazione in realtà non imponibile, rimarrebbe escluso il diritto alla detrazione, con la conseguenza dell’irrogazione della sanzione prevista dal primo periodo della norma in esame, per un importo pari al 90% dell’ammontare della detrazione compiuta.

Alla luce dei principi esposti dalla CGUE, il trattamento sanzionatorio previsto dalla normativa italiana in ordine a fattispecie in cui l’indebita detrazione comunque non abbia arrecato un pregiudizio al prelievo fiscale che non siano in alcun modo inquadrabili in un contesto fraudolento, quale quella oggetto di analisi, risulta particolarmente afflittivo, stanti i palesi profili di incompatibilità con il principio di proporzionalità.

A.P.

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